- Gli
Indiani [d’America] non solo sanno di essere in rapporto
con i mondi spirituali, ma lo manifestano anche
esteriormente adornandosi di piume d’uccello. Le penne che
discendono per le loro spalle hanno lo stesso significato
delle ali piumate degli Arcangeli che appaiono in certe tele
del Rinascimento: vogliono essere la rappresentazione fisica
di organi di locomozione spirituale.
- Una
leggenda dei Pellirosse canadesi narra che una donna indiana
ebbe un figlio con Lucifero, l’astro del mattino. A questa
creatura semidivina e semiumana fu posto il nome di Piccolo
Astro. Piccolo Astro poteva vivere tanto sulla Terra, quanto
sul Sole e sulla Luna. Il Sole prese ad amarlo e gli rivelò
i segreti della danza del Sole e i canti che dovevano
accompagnarla. Perciò ogni anno, a primavera, gli Indiani
danzano sulla prateria la danza del Sole che li guarisce
dalle malattie. Il Sole dette a Piccolo Astro anche due
penne di corvo da portare in testa come segno che egli era
il suo messaggero.
- Questa
leggenda ha per l’occultista un senso chiaro. Le due penne
di corvo stanno in luogo delle due antenne spirituali che
vediamo, per esempio, sorgere dalla fronte anche del Mosè
di Michelangelo. Esse sono la rappresentazione fisica del
Fiore del Loto a due petali che sta nella regione frontale e
con il quale l’Iniziato entra in rapporto con le Entità
spirituali.
- Le
due penne di corvo che l’Indiano Pellirossa porta sulla
fronte sono il segno della sua comunione con i mondi
spirituali.
- Le
leggende indiane ricordano anche le condizioni di vita
proprio dell’Atlantide. Una di queste dice: «C’era un
tempo nel quale quella che è ora la Luna splendeva di
giorno e quello che è ora il Sole splendeva di notte. Il
loro lavoro era esattamente opposto a quello di oggi,
perché la Luna di oggi era il Sole e il Sole di oggi era la
Luna. Il Sole allora era pallido e argenteo e la Luna era
invece molto rossa e lucente».
- Queste
strane parole, in un certo senso, vanno prese alla lettera.
«Il Sole allora era pallido e argenteo». Proprio cosí. Le
condizioni atmosferiche sull’Atlantide erano completamente
diverse da quelle che si presentano oggi sulla Terra. Noi
esperimentiamo oggi, secondo le stagioni, giornate
meravigliose con il cielo azzurro e il sole fulgido, e
giornate nebbiose e piovose senza sole. L’uomo dell’Atlantide
non conosceva né il sole, né la pioggia. Egli viveva
durante tutto il corso dell’anno in una nebbia umida e
fitta che non si diradava mai. Attraverso questa nebbia il
sole gli appariva, come ci dice la leggenda indiana, pallido
e argenteo. L’Atlante non vedeva mai splendere il Sole nel
cielo fisico; egli scorgeva tutt’al piú una chiazza
luminosa che si spostava sull’orizzonte.
- Di
notte però egli viveva un’altra vita. Coricandosi sul suo
giaciglio, non cadeva in un sonno incosciente. Sognava, ma
le esperienze del sogno erano vivaci e reali. L’Atlante
nel sonno percepiva coscientemente il mondo spirituale. Il
Sole spirituale splendeva fulgido sul suo orizzonte. La Luna
– cioè l’astro ch’egli vedeva allora di notte nel
cielo spirituale – era rossa e lucente. Ecco in qual modo
una semplice fiaba indiana ci illumina sulle condizioni di
vita del continente atlantico.
- Naturalmente
il ricordo dell’Atlantide non è rimasto soltanto nelle
fiabe degli Indiani, ma anche nei loro riti religiosi e nei
loro testi storici. Questi testi storici e i libri sacri
venivano custoditi dai collegi sacerdotali, che, presso
tutti i popoli dell’America, erano anche gli
amministratori del sapere e i rettori delle università.
Diciamo solo di sfuggita che nelle scuole sacerdotali
venivano insegnate ai giovani non solo le scienze spirituali
e sacre, ma anche le scienze applicate, come la matematica,
la storia, la geografia, il diritto, il cerimoniale di
corte, la diplomazia, la strategia. Le fanciulle venivano
educate in speciali conventi di sacerdotesse, cosí che l’istruzione
era generale e diffusa presso tutti i ceti della
popolazione. Nessun popolo dell’antichità ebbe tanti
libri e tante biblioteche quanti ne esistevano, per esempio,
presso i Maya dello Yucatan.
