SOGNI E SEGNI



Dopo l’urto contro i banchi di ghiaccio, il transatlantico comincia rapidamente a imbarcare acqua. Passa poco tempo e si sentono i primi schianti; la nave inizia ad inabissarsi.
Federico e Sofia si tengono stretti mentre terrorizzati i passeggeri cercano di raggiungere le scialuppe che l’equipaggio sta calando in mare.
Ora è questione di minuti, poi resterà solo il cielo stellato di una notte fredda a contemplare il richiudersi dell’oceano sul vortice che inghiottirà la nave.
Federico e Sofia, come attratti da qualcosa che non si spiegano, cercano di raggiungere l’ingresso della sala, dove fino a pochi minuti prima uomini e donne danzavano e brindavano. A fatica riescono a camminare e con ancor piú sforzo si fanno largo attraverso una corrente umana che con gli occhi spalancati dall’orrore si precipita fuori dal salone, accalcandosi sull’ingresso come l’acqua nello strettoio di un imbuto, per poi uscire con velocità piú accelerata verso i ponti e la prua, ormai inclinata verso l’alto. Intanto in molti, uomini e donne, sono già in mare; si sono tuffati nell’oceano per contendersi una scialuppa piena o un pezzo di legno, mentre vengono trascinati dal gorgo della nave che affonda.
Federico e Sofia entrano nel salone. Federico non sa perché; sarebbe stato piú logico fare come gli altri, cercare una pur disperata salvezza in mare. Ma qualcosa di altrettanto radicale e primordiale del terrore che ha visto negli occhi di quella gente spinta fuori dalla sala, lo fa procedere con Sofia. Il pavimento della grande sala ormai è inclinato, paurosi sobbalzi fanno tremare tutto, volano tavoli e sedie, si frangono stoviglie e specchi, il pianoforte a coda schizza da una parete all’altra e fracassandosi esala le ultime note, che sembrano un urlo simile a quelli che provengono da fuori.
Federico e Sofia scalano ormai il pavimento, che è divenuto una parete. Poi vedono al centro del salone, fermo e incurante di quanto accade intorno, un uomo seduto in poltrona. Sta leggendo un libro scritto in sanscrito. I due, che ora camminano piú agevolmente, gli si avvicinano. Federico conosce quell’uomo, lo interroga concitato, con una grande urgenza: «Professore, che fa? Venga con noi, la nave affonda!»
L’uomo con calma alza il capo dal libro, poi sorridendo risponde: «Ti sembra che qui, dove tu sei arrivato, ci sia un naufragio?» Federico guarda Sofia, poi cerca di rendersi meglio conto della situazione; in effetti tutto è immobile, fermo, in calma. E anche Federico si sente calmo, calmo come mai è stato. Sofia sorride di rimando al professore, sembra non aver bisogno di capire cosa stia accadendo. Accetta il fatto che lí, intorno a quel centro, ci sia una grande, profonda quiete.
«Vedi, mio giovane amico – riprende il professore – non c’è nessun naufragio. Quelli che hai veduto uscire di qui per gettarsi nell’abisso correvano dietro ai loro pensieri. Quei pensieri sono il naufragio. Ove c’è disciplina del pensiero, là non v’è nessun naufragio».
D’improvviso Federico e Sofia si ritrovano nella casa del professore. Egli è ora nella poltrona di casa sua, circondato dai libri, avvolto da una lama di luce calda che penetra dalla finestra. Poi il professore si alza e accompagna i ragazzi alla porta. Sorride e stringe a lungo le loro mani. A Sofia dice: «Prenditi cura di lui». I due sentono nei suoi confronti una gratitudine e un amore profondi. Sofia si commuove. «Tornate quando volete, io sono sempre qui, sapete dove trovarmi».
Federico e Sofia escono dalla casa, sono calmi come non lo sono mai stati. Non desiderano, non hanno obiettivi, sono in pace.

Federico Maffei

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