- Esiste
un aspetto della “questione sociale”, vissuta con forte
consapevolezza dai popoli delle società piú evolute, che
proprio in tali società non affiora, rimane impensato e per
ora impensabile.
- La
marcata evoluzione intellettuale e l’intensa coscienza
individuale, precipua, in linea di massima, all’area
occidentale (fa regola a sé il mondo nipponico, il quale
nonostante l’assimilata e persino esasperata modernità,
sembra conservare una sensibilità unica nei riguardi dell’oggetto
di questo articolo), ha dovuto pagare molti pedaggi alla
propria formazione, portando circa allo zero il patrimonio
di conoscenza e di visione relativo al Mondo Spirituale.
- La “questione
sociale” abbraccia molto di ciò che preme nelle comunità
tra doveri e riforme volte alla tutela dell’individuo e
dei suoi bisogni primari, ma traccia in ogni caso un rigido
confine al di qua, poiché si occupa soltanto di chi
vive.
- Eppure
una società umana davvero completa dovrebbe concedere una
non minima apertura di credito all’umanità che vive al
di là, oltre il confine: i defunti.
- Sappiamo
quanto suoni paradossale ai tempi nostri, anche se è facile
prevedere che nessun provvedimento sociale sarà mai
completo e realisticamente fruttuoso finché non si sarà
riconquistato un ponte che possa avvicinare l’uomo
sensibile che vive nello spazio e coloro che vivono fuori da
questa categoria. Un simile incontro possiede una fisionomia
sociale che non è economica o politica, ma di integrazione
tra l’uomo terreno e l’uomo sovrasensibile, che andrebbe
presentita qualora il pensiero umano intuisse l’altissimo
ideale dell’unità profonda di tutta l’Umanità.
- La viva
realtà dei defunti non è l’astrazione pietosa di chi
resta; molti, oltre l’amaro dolore per la scomparsa di chi
li amò e li sorresse, oltre l’orrorifico inganno
arimanico del cadavere percepito, presagiscono oscuramente l’ulteriore
presenza del defunto; non pochi, in momenti di sogno
veridico, tessono dialoghi essenziali con chi non abita piú
la nostra terra; alcuni sono ancora capaci di vedere i
morti.
- Poiché
stiamo scrivendo per persone motivate verso una visione del
Mondo Spirituale, troviamo subito i termini del quesito: in
che modo può essere trovato l’accesso al mondo dei morti?
- (Non ci
soffermeremo neppure un attimo nelle infette contrade della
medianità e dello spiritismo, antitetiche a quanto è
cristiano e solare, e che non dovrebbero lambire neppure gli
istinti di chi ha scelto la via purissima della Libertà e
del Pensiero Vivente).
- Nel
corso ordinario della vita confermiamo continuamente la
nostra esistenza riferendoci ad una centralità corporea e
psichica in opposizione ai nostri simili: «io sono, io
voglio, io credo…». Questo naturale egocentrismo nuoce
considerevolmente all’incontro con altri esseri umani, ma
sbarra completamente l’accesso ai Mondi Spirituali ove i
morti sono vivi. Un simile stato di cose va comunque
considerato equamente: il nocciolo di tale egocentrismo
consente la coesione della nostra coscienza di veglia, della
nostra capacità di percepire, pensare e volere.
- Per la
vita sulla terra la nostra coscienza di veglia esige una
netta localizzazione nello spazio: qui il soggetto, lí l’oggetto
percepito. Sino dentro noi stessi ciò pare cosí
naturalmente essenziale che di norma siamo incapaci di
rappresentarci qualsivoglia realtà che sia strutturata in
forma diversa da quella spaziale. In tale situazione, appare
evidente che l’uomo moderno non sappia nulla di ciò che
appartiene al mondo dei morti, poiché il defunto ha
abbandonato il corpo materiale e nella sua immaterialità non
può essere localizzato nello spazio. Poiché lo spazio
è una condizione fondamentale della coscienza desta, come
può essere possibile conoscere senza opporsi come soggetto
all’oggetto? Lo sforzo umano dovrà allora essere rivolto
a ristabilire una comunione con il mondo e gli altri uomini
che sia vivente di una vita che nel divenire storico egli ha
perduto, quasi senza sapere come.