- I conquistadores
spagnoli distrussero tutte le biblioteche e incendiarono
tutti i libri con feroce fanatismo religioso. La grandiosa
biblioteca reale di Tezcuco, contenente decine di migliaia
di opere, fu distrutta per ordine del primo vescovo del
Messico. Si salvarono soltanto due opere – il Codice
troano e il Codice velletreuse – che un soldato
si mise in saccoccia per pura curiosità. In tutto lo
Yucatan, i libri che si trovavano nelle biblioteche e nelle
case private furono portati in mezzo alle piazze e bruciati
in enormi falò. Gli abitanti assistevano ai roghi con volti
inondati di lacrime. Erostrato passò alla storia per avere
incendiato il tempio di Diana. Anche noi, ad onta perpetua,
vogliamo ricordare il nome di colui che avvolse in una sola
fiamma distruttrice tutta l’America centrale: il vescovo
don Diego de Landa.
- Pochi
testi ci sono dunque rimasti per attestarci la grande e
fiorente civiltà dei popoli abitatori delle Americhe. Da
questi testi sono ricavate le notizie che seguono.
- Il
12 Yuzcatli (30 gennaio) ogni quattro anni venivano
commemorate con cerimonie religiose le tre volte in cui il
mondo era stato distrutto. A ricordo di queste tre sciagure,
a quell’epoca dell’anno, si digiunava per otto giorni.
- A
questo proposito citiamo che i sacerdoti messicani
dividevano in quattro cicli, o Soli, la storia dei
rivolgimenti del globo.
1° ciclo o Tlatonitiuh – età della terra, corrispondente
all’epoca polare della Scienza dello Spirito.
2° ciclo o Tietonatiuh – età dell’aria, corrispondente
all’epoca iperborea.
3° ciclo o Ehecatonatiuh – età del fuoco, corrispondente
all’epoca lemurica.
4° ciclo o Atonatiuh – età dell’acqua, corrispondente
all’epoca atlantica.
-
- Nel
Codice Chimalpopoca, che contiene “La storia dei
Soli”, sono descritti i quattro grandi cataclismi
terrestri. Leggo alcuni brani che riguardano la distruzione
della Lemuria.
- «Durante
la terza epoca chiamata Quiahtonatiuh (Sole di pioggia di
fuoco) cominciò a cadere dal cielo una pioggia di fuoco
...ed in un sol giorno tutto fu distrutto. E nel giorno del
dolore, detto Chicometecpatl, si consumò tutto ciò che
esisteva della nostra carne. ...E mentre la pioggia di
lapilli si estendeva, la terra cominciò a ribollire e le
pietre si fecero di colore vermiglio».
- La
sommersione dell’Atlantide, Aztlan nel linguaggio azteco,
veniva invece commemorata ogni anno in una festa religiosa
speciale detta Atemotzli. Nel Popol-Vuh, o Libro
Sacro dei Quichi del Guatemala, si trova una drammatica
descrizione del diluvio che sommerse l’Atlantide.
- «Nel
giorno stabilito dalla volontà divina, le acque
cominciarono a gonfiarsi e a crescere. Il cielo si sciolse e
una spessa resina si posò sulle campagne. La terra s’oscurò
e la pioggia continuò a cadere ininterrotta: pioggia di
giorno, pioggia di notte. Si sentiva un continuo crepitare
sulle pareti delle case. Ben presto la grande inondazione
giunse al di sopra delle teste degli uomini. Allora si
videro gli uomini correre, spingendosi, pieni di
disperazione; volevano salire sui tetti delle case e le case
crollando li facevano ricadere a terra; volevano
arrampicarsi sugli alberi e gli alberi si sradicavano e li
trascinavano via; volevano ripararsi nelle grotte e le
grotte si chiudevano e li inghiottivano...».
- Un’analoga
descrizione la troviamo nel già menzionato Codice troano,
conservato nel Museo Britannico e tradotto dal Plogeon.
- «Nell’anno
6 del Kan, l’11 Muluc, nel mese di Zac, la terra fu scossa
da terribili terremoti che continuarono senza interruzione
sino al 13 del mese Chuen. La contrada delle colline d’argilla,
il paese di Ma, fu la prima ad essere sacrificata. Dopo
essere stata sconvolta in due riprese, scomparve
improvvisamente durante la notte. Il suolo oscillava come un
mare in tempesta poiché cedette del tutto. Si formarono
enormi crepacci che separarono le terre le une dalle altre.
Ciò avvenne 8.060 anni prima della composizione di questo
libro».
- Nella
lingua Maya dello Yucatan si chiama epoca Hun-Jecil
(sommersione delle foreste) quel tempo in cui la Terra fu
contemporaneamente invasa dalle acque e scossa dagli
sconvolgimenti vulcanici.
- Roger
Dévigne ci fa sapere che «i Peruviani raccontano che il
diluvio e lo sconvolgimento seguito all’emergere delle
Ande sopravvennero in seguito ad una straordinaria eclissi
di Sole durante la quale ogni luce scomparve per cinque
giorni».
