Il 26 febbraio dell’anno 277 della nostra era, in una prigione di Gundeshapur, in Persia, moriva Mani, fondatore di una dottrina, il Manicheismo, che aveva come principio e fine la Luce. Gravato di pesantissime catene che gli impedivano ogni movimento, dopo 26 giorni di agonia Mani entrò in quel Giardino di Luce che il suo insegnamento prevedeva per ciascun eletto che attraverso il risveglio dell’Io venisse purificato dallo Spirito vivente. In quella dimensione luminosa egli avrebbe incontrato il Padre della Grandezza, il Signore del Regno di Luce, e la materia corporea, finalmente liberata dalla sua prigione fisica, si sarebbe assimilata all’etere limpido, al vento dolce, alla luce pura, all’acqua cristallina, al fuoco purificatore: tutti gli elementi di cui il Bene dispone per contrastare il Male, armato a sua volta dei cinque elementi tenebrosi: fumo, fuoco devastatore, vento distruttore, acqua limacciosa, profonda oscurità. Gli stessi elementi che Dante nell’Inferno attribuisce al Regno di Satana, e che servono a tormentare i dannati; tormenti che culminano nell’estrema negazione della Luce e della visione del Divino. Le anime condannate sono incessantemente sospinte dal vento vorticoso o prigioniere dell’immobilità assoluta, della pietrificazione o glaciazione, immerse nel bolos caotico e interito della materia caduta al suo livello piú basso, al punto piú distante dalla Luce e dalla dimensione paradisiaca.
Ma la condanna non è irreversibile. Nel tempo, i cicli evolutivi fatti di morte e rinascita consentono che nulla sia definitivo e prestabilito, e che ogni cosa evolva e si autosublimi. Pertanto, dalla pietrificazione infera il creato si trasmuta sino alla cristallizzazione e alla cristificazione. Da sempre, da quando cioè il Re delle Tenebre imprigionò la Luce nella materia, questa ha memoria e nostalgia del momento fatale in cui la Voce echeggiante sul buio e sul vuoto le ordinò di manifestarsi e dare vita a tutte le cose. Da allora, in un alternarsi di vittorie e sconfitte, ascese e cadute, estasi e tormenti, la materia, di cui l’uomo è parte eccellente in un disegno di perfettibilità, tenta di riconquistare la condizione originale fatta di bellezza e simmetria, luminosità e armonia. Anche quando giace nelle profondità buie della terra.
«Provate ad immaginare una piccola massa di carbonio nero ed informe dentro la terra, a migliaia di chilometri di profondità e milioni di anni fa. Circondata da una gigantesca massa di rocce dense e fuse, essa venne sottoposta a pressioni enormi e a temperature superiori a 1000°C. Cambiamenti appena percettibili cominciarono a manifestarsi nella disposizione degli atomi di carbonio: iniziava cosí la formazione del cristallo. Prima e durante il faticoso cammino verso la superficie della terra, il colore da nero scuro era diventato bianco brillante, e tutta la massa un enorme cristallo trasparente e molto duro, liberato di qualsiasi elemento estraneo…» Con queste immagini Peter Bancroft, nel suo trattato di mineralogia(1), descrive la nascita del diamante Cullinan, il piú grande mai trovato, del peso di 3.025 carati, estratto in una miniera del Transvaal nel 1905. Dal suo taglio si ricavarono ben 105 pietre, di cui la maggiore, del peso di 530 carati, adorna la corona inglese nella Torre di Londra.
La descrizione del percorso sublimativo dal minerale nativo al cristallo è stata possibile grazie alle conoscenze che la cristallografia e la mineralogia hanno acquisito negli anni. Oggi sappiamo tutto del diamante dal punto di vista geologico, come delle altre pietre preziose, gemme e materie organiche fossili. Anticamente la considerazione per questi prodotti finali della materia caotica terrestre era volta soprattutto al colore delle pietre, alla loro trasparenza e durezza e alla loro rarità. Giade, smeraldi, zaffiri, rubini, lapislazzuli e lo stesso diamante potevano essere di volta in volta trattati come gioielli, rimedi taumaturgici, come amuleti magici e apotropaici, o come enigmatiche emanazioni dell’occulto. Anche la loro forma costituiva un mistero, cosí come ignota era l’essenza chimica di cui si componevano.
