Gli esercizi

La concentrazione deve essere un’operazione assolutamente semplice, inintellettuale, indialettica (pur servendosi della mediazione delle parole, la più parsimoniosa possibile): è una concentrazione di forza e nient’altro. Ho notato che amici non intellettuali, persino operai, riescono nella concentrazione, perché ne fanno solo una pratica di intensità di pensiero o di attenzione portata al massimo (e questo è invero tutto), meglio che amici intellettuali e colti, preoccupati di teoriche modalità.
In breve si tratta di raccogliere tutta la forza pensiero in un punto: questo punto, non sapendosi ancora avere dal pensare stesso, si realizza mediante un qualsiasi oggetto sensibile, che ci dia modo di raccogliere in un nucleo di pensiero tutti i pensieri che lo riguardano. Non c’è da preoccuparsi di vedere o non vedere l’oggetto, come non ci si preoccupa normalmente di vedere o non vedere un qualcosa che si conosce bene e di cui si parla per esempio a un amico. L’oggetto della concentrazione può essere rapidamente ricostruito, ma se si intende prolungare la concentrazione, si può ricominciare daccapo, ripetendo non meccanicamente il percorso, persino invertendolo, sempre comunque raggiungendo una conclusione che è una sintesi. Questo già potrebbe essere l’esercizio completo della concentrazione che, eseguito con l’attenzione e l’intensità volute, può suggerire qualsiasi ulteriore movimento. Il problema vero è un problema di forza, più che di tecnica.
Tuttavia l’ulteriore movimento può essere questo: la sintesi compiuta diviene l’oggetto stesso della concentrazione. Anche qui non si tratta di vedere qualcosa: a concentrazione compiuta, si ha dinanzi come sintesi un qualcosa che può essere una rappresentazione, o un’imagine, o un segno, o un simbolo, o un nulla: che non ci si deve preoccupare di vedere, ma solo di avere dinanzi, sí da contemplarlo nella sua dinamicità. Questo è tutto. L’importante è che la sintesi contemplata contenga veramente il movimento che gli si è immesso: in breve, che sia viva, non fissa e meccanica. Questo contemplare è il compimento dell’operazione. Ciò che io aggiungo nei miei libri riguardo alla “circolazione della luce” riguarda il compito ulteriore: ma questo appunto esige il possesso della concentrazione. Possesso che, ove sia regolare, dà modo di intuire i compiti ulteriori. Quindi nessuna problematica: ogni problematica è un attacco dell’Ostacolatore. Occorre forza e basta.
Quando ci si concentra, occorre dimenticare tutte le regole, e avere una sola direzione, l’oggetto: prima sensibile, poi costruito di pensiero. Occorre servirsi di parole e imagini, altrimenti non si costruisce nulla: certo, quando la sintesi è conseguita, si desiste dal richiamare imagini-parole. Quello che dissi a Remo è un esercizio rafforzante per coloro che già posseggono la concentrazione, e che consiste nel fare il solito percorso della concentrazione – che già si conosca – senza parole, ma con le sole imagini rispondenti alle smesse parole. Questo dà già il livello del pensiero-sintesi, ma di un simile svestire di parole il costrutto della concentrazione, occorre fare un uso delicato e parsimonioso. Quindi l’eliminazione è delle parole, non delle imagini: questo imaginare voluto senza parole, è proprio ciò di cui si va in cerca.
Non vi do un esempio di costrutto della concentrazione, perché sarebbe un errore: ognuno deve fare come vuole, naturalmente secondo l’indicata direzione. Vi raccomando un lavoro coscienzioso e pieno di responsabilità: come dissi a Remo, considero il vostro gruppo una “forza europea” in formazione: è importante il suo collegamento con me in relazione a “qualcosa” che trascende la mia stessa persona e tuttavia passa attraverso il mio lavoro. La fedeltà a questa connessione è fondamentale! Scrivetemi ogni volta che è necessario. Un augurio e un saluto fraterno.

Massimo Scaligero

Da una lettera degli anni ’70 inviata a un gruppo di discepoli di Trieste

Torna al sommario