Esercizi

Quando l’anima inizia a comprendere la natura dei processi che la obbligano nei percorsi indicati dalle Scienze spirituali, innalza barriere e insinua paure per minare l’intento che ci spinge sul cammino interiore che conduce alla Libertà dello Spirito.
Cosí accade sempre, e una coscienza sveglia che rechi in sé un sano sentire, comprende anche la necessità di mutare qualcosa nelle prospettive, nei sentimenti e nell’esercizio della volontà.
Possiamo allora tentare un viaggio nel tempo, per ritrovare la forza della ricerca, la magia dell’entusiasmo e della gratitudine per gli impulsi di destino che ci permisero l’incontro cosciente con la Scienza dello Spirito e l’opportunità, donataci, di poter tentare la strada della retta disciplina. Possiamo ritrovare intatta la gioia devota che sgorgò dalle fonti dello Spirito, quando, accompagnati fraternamente dalla Guida iniziatica, intuimmo nel nostro essere il tracciato dell’Operazione solare.
La nostra palese insistenza nei riguardi della disciplina interiore sorge dalla certezza che non debba in alcun modo essere abbandonata la grandissima opportunità che vige per coloro che Potenze spirituali hanno posto nella possibilità di adempierla. Se la sapienza occulta, a cui di fatto abbiamo subordinato la nostra vita, è stata davvero riconosciuta dal cuore, come potremo lamentarci dei sacrifici imposti dalla disciplina alle forze dell’anima e ad alcune situazioni della vita?
Avere l’opportunità di dedicarsi a quello che la disciplina esoterica chiede, è il piú mirabile dono del destino.
Ricordiamoci anche che in questa vita non saremo in grado di operare con grande energia all’infinito. Prossimi all’ultima stazione, probabilmente saremo in grado di applicare dedizione e determinazione a ben poco. Sarà il tempo del raccolto e del Mietitore. Cerchiamo quindi di seminare al meglio ora, in questo momento.
Se il solo pensiero di fare la Concentrazione evoca incertezza e preoccupazione, oppure, a operazione conclusa, ci si sente presi dall’inadeguatezza e dalla depressione, abbandonarsi, non resistere all’invasione dello stato d’animo per breve tempo, poi con lieve e costante progressione evocare per mezzo di riflessioni e immagini, ricordi e impressioni che stimolino obiettiva gratitudine. Gratitudine per chi ci ha guidato e per come ci è stata concessa l’opportunità di fare qualcosa di unico ed eccezionale; qualcosa che è un privilegio incalcolabile ed invalutabile, che, nonostante ogni nostra debolezza, contribuisce ad accendere nel nostro cuore e a riattizzare nel cuore del mondo il fuoco di un inestinguibile Rinnovamento.
Cerchiamo di concedere al sentimento della gratitudine qualche attimo della nostra giornata ed esso aprirà in noi un varco spirituale di risanamento negli alterati rapporti tra corpo, anima e Spirito.
Non crucciarsi se non siamo gli illuminati veggenti che probabilmente, quando iniziammo, speravamo di diventare. Quello che veramente conta è operare con forza e onestà per produrre qualcosa di buono, a partire da dove si è adesso.
Il minimo essenziale? Avanzare di poco nell’attenzione cosciente nella giornata di oggi, poi in quella di domani e continuare a farlo ancora, significa fare il concentrato del proprio meglio.
Quando, inevitabilmente, si fa il passo falso giornaliero, accettarlo con tranquillità e magari con una oculata dose di umorismo, risolvendosi di far meglio stasera o domani. Vivere portando al centro di sé la disciplina interiore è un privilegio troppo grande per venire irritati da sciocchezze, ovvero per qualcosa che non è andato come ci si era rappresentati. Cerchiamo dunque di fare il nostro meglio, affinché ogni giorno possa poi specchiarsi limpido nella coscienza: contemplando il cammino percorso con serena spassionatezza ma riscaldando il tragitto futuro con la soddisfazione di poter adempiere agli alti intenti dello Spirito.
Evitiamo di ritrarci di fronte agli avvenimenti. Tra gli speciali momenti in cui bisogna “farsi ciechi e sordi al mondo esteriore” e l’ampio decorso della vita, il ricercatore impara a divenire un essere, per cosí dire, duplice, ma l’equilibrio dinamico tra i due mondi va mantenuto ad ogni costo.
La forza del volere in atto (morale) si sviluppa in questo mondo e inizia con il non sottrarsi a tutto ciò che deve essere fatto.
Si potrebbe maturare tanto in libertà e potenza, se si accettasse di fare le cose al meglio, smettendo di rimandare le azioni già determinate. Invece di trovare ogni ragione possibile per cui qualcosa non può essere fatta, sebbene si senta in pieno la giustezza di farla, impegnarsi a sangue per farla, “ponendosi compiti a cui il corpo eterico, per abituale consonanza con la natura animale, tende a sfuggire”.
Occorre applicare questo cambiamento d’attitudine a molti aspetti della vita, senza tralasciare le attività piú familiari o irrilevanti. Allora si diventa liberi e capaci di assumere situazioni molto faticose o difficili.
Portarsi ad un superiore livello d’azione non si traduce automaticamente nell’acquisizione di risultati travolgenti, significa solo diventare capaci di immergersi in un volere piú profondo per incontrare nel profondo il soggetto che non si esaurisce quando termina la rappresentazione della vita.
