AcCORdo

La connessione cosmico-umana si afferma e si crea nell’àmbito di un mondo in dissoluzione: si assiste al corrompersi e al precipitare rovinoso di serie di strutture del passato, ma il tragico è che gli impulsi morti del passato assumono nuova funzione vitale fingendo la loro attualità e la loro presente necessità, contro gli impulsi spirituali reali dell’avvenire, a cui sottraggono ogni giorno lo spazio operativo.
Non c’è sosta dinanzi alla urgenza dell’impegno, rispetto alla situazione del mondo, inquietante, ma non necessariamente esigente la perdita, da parte nostra, della contemplazione calma. Questa è necessaria, perché il nostro pensiero umano divenga veicolo delle Gerarchie che operano a trasformare l’umano. Contemplare con serenità e afferrare il giuoco delle forze, intuirle, è importante.
Il meditare va portato a uno stato di assoluta verità e mobilità incorporea, a un’assoluta assenza di sforzo, cosí che il massimo riposo sia l’animare concentratamente un’imagine-sentimento (meditazione) o un’idea-concetto (concentrazione). Il segreto è far agire una corrente assolutamente indipendente dalla corporeità, cosí come il puro pensiero astratto.
Il senso della vita è l’individuazione di ciò che è universale e trascendente, perché riempia di contenuto l’umano, perché sia tale contenuto: perché il Divino si faccia forza individuale dell’essere libero. Molto difficile a dirsi senza apparire filosofia. Oggi l’aspirazione a fondersi – come in antico – con l’Universale, fuori dell’umano, in estasi o in samadhi, è una via medianica. Quando invece parlo di una vita “divinamente soggettiva” alludo all’universale che si fa una forza, dell’Io personale. L’Io Superiore diviene soggetto del proprio essere libero, la cui libertà per ora è solo egoismo, epperò la sua forza è illusoria.
Occorre attendere al lavoro quotidiano, affrontare il dolore e le prove, e, anche se solo minimamente, riposare: questo però deve essere essenziale, cosí che nel minimo riposo si abbia tutto il riposo, di tutto il giorno. Il pensiero del “riposo divino”, o quella da me tradotta come “quiete delle Gerarchie”, è il tracciato del riposo necessario alla ripresa della forza. Le Gerarchie muovono rapide fulminee essenziali ed inesauribili, non possono mai stancarsi, perché in sé riposano nel Divino, posano nell’identità con il Principio Creatore: muovono dall’infinita creatività. Cosí l’uomo che movesse dall’Io, in sostanza moverebbe dall’Infinito in sé, ossia dall’inesauribile. Colui che contempla il riposare profondo delle Gerarchie nel Divino, e s’immerge in tale contemplazione, per consonanza interiore comincia a realizzare il riposo profondo dell’Io nel Divino: ma deve contemplare quella immagine, non sentire il proprio Io.
In tale meditare, la tensione è di continuo sciolta dal lasciar essere la forza secondo la sua autonomia: l’immobilità dell’organo cerebrale è il risultato della massima concentrazione del pensiero, e la massima concentrazione del pensiero è invero incorporea, acerebrale.
Sino ad una folgore-luce che deve essere autonoma, assolutamente in sé, pura, dotata solo di proprio movimento: connessa con sé solo grazie ad aurea essenza di pensiero, al moto indipendente e inalterabile della Luce. La piú delicata operazione del mondo. Alla Luce risponde la folgore cosmica, la Spada di Michele, l’originaria forza del pensiero: quello che all’inizio era il pensiero creatore dell’uomo. In termini semplici, la via del Graal è questa possibilità di ricongiungere il pensiero liberato con la sua essenza cosmica: è la via di Michele.
Sulla linea del piú adamantino pensiero si giunge alla fonte del pensiero, alla mistica vera dell’Amore creante: si giunge alla sacra serietà della gioia creante, all’alto Mistero di Michele. Lí si comincia a essere “uomini veri”.

Massimo Scaligero

Da una lettera dell’aprile 1972 a un discepolo.