- Sul
finire degli anni ’60, già diversi ricercatori, perlopiú
giovani, avevano trovato nei libri di Massimo Scaligero un
riferimento di destino, spesso dopo lunghe e sofferte
peregrinazioni tra le nebbie di lontani santuari.
- Per chi superava alcuni ostacoli interiori e le feroci
critiche (viste in retrospettiva erano di una ottusità
impressionante) che da fronti opposti e persino da “amici”
venivano lanciate sulle “preoccupanti prese di posizioni”
dell’Autore, non era irrealizzabile l’incontro diretto
con Massimo Scaligero.
- Anche quando ci si sentiva in una
certa misura intimiditi dal sentimento della sua grandezza,
egli accoglieva fraternamente il visitatore, elevando, se
possibile, l’anima di questi ad un eccezionale “meglio
di sé”; in sua presenza emergeva un livello interiore
difficilmente raggiungibile dopo decenni di inappuntabili
discipline esoteriche.
- Si sperimentava il risultato di
ciò che è possibile allo Spirito piú che agli esercizi.
- Con l’andar del tempo, la
relazione con Massimo Scaligero poteva anche passare per
momenti personali e simpatici. Talvolta, pur trovandosi a
Roma per un sol giorno, si pranzava e si passeggiava
insieme. In questi casi una lieta spontaneità era ben
accetta. Del resto, come molti sanno, Scaligero possedeva un
formidabile senso dell’umorismo.
- Durante una mezz’ora, rubata ai
tanti e onerosi compiti, un giovane vivace che si lamentava
dell’asprezza del lavoro interiore, piú faticoso che
luminoso, espresse a Scaligero, con una frase, un infantile
sentimento d’invidia, a onor del vero provato da molti ma
taciuto da tutti: «Beato te, che sei già iniziato!». L’atmosfera
intorno a Massimo mutò letteralmente ed il Maestro, senza
sdegno o irritazione, ma permeato da una severità assoluta,
rispose: «Non devi dire cose del genere, sono sbagliate. In
quanto a me, non c’è momento in cui non possa tradire».
Come da un portale appena socchiuso, sentimmo per attimi l’ombra
di un immenso dolore e dell’inconcepibile lotta che
Massimo Scaligero affrontava senza interruzione dietro il
fragile teatrino della parvenza.
- Dopo oltre trent’anni, chi non
si è arreso ma combatte ancora sulla linea del fuoco,
seppur con forze non paragonabili, ha molto sperimentato ma
ha anche spesso tradito, non riuscendo a mantenere la
destità e la coerenza verso gli apici di Luce che lo
Spirito a volte, donando, richiedeva.
- Dalle rovine della presunzione
personale spesso abbiamo dovuto, faticosamente, ricominciare
tutto daccapo.
- Perciò, a quell’essere in noi
che non mente, chiediamo ogni giorno che ancora ci è dato,
se la Trasmissione sia sempre viva e verace, se il filo non
sia occultamente spezzato, e ricapitoliamo, in sintesi di
puro pensiero, ogni luminoso segmento dell’interiore
mandala dell’Insegnamento.
- Quando si è giovani è possibile
venir spinti verso l’Occulto da una vocazione “magica”,
ossia verso un’ascesi che si protende naturalmente ad
affermarsi nelle profondità della vita. Una tale vocazione
è antica ed immutabile, perché lo Spirito giunge sino al
minerale e oltre, chiedendo all’apprendista, come istinto
spirituale, di congiungersi con le forze creative tessenti
nei cieli della corporeità.
- Perciò diverse correnti spirituali intuiscono quale sia la
materia dell’opera ma non la Via.
- Occorre anzitutto stabilire una gerarchia di rapporti: Io -
Psiche - Corpo.
- Partire dall’Io è faticoso perché
si vive con la penosa
sensazione di dover sempre ricominciare tutto, è un
sentirsi senza appoggio in nulla.
- Perciò l’istinto rifugge dall’Io, cerca la psiche, il
sentimento personale, la sensibilità corporea in cui può
trovare tutti gli appoggi che cerca.
- L’asceta, appoggiandosi alla psiche, può tentare di
tutto, persino lo yoga originario, sforzandosi di giungere
all’“arresto delle funzioni mentali”, ma ignorando che
per Patanjali ed altre figure illustri piú recenti, la
mente è assimilabile all’attuale psiche.
- Da ciò deriva la necessità di molteplici operazioni
psicofisiche, mentre l’Io viene ricacciato nella
trascendenza: Io che nell’uomo moderno è immanente alla
sua attività pensante. Perciò le strade fuori tempo non
possono che smorzare la desta coscienza di veglia (in tali
condizioni si offrono copiose visioni interiori ma in un
indotto stato di mezzo tra veglia e sogno), subordinando il
pensiero a potenze corporee anche formidabili ma di cui si
diviene veicoli. Medianità yoghica o magica.
- Il primo incantato limite da
superare è il potere del dato, preesistente ed eterno,
quale che sia: fisico o spirituale, visibile o invisibile,
in quanto il dato non è opera nostra, viene da sé, poiché
per l’attuale grado di veglia il moto del pensiero gli è
asservito, divenendo passivo strumento del dato.
