Acqua fuoco discordia e disamore

Socialità

ACQUA FUOCO DISCORDIA E DISAMORE

«La preghiera si ha quando la notte cala sul pensiero» (Alain); «Pensate cose belle e buone perché le dita dei vostri pensieri modellano senza tregua il vostro volto» (T.S. Eliot). Sono due pensieri, rispettivamente di un filosofo e di un poeta, sull’essenza e gli effetti del pensare. La Scienza dello Spirito fa del pensiero puro il veicolo principe dell’autorealizzazione dell’Io umano in chiave spirituale, per condurre l’essere pensante alla finale acquisizione della natura angelica e formare la Decima Gerarchia a conclusione del progetto Uomo.

Ma cosa avviene quando il pensiero da individuale diventa collettivo, quali effetti globali produce considerando la sua portata fisiologica e morale, la sua capacità di muovere le varie forze karmiche?

Dice Giovanni Colazza: «Ho accennato altre volte, in riunioni recenti, all’importanza che hanno i nostri pensieri come forze capaci di affluire nell’ambiente e modificarlo. È evidente, dagli insegnamenti della Scienza dello Spirito, che è sufficiente un piccolo numero di persone che lavori in senso spirituale, per migliorare permanentemente l’atmosfera di una città. Infatti, nell’episodio biblico di Sodoma e Gomorra, Geova disse che avrebbe risparmiato la città se ci fossero stati almeno sette giusti. Ciò significa che c’è possibilità di salvezza per una comunità, quando vi è un nucleo di persone capace di pensare fortemente nella direzione spirituale». (in Dell’Iniziazione – Tilopa, Roma 1992).

La moglie di LotEvidentemente a Sodoma e Gomorra le decine di migliaia di persone che popolavano le due città un pensiero unico lo avevano, ma non era certo intonato ai voleri e ai dettami dell’Eterno. Lot, che si era installato a Sodoma dopo la separazione da suo zio Abramo, nel 1750 a.C. circa, non condivideva affatto quel pensiero, e tanto meno si adeguava ai liberi costumi fescennini e depravati del resto degli abitanti. Per cui giunse a proporsi agli angeli messaggeri come unico portatore di virtú nel baratto di salvezza delle due comunità. Sappiamo dalla Bibbia, che il suo gesto sarebbe bastato a risparmiare i trasgressori incalliti e perseveranti, ma poi l’indecente insistenza di questi nel voler ‘conoscere’ (biblicamente) gli stessi portavoce celesti, fece perdere la pazienza al Padre e all’intero consesso delle Gerarchie, per cui un sulfureo diluvio di fuoco calò dall’alto sulle due città e le incenerí. La moglie di Lot ne rimpianse le futilità edonistiche. Nella fuga per la salvezza, voltandosi colma di rimpianto a guardare il rogo immane che stava consumando le due città, venne interita in una statua di sale. È ancora lí una roccia che abbozza una sagoma femminile protesa a scrutare ciò che resta delle due lussuriose città, ormai sommerse dalle acque del Mar Morto, la cui abnorme salinità anima oggi una spa terapeutica che ne sfrutta i fanghi. Morale: l’uomo sa ricavare persino dalle catastrofi il lubrificante degli affari.

Unico tra gli esseri creati portatore del pensiero, l’uomo può farne veicolo di bontà o di efferatezza. Nella conferenza “L’avvenire dell’uomo” tenuta a Monaco il 5 giugno 1907, del ciclo La saggezza dei Rosacroce, Steiner dice: «Tutte le anime che pensano materialisticamente lavorano alla creazione di una specie cattiva, mentre il lavoro spirituale avrà per risultato la creazione di una specie buona. E come l’Umanità ha contribuito a creare, e ha lasciato indietro gli animali, le piante e i minerali, cosí separerà la parte cattiva dell’umanità».