- In
tutte queste tradizioni, sia scritte che orali, ci colpisce
la precisione dei particolari e l’esattezza scientifica.
Perciò non ci possono essere dubbi sul valore obiettivo
della loro testimonianza. I popoli delle Americhe
conservarono non solo il ricordo dell’Atlantide, ma anche
usi, costumi, cerimonie religiose.
- Nella
valle d’Anahuac si estendeva il piú grande cimitero del
Messico. Gli Aztechi lo chiamano Micaotli, la via dei morti.
Nel mezzo del cimitero si elevavano due gigantesche
piramidi, quella del Sole e quella della Luna. Otto viali d’accesso
attraversavano tutta la valle dei morti e terminavano di
fronte alle facce delle grandi piramidi. Tutt’intorno i
tumuli, secondo la disposizione degli astri. Ogni tumulo era
alto dieci metri ed era costruito in forma di piramide. Ogni
piramide raccoglieva i morti di una famiglia per piú
generazioni. I morti venivano posti uno accanto all’altro
e uno sopra all’altro, separati da strati di terra.
- L’usanza
della piramide mortuaria proviene dall’Atlantide. Gli
Atlanti innalzarono questi monumenti funebri dovunque posero
piede. Anche gli Etruschi costruirono piramidi, e i Latini
ne poterono ancora vedere qualcuna a Porsenna. Che cosa è
una piramide? Il termine azteco Micaotli è il piú giusto:
la via dei morti. La piramide s’innalza verso gli astri
perdendo sempre piú della sua ponderabilità. Cosí è
delle anime umane, che, attraversando il Kamaloka, si
spogliano giorno per giorno dei gravami terrestri.
- Sulle
piramidi mortuarie messicane e peruviane si vede scolpito il
Fiore del Loto “Chiave di Osiride”: un Tau con
sovrapposto un cerchio. Come il Loto, sorgendo dal fango e
attraversando le acque, sboccia appena giunge alla luce del
sole, cosí l’anima, partita dalla terra e passata
attraverso il Kamaloka, festeggia la sua fioritura nei mondi
spirituali.
- L’Atlantide
è scomparsa. Gli ultimi discendenti degli Atlanti sono ora
relegati in poche riserve, come selvaggina che sta
esaurendosi. Siedono all’ombra dei wigwam, le loro
strane tende, costruendo frecce e intrecciando canestri.
- Un
giorno un cacciatore canadese si sedette vicino a un vecchio
pellerossa e gli disse: «I vostri giovani corrono veloci
per miglia e miglia senza provare stanchezza. I nostri
fisiologi, che pur sono uomini di grande sapere, non sanno
spiegarsi questo fenomeno che va contro le leggi della vita.
Tu che cosa sapresti dirmi?».
- Il
vecchio rispose: «La nostra forza e la nostra grandezza
sono tramontate da un pezzo. Siamo diventati piccoli di
statura e abbiamo perduto le nostre forze. Per i nostri avi
sarebbe stato facile attraversare di corsa tutto un
continente. Le loro forze erano sempre fresche come l’acqua.
Anche gli animali in quei tempi erano diversi, molto piú
grandi e forti di ora. Il castoro e lo scoiattolo erano
potentissimi e ci hanno insegnato a costruire sull’acqua e
a vivere sugli alberi. Il nostro piú grande amico era il
coniglio. Il coniglio era un animale bellissimo: grande,
forte, coperto di ricca pelliccia, gentile e fedele. Ci
veniva sempre appresso e ci serviva da guida nelle immense
foreste. Ora tutto è finito. Noi stiamo spegnendoci
lentamente come la brace del fuoco».
- In
queste parole risuona il senso della fatalità. Questo
stesso senso di fatalità pervade le parole di Montezuma.
Egli disse a Cortez: «Sapevo che tu dovevi venire. L’ho
letto nelle stelle. Il tempo stabilito dagli dèi è giunto
e le profezie sono compiute».
- Cortez
aveva con sé cinquecento uomini, dodici archibugi, tre
bocche da fuoco, sedici cavalli. Con questi mezzi in poco
tempo ridusse in cenere un grande e civile impero. Nessuno
degli Aztechi si difese; tutti si lasciavano trucidare senza
opporre resistenza.
- L’impero
degli Incas fu sopraffatto da soli centocinquanta uomini
guidati da Diego de Almagro. Anche qui fu una carneficina
generale senza che dalle bocche delle vittime uscisse un
solo lamento. Gli occhi dei morenti erano rivolti al cielo:
là stavano gli dèi e gli avi che li avrebbero accolti tra
breve.
- Cosí
passò l’Atlantide anche nella memoria degli uomini. Sulle
immense distese dell’oceano battono l’ali le
procellarie. Altri cataclismi aspettano l’umanità. Niente
dura nel mondo. Solo lo spirito è eterno.