Ascesi

Ascesi vera è quella che dà modo al Logos-folgore di percuotere la natura vitale-animale: la quale tende a serbare intatti i propri processi psicofisiologici, in cui è inserita la necessità della Morte. La natura vitale-animale non va fornita di poteri spirituali, bensí trasformata. Questa trasformazione, quando è autentica, è sostanzialmente un processo di distruzione e di riedificazione.

Massimo Scaligero

Il Logos e i Nuovi Misteri, Teseo, Roma 1973, pag. 75



Che cosa significa voler seguire una Via spirituale? Sostanzialmente significa compromettersi totalmente e definitivamente col Mondo Spirituale: un atto di consacrazione di sé all’Assoluto. Significa voler rispondere sinceramente e senza riserve ad un appello del Mondo Spirituale. Appello che mai è stato tanto urgente quanto in questa epoca di oscuramento, di caos e di pericolo.
Che questa sia un’epoca di estremo pericolo è evidente a chiunque voglia vedere veramente, in maniera inattenuata, la situazione e non voglia né illudersi sulla reale portata del pericolo né credere di poter risolvere l’emergenza con mezzi palliativi e consolatori. Occorre, perciò, avere il coraggio di voler vedere le cose come sono, di non sottrarsi alla visione e alla consapevolezza concreta del pericolo.
Ma colui che è stato – almeno per taluni di noi – Maestro di sapienza, di coraggio e di azione interiore, ci ha insegnato che quest’epoca di estremo pericolo è per noi un’epoca oltremodo preziosa, poiché proprio nelle epoche di pericolo il Mondo Spirituale proietta sulla Terra le sue forze piú potenti, ed in esse perciò sono anche possibili le realizzazioni spirituali piú audaci, difficilmente attuabili in epoche ormai trascorse piú a misura dell’uomo spirituale, nelle quali lo spirituale era piú immediatamente avvertibile dall’uomo, che perciò era meno stimolato all’iniziativa autonoma e cosciente.
Oggi, invece, la condizione dell’uomo è di estrema fragilità, di estrema labilità e precarietà interiore. In questa condizione di fragilità e precarietà l’uomo si trova sull’orlo del baratro nel quale rischia di precipitare. Di fronte all’uomo si presenta lo spalancato abisso della caduta nel subumano, che rischia di inghiottirlo definitivamente. L’ammonimento salutare è che «l’esperimento uomo potrebbe anche fallire».
L’appello del Mondo Spirituale è l’appello ad affrontare risolutamente le incalzanti forze degli dèi distruttori, a risvegliare la memoria del còmpito eroico che l’uomo si è assunto nel discendere in questo mondo materiale, apparentemente dominato dagli Ostacolatori. Sta unicamente all’uomo raccogliere l’appello e portare fino in fondo la lotta.
In realtà l’uomo è esattamente dove deve essere: il problema, il pericolo, è che non vi è come vi deve essere. Di fronte all’incombente pericolo, egli è in una condizione di stordimento e di fatuità: si muove in esso cercando di sfuggire la consapevolezza della sua tragicità che, pure, nelle profondità di sé, con paura, egli presente. Per cui nel tentativo di evitare il confronto, per lui doloroso, con questa prova che non concede scampo, si dà alla ricerca di surrogati o di narcotici sedativi: sceglie di “giocare”, di “divertirsi”, coinvolgendosi nelle fattualità gioiose o dolorose che il suo esistere quotidiano gli porta incontro. Tenta cosí di “divergere” dalla mèta a lui destinata, di sostituire qualcosa di “diverso”, di piú “umano”, al còmpito al quale deve far fronte, ma che teme. Tuttavia questo “divertimento”, questo “divergere” dalla mèta, porta sempre di piú a conseguenze disastrose. Sempre di piú il dolore, la malattia, la morte abbattono le fragili barriere dell’autoillusione, con le quali l’uomo vorrebbe proteggersi, sottraendosi alla lotta.
Anche quando incontra la Via spirituale, vi è continuamente nell’uomo la tentazione di rendere piú accettabile, meno faticoso, l’aspro sentiero. Anche nell’incontro con le verità spirituali egli può cercare di evitare il loro potere dirompente nell’anima, di attenuarne la forza che travolge la mediocrità umana, di conciliarle, diluendole, con le esigenze di una natura animale che non ne vuole sapere di trasformarsi. Per cui è facile la tentazione di “aggiustarsi” la Via ad uso e consumo della personalità egoica. Il che, naturalmente, è un tentativo illusorio, destinato in modo salutare e istruttivo, per sua fortuna, a fallire.