Abbiamo già accennato all’irritazione, che diviene rabbia e persino odio cieco quando si fronteggia l’ostacolo insormontabile che arresta la nostra volontà. Le occasioni si presentano di continuo: dalla visita inopportuna che annienta quanto ci accingevamo a fare, o dagli ordini di lavoro ingiusti e irragionevoli, all’incontro con lo squilibrato che ci spintona facendoci cadere a terra. Sale in noi l’impulso a lottare contro tutto questo quando una vera lotta è impossibile, ma lottiamo lo stesso, resi feroci dall’impotenza, e devastiamo noi stessi: minando la volontà, danneggiando il sentire e, nel tempo, ammalando il corpo. Riusciamo con poco a distruggere l’organamento sovrasensibile prodotto dalle discipline.
Certamente l’ineluttabile non può essere evitato, ma come si agisce davanti all’insormontabile diviene una perfetta occasione per attingere a forze radicali, presenti oltre l’anima.
Davanti all’ostacolo, con tutta la forza di cui si è capaci, saturare l’anima con il seguente pensiero: “Quanto mi sta accadendo proviene da me, io stesso ho voluto questo evento”.
Non è un pensiero banale: osserviamo che, pur non negandolo, contraddice in assoluto sia la logica e la dinamica sensibile dell’accaduto che il nostro modo corrente di intendere la realtà.
La chiave d’opera è far balenare la nostra affermazione interiore con una intensità, certamente brevissima, ma superiore alla forza dell’impressione già ricevuta dall’avvenimento. Poi, se occorre, ripetere per riempire anima e corpo ma senza lungaggine. Far balenare il pensiero come un’ascia lucente che, scendendo rapida, fatale e precisa, frantuma un attimo della realtà e dell’immancabile reazione interiore.
Il sospetto di una certa autosuggestione, derivata dal pensiero suesposto, è comprensibile, ma non regge all’esperienza. Anzitutto si accenna ad una eventuale ripetizione solo quando la forza è carente, la massima intensità essendo la giusta direzione del processo. Inoltre, la breve azione interiore indicata va considerata alla stregua di un qualsiasi esperimento, da riprodurre per un certo numero di volte. Se, in base ai presupposti che in sostanza non mutano, l’azione viene compiuta correttamente alcune volte, l’esperimento riesce, poiché produce risultati concreti: dà frutti e non pensieri consolatori.
Si percepisce allora un insolito benessere nel sentimento, e lo si avverte come suscitato da un altrettanto insolito calore animico che promana dalla sfera del volere, la quale si avverte come intensificata dall’apporto di un ulteriore stato di potenza volitiva prima sconosciuto (può anche verificarsi la visione o l’intuizione del nostro essere immersi, circondati come da un fiume costituito da un volere possente ed intenso, colmo di saggezza, che agisce da fuori su di noi; ora questa volontà saggia attraversa la nostra pelle, fluisce dentro di noi).
Tale processo porta salute al corpo e all’anima, la volontà si rafforza come un’entità grande ed impersonale che si prolunga nell’illimitato; intense impressioni iniziano a gettare luce su taluni fra i piú essenziali enigmi della vita, ma a questo punto per lo sperimentatore dovrebbe diventare necessario un completamento esoterico che può essere colto meditativamente nei contenuti espressi da Rudolf Steiner nel terzo capitolo della Scienza Occulta.
Con l’esecuzione delle tecniche fondamentali, all’aspro sforzo individuale di superficie può coesistere in profondità una pura gioia, che lega i giorni della vita con intima e sana certezza, come se una silenziosa preghiera venisse costantemente esaudita. La disciplina consapevole, voluta ed efficace, diviene per l’operatore una necessità, perché, a seguito di questa, egli inizia ad avvertire vita nell’anima.
Parliamo di una percezione assolutamente non scontata, che non ha punti in comune o di confronto, per fenomenologia ed essenza, con tutte le emozioni conosciute e le sensazioni ed i pensieri che attraversano, spettrali, il vuoto interiore dell’esistenza, cosí tragicamente sofferto dall’uomo contemporaneo. La minima esperienza della vita nell’anima offre tanto respiro, sostanza e liberazione da non poter essere scambiata con alcun bene sensibile che il mondo potrebbe mai offrire.
Ribadiamo tuttavia che, indipendentemente da quanto possa essere mirabile e sapientemente acuta la conoscenza delle Opere spirituali, saranno solo le applicazioni di tali conoscenze che produrranno vita interiore. L’incantamento che ha separato nella coscienza umana conoscenza ed esperienza deve ormai cessare. Questo è ciò che vogliamo.
Ed è questo che troppi cultori di Scienza dello Spirito, con tenacia incredibile, rifiutano, pur di rimanere eternamente schiavi incatenati alla propria immagine sensuale e culturale.
Al contrario, l’asceta impara i cambiamenti affrontando infiniti gradini di morte, e matura allorché supera la sfera delle spiegazioni. Vinta l’opposizione centrifuga dell’anima, egli riposa nell’atto piú intenso: il contemplare. Nel contemplare, l’asceta apprende l’estinzione del percepito. Dallo zero dell’essere animico emerge il suono vivo della Parola interiore: “si inizia per lui una seconda vita”.

Franco Giovi