Il greco Teofrasto si occupò dei minerali e scrisse un trattato, Le pietre, ma la sua ricerca si esauriva nella valutazione degli usi pratici di gemme e pietre dure. Anche Plinio il Vecchio, assiduo frequentatore dei Campi Flegrei e dell’area vesuviana, si dedicò a una classificazione dei reperti vulcanici di superficie in base alle loro ipotetiche valenze mitologiche. Si dovette arrivare alla temperie umanistica per una valutazione scientifica dei minerali. Georgius Agricola scrisse il De Re Metallica nel 1546 con l’intento piú che altro di confutare le ipotesi mitiche e le superstizioni che li riguardavano. L’astronomo Giovanni Keplero, sostenitore della teoria eliocentrica, applicando lenti convesse agli strumenti ottici e il metodo matematico ai suoi procedimenti, riuscí a individuare la struttura reticolare dei cristalli di neve. Con il perfezionamento degli apparati ottici, la ricerca scientifica, e in particolare quella rivolta ai minerali, poté spingere la propria indagine nell’inesplorata dimensione microscopica degli elementi e fenomeni naturali. Nel 1784, René Haüy, del Museo di Storia Naturale di Parigi, poté suffragare le sue scoperte con una serie di mirabili disegni illustranti la struttura interna dei cristalli come ipotizzata da Keplero. Da quel momento le scoperte furono incalzanti e stupefacenti. Robert Bunsen, adiuvato da Kirschhoff, adottò i primi metodi di analisi spettrale, realizzando lo spettroscopio a prisma, grazie al quale fu possibile individuare l’“aura chimica” dei minerali, e nel 1912 Max von Laue, insignito del premio Nobel, utilizzò i raggi X per studiare la struttura interna chimica e fisica dei cristalli, stabilendo che l’edificio cristallino, la struttura reticolare già individuata da Keplero, è formata da piccolissime unità cellulari disposte secondo uno schema ordinato in base alla composizione molecolare, atomica e ionica. L’identità del cristallo era stata cosí radiografata e la scienza penetrava nel dominio dell’ignoto, scorgendovi un disegno non sempre facile da spiegare secondo le crude formule chimiche o matematiche.
La Scienza dello Spirito ci dice che i processi fisici, chimici e dinamici operanti nel cosmo non originano da mera casualità, e non vengono attivati da energie inerziali o meccaniche. Altresí ci rivela come l’infinitamente piccolo, l’atomo, che la scienza ufficiale ritiene essere lo stadio iniziale della vita, altro non è che la fase di disgregazione della condizione materica. Pertanto nell’indagare la realtà cosmica, ben altri princípi e ben altre forze vanno considerate, come afferma Rudolf Steiner: «Dobbiamo renderci conto che del regno minerale è percepibile anzitutto ciò che chiamiamo la forma, la figura. Sappiamo – qui non possiamo che darne un breve cenno – che il mondo minerale, almeno in parte, si presenta a noi plasmato e formato in modo tale, che noi sentiamo questa formazione come corrispondente alla natura minerale stessa. Quando vediamo un dato corpo con forma cubica e un altro con forma diversa, sappiamo che queste forme non sono da attribuirsi al caso, ma che sono connesse, in certo modo, con la natura del minerale. Ora, la ricerca occulta c’insegna, che queste forme nel regno minerale, chiamate anche forme cristalline, sono anzitutto da attribuirsi all’opera speciale degli Spiriti della Forma. Appunto perché l’occultismo risale ovunque fino alla realtà, e cerca l’origine e la ragione di ogni fatto, anche la nomenclatura occulta è determinata in guisa che il nome, in qualche modo, serva come indizio d’una caratteristica. E il nome “Spiriti della Forma” è stato prescelto, perché nel regno che sulla Terra chiamiamo “regno minerale” si mostrano operosi gli Spiriti della Forma»(2).
Nel diamante questi Spiriti plasmanti hanno inteso irretire la luce suprema, la purezza senza macchia né ombra, l’indomabilità sostanziale, l’incorruttibilità materica. Non a caso la tradizione vedica prima e quella buddhista poi hanno posto al termine del Vajrayana – il Sentiero del Diamante – il Nirvana, la realtà immutabile dell’Assoluto. Vajra, oltre che diamante, indica la folgore, la dimensione accessibile a chi, attraverso le pratiche meditative, raggiunge l’Illuminazione, liberando la propria anima dal ciclo del dolore e della morte.
Il cosmo è un vasto campo di battaglia, dove si affrontano Bene e Male. La lotta si snoda nella dimensione trascendente, concretizzandosi in forma visibile nell’immanenza materiale. L’uomo può elaborare la strategia vincente in questa grande contesa nella quale tutti sono coinvolti, creature e Dei. Compito dell’essere umano è quello di sublimare la propria sostanza tenebrosa rompendo il sortilegio della materialità che incessantemente lo avvince. Ma in questo suo sforzo l’uomo non è solo: vegliano e operano al suo fianco le Gerarchie spirituali, unitamente a quel Gesú luminoso di Mani, il Cristo di salvezza, che attraverso il sacrificio del Golgotha ha consentito all’uomo di ridestare in sé l’Io vivente, grazie al quale egli dall’Adamo schiavo dei tormenti materici può divenire il portatore del corpo di Luce, splendente dell’adamantino fulgore del Logos.

Ovidio Tufelli

(1) P. Bancroft, Minerali e cristalli, Ed. Franco Muzzio, Padova 1977
(2) R. Steiner, Le Entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura, I.T.E., Milano 1939, p.270

Immagine: Cristalli di quarzo associati a cristalli neri di wolframite – Collezione dell’Università di Harvard, USA

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