- All’inizio
di una ricerca interiore indirizzata in tal senso, dobbiamo
portare alla luce della coscienza pensante il fatto che la
nostra comune autocoscienza ed i nostri sensi sono
imparentati con tutto quanto cade sotto l’azione di forze
distruttive e impietranti, mentre non percepiamo
assolutamente nulla della sfera dell’Essere in cui agisce
ciò che sostiene la vita e la rinnova incessantemente.
- È
possibile uscire dalla fissità del finito? Certamente! Ma
solo giungendo a slegare la nostra coscienza dalla presa
corporea, svincolandola anche dall’isolamento prodotto
dall’alterità del dato sensibile.
- Liberarsi
dei limiti personali senza smorzarsi e senza abbandonare la
conquistata lucidità individuale è il frutto di un
potenziamento illimitato e sottile delle forze dell’anima
quando queste siano perfettamente pure in se stesse. Questo
è attuabile soltanto attraverso la disciplina spirituale.
Concentrazione, contemplazione e silenzio sono i severi
veicoli che permettono alla coscienza di immergersi in altro
da sé: in un vastissimo mondo che può essere penetrato e
che simultaneamente ci compenetra. Allora svaniscono i
limiti della corporeità e il nostro essere si fa grande e
si eleva e si sprofonda nel tessuto vivo di forze ed esseri
universali.
- Inizia a
stabilirsi un rapporto del tutto nuovo con quello che per la
coscienza corporea era mondo esteriore. È il mondo, nelle
sue svariate organizzazioni e fenomeni, che cominciamo a
sentire come parte attiva di una nostra, diversa,
corporeità. Le forze sovrasensibili, il cui segno fisico
era l’arbusto o il cielo stellato, diventano in attimi
intemporali parti della nostra sostanza e noi diveniamo
parte di esse.
- Si
stabilisce un nuovo rapporto tra quella che nella nostra
vita cosciente chiamavamo corporeità e il mondo della
natura: cominciamo ad avvertire tutto quello che compone il
mondo esterno ed i suoi mutamenti come parte della nostra
corporeità, non in quanto apparire materiale, ma nel suo
essere sovrasensibile. Cosí ciò che ci appariva soltanto
come dato sensibile trapassa in mobile essenza che diventa
per noi sostanza interiore. Si potrebbe anche dire che tutto
ciò che circondava indifferente il nostro limite corporeo
diventa ora il vero corpo della nostra anima. La coscienza
desta si unisce alla
possente attività della vita. In un certo senso germogliamo
con il grano, sbocciamo con i fiori, scorriamo con il
ruscello, vogliamo crescere con l’erba ecc.: immagini
alquanto imperfette e soltanto indicative. Per questa via
entriamo nella sfera ove vivono i defunti.
- Poiché
essi hanno abbandonato la veste stretta e frusta che
comprimeva la potenza delle loro anime e le ancorava al
mondo sensibile, ora possiedono il corpo della natura
vivente e dei mondi stellari; espansi ed uniti a ciò che,
in opposizione alla corporeità distinta, è la dinamica
della vita, la sua forza plastica, il suo soffio ritmico.
- Durante
la vita, iniziamo a rapportarci al mondo dei morti quando
con silenziosa meraviglia ci immergiamo nell’espressione
artistica di un paesaggio naturale. Se talvolta si
permettesse all’anima di abbandonarsi alla pura luce di un
giorno invernale, oppure alla forza piena di speranza di un
mattino primaverile, o ancora alla pienezza feconda del
meriggio estivo, allora impareremmo il cammino sul limitare
del mondo dei morti e un riflesso della loro esistenza e
della loro attività scenderebbe nelle nostre anime.
- L’azione
dei morti è ben lontana dai parti prosaici e utilitaristici
prodotti dalle teste contemporanee; all’opposto essa si
apparenta in profondità alla piú sincera coscienza
artistica, a tutto quello che impressiona, anima e feconda artisticamente
la complessiva entità umana. La forza che si esprime in
tutte le arti (arte del pensare compresa) trova forse nella
musica il piú avanzato linguaggio per giungere ad un
veridico sentimento intorno all’esistenza dei defunti.