- Completamente diversa è la situazione nella quale il dato
viene costruito da noi, è il nostro stesso pensiero
(concentrazione). Sorge come ogni pensiero, ora esso è il
nostro pensiero ossia la nostra volontà: come in un punto l’Io
(e tutto il Mondo Spirituale) comincia a vivervi.
- Si osservi che anche in tal senso le varie vie allo Spirito
sono un nulla, perché si pongono come dati psicofisici,
eludendo l’attività ideale nella quale è presente l’Io.
- Ogni dato non risolto, non risorto in idea, è solo un dato
della natura, ossia di ciò che si oppone allo Spirito; ogni
sensazione fisica o parafisica è soltanto il limite di un’idea
che non si è ancora capaci di pensare: dunque è decisivo
afferrare il moto, l’essere del pensare.
- Il pensiero è l’unica realtà dell’uomo che non può
affermare di non essere senza essere: ogni tentativo di
prescindere dal pensiero è sempre un suo atto, ogni sua
negazione è una sua affermazione.
- Affermata la realtà di qualcosa fuori da ogni pensiero, non
ci si accorge di aver affermato il pensiero che una realtà
è altrove.
- Se, ad esempio, il mistico pensa un paradiso oltremondano al
di là dal pensiero ed il materialista pensa un mondo
materiale privi di pensiero, ecco manifestate due opposte
concezioni di pensiero che concepiscono univocamente il
reale diverso dal pensiero che tuttavia le pensa.
- Praticamente occorre pensare attivamente per accorgersi di
pensare, e soprattutto per giungere all’osservazione del
pensare che facile non è, sebbene sia soltanto l’estensione
del metodo dell’osservazione scientifica ad un oggetto
insolito, poiché quando parliamo di pensiero intendiamo l’assolutamente
terso pensare che “deve essere interamente voluto” da
noi.
- La natura non ci aiuta, e per giungere ad un risultato d’osservazione
occorre una specifica disciplina chiamata concentrazione,
che non deriva propriamente da un chiuso sistema esoterico,
essendo piuttosto l’estrema conseguenza logica della
scienza moderna, attuata. (Per quanto concerne ogni
approfondimento sul senso e modo di tale tecnica rimandiamo
ai molti ed esaurienti testi di Massimo Scaligero).
- Nell’ordinaria inversione delle
forze che veicolano la struttura umana, il corpo e la psiche
non favoriscono ma combattono contro la concentrazione, la
cui caratteristica saliente è l’assoluto
estracorporeo. A
tale condizione dovrebbe tendere il ricercatore cosciente.
La minima tensione corporea o l’inerenza alla sensazione
è sempre il corrispettivo di una carenza spirituale.
- L’“adamantino”, spesso evocato nelle parole di Massimo
Scaligero, è il puro estracorporeo realizzato nel
pensiero.
- Perciò la concentrazione non va soltanto “fatta”, ma
anche tentata con la massima indipendenza, che il corpo e l’anima
siano stanchi o malati o tesi. Grado indispensabile dell’ascesi
è il giungere ad abituarsi ad un pensare che si esprima con
autonomia quale che sia la situazione psicosomatica: la
concentrazione deve venir compiuta anche quando il corpo è
scomodo o mentre si vive un proprio dramma o, ancora, sotto
il pungolo di qualsiasi azione urgente.
- Provate ad immaginare un terribile leone che corre verso di
voi: non fuggire, non nascondersi, non avanzare a
combatterlo mentre vi sta raggiungendo, ma sedersi (o
rimanere in piedi ad occhi aperti, non ha alcuna importanza)
e ricostruire il concetto di chiodo, di tappo ecc.. Questa
sarà la prima azione propriamente umana che un individuo
può compiere.
- Con esempi del genere che paiono forse eccessivi, ci
sforziamo di caratterizzare un agire interiore che contrasta
le note direzioni dell’anima. Simili rappresentazioni non
sono propriamente conoscitive ma valgono come orientatrici e
rafforzanti per intuire l’indispensabile livello. Occorre
con una certa urgenza afferrare la ferma comprensione che un
pensiero, un pensiero qualsiasi, come ad esempio una
semplice formula matematica, può essere pensato in
qualsiasi situazione. Si può veramente immaginare il
rapporto tra lati ed angoli di un triangolo mentre si sta
seduti nel proprio studio o legati alla sedia elettrica.
- Non è impossibile: con ferma disciplina ciò che oggi pare
inattuabile sarà realizzato domani.
- Siamo consapevoli che la liberazione eterica del pensiero
non si improvvisa, tuttavia è realmente possibile da subito
attingerla sia pur per brevi momenti, nella retta
concentrazione.
- Anche se la retta concentrazione è difficile, rimane
tuttavia la strada piú breve e senza vere alternative:
finché la coscienza si identifica nel pensiero ordinario,
chiamato anche pensiero riflesso, si è sempre dominati dal
senziente corporeo.
- Si superi per intensificazione cosciente tale pensiero, si
conquisti la corrente del pensare, allora si è nell’Io,
perciò in relazione con il vero astrale, con il vero
eterico, con il vero corpo.
- Solo allora è permesso congiungersi con le Forze che
dominano il corpo, in primis con la corrente che ascende dal
cuore al capo.
- Per questo occorre ravvisare la condizione vera, non i
retaggi spirituali ma l’atto interiore che nel nostro
passato mai è stato compiuto: il vero sâdhanâ della nostra
epoca.
- Franco Giovi