Volontà solare

Non è una drammatica e sterile contrapposizione ai propri istinti quella che può condurre al dominio di sé. La via ascetica o mistica, d’altro canto, salvo rare eccezioni, non fa che sospendere le tensioni e rimandar indefinitivamente il problema, quando non giunga a potenziare sotterraneamente, ossia sotto la serie dei pretesti moralistici, quanto v’è di meno regolare nella coscienza.
La via che si può additare come la più adatta agli uomini di questa epoca, è una “via della conoscenza”: si tratterebbe di realizzare oggi il contenuto del responso di un antico oracolo: «Conosci te stesso».
Occorrerebbe conoscere, oggettivandolo innanzi a sé, il proprio mondo istintivo, sino a scoprire in se stessi un secondo individuo, tessuto di istinti, che tende continuamente a sostituirsi all’io, ossia a prendere il posto dell’essere spirituale vero. Tale individuo istintivo non vive soltanto nella sfera della volontà inferiore, ma anche nei sentimenti incontrollati e nelle abitudinarie cerebrazioni, in tutte quelle attività mentali ordinarie che si svolgono sotto il segno dell’automatismo.
Un suo modo di essere dominante è la paura, anzi si può dire che la paura è quella forza sottratta alla volontà cosciente, di cui esso si alimenta di continuo, per rimanere identico a sé: esso è infatti un possente conservatore di sé, non ha altro fine che vivere, ripetendo i medesimi movimenti.
Ma occorre notare che il fenomeno della paura non è quello in cui simile modo di essere si esaurisce, ossia la paura non si presenta soltanto come tale, ma normalmente si mimetizza in tutta la coscienza ordinaria, passando per la sfera del sentire nella quale si presenta come apprensione, sentimentalismo, antipatia, avversione, sino a giungere nella sfera mentale in cui assume la veste di critica negatrice, di dubbio, pigrizia intellettuale, pensiero materialistico.
La paura è la forza con cui l’individuo istintivo difende se stesso in noi. Ciò spiega perché la contrapposizione ai propri istinti è una infeconda lotta, impostata su una inconsapevole finzione: è infatti una parte dell’anima compenetrata dalla paura che si contrappone all’altra parte in cui la paura e gli istinti congeniali direttamente si manifestano.
Occorre destare in sé le forze di una conoscenza che sollevi l’io all’altezza del suo vero dominio: una conoscenza che evochi nell’anima il terzo splendore dello spirito. Questo conoscere, esigendo un soggetto del suo compiersi, un soggetto realmente autonomo, in quanto conforme alle leggi del puro pensare e perciò connesso con le stesse forze regolatrici del mondo, un simile conoscere, potenziandosi, è in grado di riassorbire in sé le energie che originariamente gli appartengono, ossia redimere il mondo degli istinti, riesprimendoli come veicoli della sua centralità e della sua libertà.
È chiaro che un simile conoscere è qualcosa di ben diverso da ciò che normalmente si intende con tale termine: esso fa appello a quel “pensare indipendente dai sensi”, a quel pensare vivente, a cui si è accennato in qualche articolo precedente. È soltanto un’attività cosciente e affermativa del pensare che può isolare la coscienza centrale dalla invadenza degli istinti e da tutte le loro secondarie espressioni, da tutti i loro interni travestimenti. Si tratta di opporre alle diverse forme ossessive assunte in noi dagli istinti una ossessione cosciente, ossia un monoideismo voluto.
Una conoscenza che sia meditata dal limitato pensare razionalistico, porta inevitabilmente a cercare gli impulsi della volontà non nel mondo spirituale da cui essi veramente traggono origine, ma nella sfera degli istinti. Questa è la tragedia dell’uomo attuale. Il cosiddetto “uomo volitivo” dei tempi moderni è in sostanza soltanto un istintivo: la sua ostentata dinamicità è soltanto un’apparenza di forza, che del resto risponde a un modello concepito secondo un’anima e una cultura prodotta dalla coscienza riflessa. Ma questa nella sua sostanza è una coscienza istintiva.
L’educazione del pensiero, la meditazione, coltivata secondo il metodo cui si è accennato altra volta, danno il modo di affermare la coscienza centrale, quella in cui si può vivere effettivamente lo spirito, e di distinguerla dalla coscienza riflessa, intellettualistica in superficie, ma nella sua interna realtà tessuta di forze istintive.
Non v’è altra via per cessare di essere lo zimbello del giuoco degli istinti, per divenire effettivamente individui, per non cadere nell’autorecitazione moralistica e in tutte le analoghe ipocrisie. L’uomo deve finalmente volere, non più scambiare per sua volontà ciò che gli viene sotto varie forme dal mondo istintivo: deve poter percepire la sua volontà prima che divenga istinto, sino a creare istinti che gli obbediscano, in quanto obbediscono allo spirito in lui.
È evidente che questa stessa è la via della libertà, per l’uomo.

Massimo Scaligero

da «La Rivolta Ideale», giugno 1952