- Per i
morti la musica non è qualcosa di esteriore, essendo anch’essi
musica vivente nei campi delle Sonorità Creatrici che
vibrano attraverso la loro sostanza.
- Oltre la
mediazione della silente meraviglia della natura, dell’impressione
artistica, del sentire musicale, per una coscienza
minimamente addestrata e matura, i defunti possono essere
raggiunti attraverso un intenso sentimento religioso (non
confessionale!) che in essi non vive “dentro” l’anima
come nell’esperienza terrestre, ma che forma e sorregge la
sostanza stessa della loro anima: il defunto che percorre il
devayana è come immerso in una condizione di Spirito
Divino, la cui manifestazione è pace raggiante, devozione e
adorazione: sfera del Verbo Cosmico.
- In
sostanza, quando l’uomo dopo un lungo lavoro d’ascesi
merita di liberarsi dalla prigionia della testa, libera
anche le potenze dell’anima e l’anima stessa. Poi molto
viene, per cosí dire, da sé; come, ad esempio, l’esperienza
di una particolare comunione col mondo intero e la
gratitudine verso il destino che Rudolf Steiner indica come
caratteristiche per stabilire un ponte con i defunti. Per il
dettaglio e l’approfondimento del tema possono essere
reperiti diversi Cicli del Dottore, per la pratica si
consiglia il gruppo di conferenze intitolato Morte sulla
terra e vita nel cosmo.
- Comunque,
in certi momenti della vita interiore, tutte le
esperienze che ci sollevano oltre l’ordinario percepito
possono divenire punti d’incontro con i trapassati: un
intimo e approfondito studio antroposofico, il sonno e il
sogno se purificati da una Ars dormiendi conforme all’attuale
struttura dell’uomo, l’esperienza eterica della natura,
alcune intense impressioni artistiche, il quinto degli
esercizi ausiliari quando riesca davvero a fluire verso il
mondo, e molto altro ancora.
- Rimane
da accennare ad una operazione netta e decisiva che può
venire tentata ad un certo livello della disciplina occulta.
- Immaginiamo
l’uomo tripartito: testa, torace, ventre-arti, poi
colleghiamo a queste tre parti e nello stesso ordine
pensiero, sentimento e volontà, infine ricordiamoci che
questi tre aspetti dell’uomo animico celano altrettanti
Centri di forza sovrasensibile.
- Con gli
esercizi esoterici fondamentali operiamo direttamente con il
pensiero, indirettamente con la volontà e molto
indirettamente sul sentimento. Eppure è da questa zona piú
“lontana”, allorquando essa sia purificata (vuotata) dai
traboccanti sentimenti personali, che si avvia la potenza di
visione, la forza illuminante. Le condizioni per la sua
accensione sono il pensiero perfettamente dominato dalla
volontà e la perfetta quiete del volere: con questa
premessa l’elemento sottile di una immagine evocata o di
una percezione naturale non precipita negli abissi del
sistema metabolico (corporeità) e non viene attratto e
ucciso dalla gelida ragnatela del sistema cerebrale
(pensiero riflesso) ma “percuote” il Centro del cuore
che si risveglia attivandosi come un impetuoso e puro
torrente di emozione spirituale che scorre avanti,
veicolando luce veggente e amore illuminato nell’universo
(per questo fatto alcune tradizioni indicavano come vere
soltanto le orazioni svolte con il “cuore aperto”).
- L’accensione
del centro cardiaco, quella piú difficile, è ciò che
permette al discepolo della Scienza dello Spirito di donare
al Mondo la sua essenzialità e di ricevere immagini viventi
ed esseri del Cosmo di cui fanno parte le entità umane
sovrasensibili. Si sperimenta la nobile verità pronunciata
dal Buddha: «Tutto viene dal cuore, nasce dal cuore, è
creato dal cuore».
- Da Il
Domenicano bianco: «Ogni uomo è sí una colombaia, ma
non è anche un Cristoforo. La gran parte dei cristiani lo
presume soltanto. In un vero Cristiano le bianche colombe
escono ed entrano in volo».