Occorre distinguere rigorosamente – questa è la prova cruciale dell’autoconoscenza – che cosa noi chiediamo al Mondo Spirituale, o alla Via Spirituale, e questa è la via egoica, ossia la via comoda con la quale ci illudiamo di poter ridurre lo spirituale alla nostra dimensione umana-troppo umana, e che cosa invece il Mondo Spirituale chiede a noi, e questa è la via eroica, ossia la via scomoda, con la quale decidiamo di esigere da noi stessi di portarci oltre quello che ordinariamente siamo come esseri naturali, cioè come esseri psichici, biologici, istintivi, animali. Scegliere la via eroica è decidere, per attuare la consacrazione di sé e rispondere all’appello del Mondo Spirituale, di superare ciò che ci arresta nel cammino interiore intrapreso.
La scelta tra la via egoica, comoda, e la via eroica, scomoda, è ogni volta la prova interiore della scelta tra la paura e il coraggio, la prova della scelta tra il desiderio dell’oblio, dello stordimento naturale, e la volontà della memoria del còmpito spirituale. Ogni volta è la scelta da rinnovare, perché nello Spirito non si può vivere di rendita sul già fatto, sul moto d’inerzia del passato. Al contrario lo Spirito, ogni volta, è l’atto creatore, inesauribilmente capace di nuova accensione e di slancio per l’Assoluto.
La via egoica è comoda, perché l’identificazione con l’essere naturale porta all’oblio del proprio essere originario, alla paralisi delle forze spirituali, al sonno e al tramortimento nella vita somatica e psichica. In questa condizione di oblio e di sonno ha luogo un continuo atto di tradimento dello Spirito: la memoria del còmpito interiore è smarrita. La via egoica è la via della paura, perché in questa condizione di servaggio animale viene cercato il godimento voluttuoso di questo oscuramento interiore e viene temuto e avversato tutto ciò che può scuotere questo servaggio, dissolvere questo voluttuoso sonno. Come in uno stato d’incantamento e di fascinazione, l’uomo patisce e gode il processo distruttivo del proprio oscuramento.
La via eroica è scomoda, perché esige la volontà e lo sforzo tenace di liberarsi di una ormai antica schiavitú, di riconquistare in forma nuova lo stato primordiale smarrito: è lo sforzo di fare, ogni volta, risorgere e incessantemente attuare la memoria dello Spirito. È questa memoria dello Spirito che scioglie dalla paralisi le impietrate forze interiori, che dissolve il sonno e la paura.
Questo continuo atto della memoria rinnovata diviene il Rito del coraggio e della fedeltà. La via eroica è la via del coraggio perché deve affrontare risolutamente una “natura” sapiente, potente, astuta, tenace, apparentemente inesauribile. È la via del coraggio perché – essendo coscienti che rimanere come siamo significa essere inservibili per lo Spirito – esige una trasformazione radicale di noi stessi.
Finché siamo troppo deboli per trasformarci, finché siamo afferrati senza residui dal risuonare invadente dell’apparire illusorio del mondo nella nostra anima, finché siamo continuamente in balía dell’ondeggiare degli stati d’animo, finché siamo trascinati e travolti dalle emergenze istintive, c’è ben poco che noi possiamo fare per lo Spirito. Semmai è lo Spirito che deve fare qualcosa per noi.
Attraversando situazioni critiche, molti si avvicinano alla Via spirituale proprio perché ricevono da essa equilibrio, chiarezza interiore, maggiore serenità, rafforzamento della volontà. Ovviamente, tutto ciò è giusto e persino necessario. Ma non è ancora la Via spirituale: è ancora la via egoica.
La via egoica può temporaneamente soddisfare, per taluni, l’esigenza di ritrovare un certo benessere interiore smarrito nelle alterne vicende della vita, ma non spingerà mai il discepolo alla radicale trasformazione di sé. Solleciterà la pratica dell’ascesi e degli esercizi nella misura in cui porteranno un contributo a questo “benessere” interiore, ma li bloccherà inesorabilmente non appena questi cominceranno a scalzare le fondamenta del servaggio alla natura animale. La trasformazione radicale di sé è frutto unicamente di una audace risoluzione, di una decisa volontà di superamento di se stessi e dei propri limiti.
La difficoltà ad affrontare risolutamente questa “natura” astuta e tenace, che ci domina e ci manovra, nasce dal fatto che questa “natura” è all’interno di noi, è identica a noi, è insediata nel nostro intimo, ma noi non la vediamo, non la conosciamo, proprio perché siamo identici ad essa: non siamo gli attivi autori di questo paralizzante atto di identità con lei. Lo subiamo passivamente per lo stato di sonno della coscienza e per l’anemia spirituale del pensare svuotato d’interiore sostanza vitale.
