L'Archetipo Anno III n. 5, Marzo 1998

Il racconto

IL GIOCOLIERE
DELLA MADONNA

Al tempo di re Luigi viveva in Francia un povero giocoliere di Compiègne, a nome Barnaba, che andava di città in città dando prova di forza e di destrezza. Nei giorni di fiera stendeva sulla pubblica piazza un vecchio tappeto tutto logoro, e, dopo aver attirato i bambini con delle piacevoli ciarle prese pari pari dal repertorio di un antico saltimbanco, senza mai cambiarvi nulla, assumeva pose tutt'altro che naturali sostenendo un piatto di stagno in equilibrio sul naso. La folla da principio lo guardava con indifferenza, ma quando a capo di sotto, poggiandosi sulle mani, gettava in aria e riacchiappava con i piedi sei palle di rame luccicanti al sole, oppure, rovesciandosi all'indietro fino a toccare con la nuca i calcagni, dava al suo corpo la forma di cerchio perfetto e giocava, in codesta posizione, con dodici coltelli, un mormorio di ammirazione si levava tra il pubblico, e sul tappeto piovevano monete.
Con tutto ciò, come succede alla maggior parte di quelli che vivono del proprio ingegno, Barnaba di Compiègne stentava a vivere. E, per di piú, non poteva lavorare quanto avrebbe voluto. Come ad un albero, se vuol dare fiori e frutti, cosí a lui, per sfoggiare la sua abilità, occorreva il calore del sole e la luce del giorno. D'inverno, infatti, pareva una pianta nuda di foglie e quasi morta. La terra gelata era dura per il giocoliere. E, come la cicala, nella cattiva stagione soffriva fame e freddo. Ma siccome aveva un cuore semplice, sopportava con pazienza i suoi mali. Non aveva mai riflettuto sulle origini della ricchezza, né sull'ineguaglianza delle condizioni umane. Contava fermamente sul fatto che se questo mondo è cattivo l'altro non può essere che buono, e una tale speranza bastava per sostenerlo. Era un uomo dabbene, timorato di Dio e devotissimo alla Madonna, alla quale rivolgeva sempre questa preghiera: "Signora, prendete cura della mia vita finché a Dio piaccia che io muoia, e, quando sarò morto, fatemi avere le gioie del paradiso".
Una sera, dopo una giornata di pioggia, mentre se ne andava triste e curvo, senza aver cenato, portando sotto il braccio le sue palle e i suoi coltelli nascosti nel vecchio tappeto, cercando qualche granaio per dormire, vide sulla strada un monaco che faceva il suo stesso cammino, e lo salutò cortesemente. Siccome camminavano dello stesso passo cominciarono a scambiarsi delle idee.
«Compagno – disse il monaco – qual è il vostro nome, e come mai siete vestito di verde? Recitate forse in teatro?».
«No, padre – rispose l'altro – mi chiamo Barnaba e faccio il giocoliere. Sarebbe la piú bella vita del mondo se si arrivasse a mangiare tutti i giorni».
«Amico Barnaba – riprese il monaco – state attento a ciò che dite. Non c'è vita piú bella di quella monastica, perché è un inno perenne al Signore».
«Padre, so bene che il vostro stato non si può paragonare al mio, e, per quanto vi sia del merito a ballare reggendo sulla punta del naso un bastone con sopra una moneta in equilibrio, questo merito non si avvicina al vostro. Mi piacerebbe molto abbracciare la vita monastica».
«Amico Barnaba, venite con me e vi farò entrare nel monastero dove sono priore».