Se dunque a formulare cattivi pensieri è un uomo solo, gli effetti negativi delle sue idee agiscono nell’àmbito ristretto della sua famiglia, contagiano il luogo di lavoro, possono al limite influenzare una comunità. Ma quando il pensare cattivo pervade l’intera specie, rischiando di sovvertire l’ordine cosmico – certe idee possono espandersi e mortificare con le derivanti azioni il creato alle sue radici – ecco allora che intervengono forze di contrasto, riequilibratici dell’ordine compromesso. Chi crede, vede in tali forze agire la divinità, chi non crede, avverte lo scatto di un meccanismo di deterrenza naturale inteso a riportare alla misura canonica del­l’essere i fenomeni e i comportamenti.

 

Lotta tra Zeus e i TitaniUn suono spaventoso agitò l’infinito mare.

La terra intera emise un grande grido.

L’ampio cielo, scosso, gemette.

Dalle sue fondamenta il lontano Olimpo tremò

sotto l’assalto degli immortali dèi,

e vacillando fu preso dal nero Tartaro.

 

Nell’800 a.C. Esiodo descrisse con un poema, da cui i versi suindicati, la terribile guerra di Zeus, affiancato dai suoi cinque fratelli e dalle sue cinque sorelle, contro i giganti Crono e Titano: un conflitto cosmogonico terminato con la sconfitta dei Titani. Uno di essi, Atlante, fu condannato da Zeus a reggere sulle spalle in eterno la volta celeste e il peso del mondo. Suo fratello Prometeo, che aveva osato creare l’uomo plasmandone la forma dall’argilla e rubando il fuoco divino per darle vita, fu incatenato da Efesto al monte Caucaso, dove un’aquila veniva a divorargli il fegato, che di notte ricresceva e perpetuava il tormento. Figlio di Prometeo era Deucalione, l’unico sopravvissuto, con la moglie Pirra, al diluvio universale con il quale Zeus volle punire l’umanità degenerata. Per ricreare l’umanità sterminata, Deucalione consultò l’oracolo, il cui responso fu che per farlo doveva usare “le ossa della madre”. Responso oscuro, che però Deucalione interpretò nel modo giusto: lui e Pirra, camminando, si gettavano alle spalle dei sassi che si trasformavano in esseri umani.

Per combattere i Titani, Zeuz aveva messo in campo mostri dalle cento mani che emettevano tuoni e lampi, suscitavano terremoti. La Terra, scossa dall’immane conflitto, partorí a sua volta un mostro, Tifone, ben piú terribile di quelli adoperati dal re degli dèi:

 

Un mostro fiammeggiante con centinaia di teste

si sollevò contro tutti gli dèi.

La morte sibilava dalle sue tremende fauci,

i suoi occhi emanavano lingue di fuoco.

 

Apollodoro di Atene, anch’egli poeta e mitografo, vissuto nel II secolo a.C., descrive in un suo trattato sugli dèi la battaglia che vede Zeus incalzare Tifone con tuoni e fulmini per tutta l’area mediterranea, fino al Monte Casio in Siria, da qui in Tracia, sul Monte Emo. E mentre tentava di sottrarsi all’ira divina, Tifone sollevava montagne, facendone pullulare fiumi di sangue. Raggiunse quindi la Sicilia, dove Zeus, suscitando lingue di fuoco dal Monte Etna, riuscí ad annichilire il fuggiasco.

 

