L’Archetipo Anno IV n. 8, Giugno 1999
Redazione
 
Gentile Direttore, lieti di averla incontrata in Rete, ci permettiamo di proporre alla sua attenzione un’idea molto semplice. Il Pubblico Impiego potrebbe non essere di proprietà esclusiva di alcuno per la sua stessa origine e definizione di pubblica attività, ed in tal caso potrebbe/dovrebbe non essere assegnato a vita a pochi eletti, come invece avviene tutt'oggi. Per questo semplice motivo, avallato dagli approfondimenti sul nostro sito: http://www.geocities.com/CapitolHill/Congress/7418/pubimp.htm che saremmo davvero felici se volesse visitare, si auspica venga effettivamente reso pubblico il Pubblico Impiego, attuando un’equa, intelligente, sana rotazione tra tutti coloro che volessero svolgerlo ed avessero i requisiti necessari. Augurandoci di poter contare su un suo contributo nella divulgazione di tale questione, le rinnoviamo il nostro miglior saluto.

Marinella Castiglione, Teramo

Questa lettera, riguardante il pubblico impiego, vuole essere contemporaneamente protesta civile e propoposta sociale. Ci è stata indirizzata chiedendoci di fare qualcosa in merito. Un simile invito preluderebbe quindi a un’azione civile e sociale da parte nostra, vale a dire politica, impegnando cioè la rivista in un ambito monopolizzato dai partiti: forze materialistiche ispirate a princípi utilitaristici e animate da ideologie per lo piú positivistiche, estremizzate fino all’ateismo, o che al contrario usano la religione come alibi strumentale. Quale sarebbe pertanto l’esito, lasciamo facilmente immaginare. L’iniziativa per l’Equo Impiego Pubblico, promossa dal gruppo di cui fa parte la nostra lettrice, persegue una finalità di chiaro stampo morale e ideale, ed è impiantata secondo validi schemi funzionali e operativi. Si trova però di fronte un nemico tetragono, compatto e alieno da “aperture” cristiane. Lottare contro forze chiuse a testuggine su secolari privilegi dinastici, di casta e di appartenenza tribale e lobbistica, rischia perciò di risolversi in un degnissimo, e persino eroico, ma sterile sforzo. Valutiamo la situazione mondiale del presente: la cosiddetta civiltà umana si è mossa prevalentemente per linee di competizioni e cedimenti, prevaricazioni e rivolte, ingiustizie e rivendicazioni, in un cerchio infernale di contrasti e rancori che non ha portato, come promettevano i demiurghi populisti, all’emancipazione delle masse diseredate, all’età dell’oro e dell’abbondanza. Al contrario, le conseguenze di un tale deleterio comportamento sono sotto gli occhi di tutti: discriminazioni, disoccupazione, criminalità, degrado umano e ambientale, fame e guerre: sono questi i luoghi comuni di cui ci nutriamo ogni giorno e che risulta qualunquistico menzionare qui e ora. In realtà dalla “gente comune” si vuole soltanto la partecipazione massiccia, devota, quasi idolatrica, al consumo. E la politica fa parte di tale gioco consumistico, essendone una liturgia di legittimazione. L’Archetipo, come tutti coloro che vogliono procedere in base all’insegnamento del Maestro dei Nuovi Tempi, intende seguire una tattica alternativa, lavorando sull’interiorità dell’uomo, aiutandolo a trasformare la propria essenza attraverso un percorso spirituale. Qualora tale sublimazione animica dovesse realizzarsi, le azioni umane sarebbero inevitabilmente giuste e morali: a ciascuno verrebbe dato ciò che gli spetta per meriti e competenze. Prenderemmo cosí alle spalle l’Ostacolatore: inganno per inganno, ma il nostro sarebbe costruttivo e duraturo.

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Giugno 1999


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