Fu cosí che Barnaba si fece monaco. Nel monastero dove fu ricevuto, i religiosi gareggiavano nell'esaltare il culto della Madonna, e ognuno impiegava, nel servirla, quanto sapere e quanta maestria aveva ricevuto in dono da Dio. Il priore, da parte sua, componeva libri che trattavano le virtú della Madre di Dio; fra Maurizio copiava, con mano maestra, questi trattati su fogli di pergamena; frate Alessandro vi dipingeva delle fini miniature: vi si vedeva la Regina del Cielo assisa sul trono di Salomone, ai piedi del quale vegliavano quattro leoni; intorno alla sua testa aureolata volteggiavano sette colombe, i sette doni dello Spirito Santo: timore, pietà, scienza, fortezza, consiglio, intelletto e sapienza. Le erano compagne sei vergini dai capelli d'oro: l'Umiltà, la Prudenza, la Ritiratezza, la Riverenza, la Castità e l'Obbedienza. Si poteva inoltre ammirare nel libro il Pozzo delle acque vive, la Fontana, il Giglio, la Luna, il Sole, il Giardino Chiuso dei quali parla la Cantica, la Porta del Cielo e la Città di Dio, altrettante immagini della Vergine.
Fra Marbodio era similmente uno dei piú teneri figli della Madonna. Incideva senza posa immagini di pietra, tanto da avere la barba, le sopracciglia e i capelli bianchi di polvere e gli occhi sempre gonfi e lacrimosi. Ma era pieno di gioia e di forza anche in tarda età, e la Regina del paradiso proteggeva chiaramente la vecchiaia del suo figlio. Marbodio la rappresentava assisa su un trono, la fronte cinta di un'aureola di perle.
Davanti a simile gara di lodi e a tanta bella raccolta di opere, Barnaba si lamentava della propria ignoranza e della propria dabbenaggine: «Ahimè – sospirava passeggiando solo solo nel piccolo giardino senza ombra del monastero – sono proprio disgraziato per non potere, come i miei fratelli, lodare degnamente la santissima Madre di Dio, alla quale ho consacrato l'affetto del mio cuore. Ahimè! Sono un uomo rozzo e senza arte, e non posso fare, per servire la mia Signora, né sermoni edificanti, né delicate pitture, né statue perfettamente modellate!»
Gemeva in questo modo e si abbandonava alla tristezza. Una sera che i padri si ricreavano conversando, sentí uno di loro raccontare la storia di un religioso che non sapeva recitare altro che l'Ave Maria. Egli veniva disprezzato per la sua ignoranza, ma quando morí dalla sua bocca uscirono cinque rose in onore delle cinque lettere del nome di Maria: si mostrò cosí la sua santità.
Dopo aver sentito questo racconto, accadde che Barnaba non si lamentava piú. Il mattino correva felice alla cappella e vi rimaneva un'ora da solo. Vi ritornava dopo mangiato, badando che la cappella fosse deserta, e vi passava molta parte del tempo che gli altri monaci consacravano alle arti. Una condotta cosí strana risvegliò la curiosità dei monaci. Nella comunità ci si chiedeva perché fra Barnaba si segregasse cosí frequentemente dagli altri. Il priore, che ha il compito di nulla ignorare sulla condotta dei religiosi, prese la decisione di spiare Barnaba durante le sue solitudini.
Un giorno che quegli era chiuso, secondo il solito, in cappella, il priore, accompagnato da due anziani del monastero, andò a spiare, attraverso le fessure della porta, quello che succedeva nell'interno. Vide Barnaba che, davanti all'altare della Madonna, testa in basso e piedi in alto, faceva il giocoliere con sei palle di rame e dodici coltelli. Eseguiva, in onore della santa Madre di Dio, i numeri che gli avevano fruttato le lodi maggiori. Non comprendendo che quest'uomo semplice metteva cosí talento e sapere a servizio della Madonna, i due anziani gridarono al sacrilegio. Il priore sapeva che Barnaba aveva l'anima innocente, ma lo credette impazzito. Si preparavano tutti e tre a portarlo via dalla cappella con la forza, quando videro che la Santa Vergine scendeva i gradini dell'altare e asciugava, con un lembo del manto azzurro, il sudore grondante dalla fronte del suo giocoliere.
Allora il priore, prosternando il viso contro la pietra, recitò queste parole:
«Beati i semplici, poiché essi vedranno Dio!»
«Amen!» risposero gli anziani, baciando la terra.

Anatole France

(A. France, L'étui de nacre, Ed. Calmann-Lévy, Parigi 1926)


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