In questa condizione, ad una vita spirituale dell’anima torpida, esangue, approssimativa e perciò debolissima, si contrappone l’arroganza di una forte vitalità biologica e psichica, alla cui potenza di sopraffazione “sembra” non potersi contrapporre nulla di veramente efficace.
Per cui il sentiero della via eroica non può essere che quello del risveglio e del coraggio. Risveglio dallo stato di sonno spirituale e dall’oblio del proprio autentico essere. Coraggio di affrontare l’insorgente “natura” in noi, la sola forza che può dissolverne l’infero e mortifero potere: il pensiero vivente. Ma l’azione di questo pensiero risorto è azione di folgorazione della “natura” inferiore alla quale, normalmente, siamo imponentemente identificati. Per cui la “natura” in noi avverserà la Via del Pensiero, cercherà di attenuarla, di renderla piú “umana”, di alterarla in modo che non disturbi l’incontrastato dominio del sonno animale. Cercherà di portare all’abdicazione, ad una mascherata rinuncia rispetto all’impresa e alla mèta. Cercherà di interrompere l’esercizio proprio quando la concentrazione interiore comincerà ad essere efficace e la “natura” in noi avvertirà dolorosamente la pressione imperiosa dello Spirito. Il coraggio è, appunto, insistere laddove la “natura” ci suggerisce di abbandonare.
Il coraggio di procedere nel sentiero spirituale nasce e si alimenta della memoria del còmpito e dell’amore per l’Assoluto. Questa memoria, fedelmente rinnovata e lo slancio sempre riacceso di questo amore incitano a condurre l’esercizio interiore – ogni volta – ad incontrare e ad affrontare il limite che normalmente ci arresta e a tentare di superarlo; ci insegnano la necessità di evitare ogni forma di meccanica ripetitività, di ogni spenta routine abitudinaria, che svuota l’atto interiore della concentrazione della sua vitalità spirituale, e quindi della sua autenticità, della sua sincerità.
Ci è stato insegnato che lo Spirito è ciò che può essere voluto in modo assoluto, e che solo ciò che può essere voluto in modo assoluto è lo Spirito. Che per amore dello Spirito possiamo chiedere illimitatamente alla nostra volontà. Che si può volere oltre i limiti della nostra personale, “umana”, natura. Che per amore dello Spirito si può osare volere oltre i limiti del destino, oltre i limiti del karma. Che la volontà consacrata può tutto.
Chi ci ha indicato la Via chiamava questo volere “il coraggio dell’impossibile”, il coraggio di imaginare e volere oltre il limite che ci arresta, poiché questo limite è soltanto un pensato di fronte al quale smettiamo di pensare, uno stato d’animo oltre il quale non osiamo imaginare e volere.
Intuita la mèta, scorto il sentiero che vi conduce, non ha alcuna importanza quale sia il nostro passato, quanto poco ci sentiamo “degni” della Via, quanti errori, quante sciocchezze, quanti fallimenti e inadeguatezze ingombrino come macerie il sentiero da percorrere. Tutto questo è ancora soltanto un pensato. Invece, è l’atto della nostra libertà non farcene condizionare; malgrado e oltre tutto ciò, volere l’assolutamente nuovo, non abdicare al còmpito di realizzare comunque lo Spirito.
La Via del Pensiero Vivente, che Massimo Scaligero ci ha portato come un prezioso dono del Cielo, non è una via tra le vie, e – al punto in cui oggi si trova l’uomo – non è nemmeno la piú alta tra le vie, ma proprio a causa della condizione di urgenza e di pericolo nella quale si trova l’uomo, è l’unica Via, l’unica per lui non illusoria, quella che affronta coraggiosamente e radicalmente il male che colpisce l’uomo e rischia di distruggerlo.
Non è vero che la Via del Pensiero Vivente sia una via incompleta o superata. Al contrario è la via piú sicura, quella piú veloce, quella piú autentica, quella magicamente piú potente ed efficace. E ognuno può audacemente dimostrare a se stesso che è anche l’unica sicura, autentica, veramente efficace. Certamente non è amata dalla comodità egoica, la quale può essere tentata di cercare qualcosa di meno disturbante per l’inerzia interiore, che è il giogo degli Ostacolatori, i quali spingono all’abdicazione, alla latitanza, alla diserzione.
Ma proprio per questo la Via del Pensiero è la via eroica, la via del coraggio, la via della fedeltà all’archetipo celeste, la via dell’Amore.

Franco De Pascale