Stele della tempestaDeliri di mitomani, diranno i critici piú accreditati di qualche comitato di controllo del paranormale. E invece, no. La storia interviene sempre in aiuto dei sognatori con prove tangibili di ben solide realtà. Nel 1947, una spedizione archeologica francese ritrovò nel tempio di Karnak in Egitto una lastra di pietra sulla quale erano incise quarantotto linee di un testo geroglifico che descriveva un evento naturale catastrofico. Interpretando le incisioni, gli esperti furono in grado di rilevare la potenza e l’estensione del fenomeno: dopo un’esplosione apocalittica, si erano avute, per mesi, piogge ininterrotte e devastanti sulla terra, oscurità totale in un cielo di pece, onde del mare sollevate ad altezze inverosimili, le acque del Nilo arrossate e infette per i cadaveri degli annegati, vittime del cataclisma. La “Stele della Tempesta”, come venne denominata dagli scopritori del reperto, risaliva al faraone Amosis, il primo della XVIII dinastia. Que­sto faraone, per dati certi della storia, era riuscito a sconfiggere gli Hyksos, dominatori dell’Egitto per 400 anni. Piú che un popolo vero e proprio, gli Hyksos erano un coacervo di tribú semitiche nomadi, di cui facevano parte anche i beduini. Le piú consistenti tra esse erano governate da re pastori, ma benché il potere di questi rustici sovrani fosse assoluto, non riuscirono mai a darsi un’organizzazione sociale degna di una nazione costituita. Vagavano nelle regioni desertiche dall’Arabia al Sahel, e quando le condizioni della loro vita erratica si facevano piú dure e insostenibili, invadevano le terre fertili e ben approvvigionate delle nazioni stanziali, come avevano fatto gli Accadi, della stessa etnia degli Hyksos, che avevano invaso la Mesopotamia agli inizi del Terzo Millennio, usurpando il regno sumero. Gli Hyksos assoggettarono i faraoni egizi per 400 anni, dal 1950 al 1552 a.C., quando appunto Amosis riuscí a sconfiggerli, ricacciandoli nel deserto.

Ma in che modo la condotta degli Hyksos, come quella degli abitanti di Sodoma e Gomorra, derivando da cattivi pensieri, aveva suscitato tali forze astrali negative in grado di scatenare gli elementi e portarli all’estremo tragico climax? Razziatori piú che guerrieri, gente di mano piú che di mente, gli Hyksos avevano preteso dai sacerdoti egizi di aprire le stanze dei Misteri e di consegnare i testi sacri, nella stolta credenza che il potere e la ricchezza del Paese del Nilo derivasse da formule segrete, da scongiuri e amuleti. Molti sacerdoti pagarono con la vita il rifiuto di assecondare la sacrilega pretesa. La benedizione che i libri elargivano a chi li consultasse con devozione e rispetto si tramutò in terrificante maledizione.

Del resto, cosa aspettarsi da una genía eternamente vagante, incapace di stanziarsi per erigere templi e dimore stabili, città organizzate e amministrate secondo diritti morali e di civile convivenza? Tribú disseminate e sperse in regioni senza confini, che tuttavia avevano ferme e incrollabili credenze in deità cruente di natura ctonia, capeggiate da Sutheku, dio della tempesta e della guerra, il Baal dei Cananei, un’entità crudele e distruttiva, che gli Egizi assimilarono a Seth, o anche Tifone.

Tempeste, dunque, tifoni, rovine e morte da Sutheku e da simili deità infere. La stele ritrovata a Karnak era appunto una testimonianza dello scatenamento degli elementi in un dato contesto storico: il regno di Amosis. Un congegno esplosivo, una bomba di acqua e di fuoco. Ma chi o cosa ne aveva costituito il detonatore? Dopo esami al Carbonio 14 e riscontri cronologici, si è arrivati a individuare il dinamitardo responsabile dell’immane sconvolgimento nell’isola di Tera, l’odierna Santorini. Intorno all’anno 1552 a.C., regnando appunto Amosis I, l’isola-vulcano era letteralmente esplosa, collassando nell’Egeo e provocando uno tsunami con onde alte 90 metri, che avevano raggiunto Creta, l’Egitto e le coste asiatiche, affossando in poche ore l’intera civiltà minoica, producendo per risulta migrazioni e conflitti di sopravvivenza. Il Grande Diluvio, la guerra di Troia, l’Esodo, la fine del regno ittita e di Micene furono, si è ipotizzato, nell’immediato del fenomeno, e poi in uno strascico temporale di molti anni, in vario modo, conseguenze dell’eruzione di Tera. Un’apocalisse di fuoco.

Distruzione di AtlantideMa si sono azzardate le teorie piú spinte, ar­rivando a trovare nella catastrofe di Santorini, secondo la comunità archeologica americana, la quasi certezza che i racconti della deflagrazione di Tera abbiano fornito a Platone l’ispirazione per i suoi Dialoghi, in particolare quello di Crizia, zio del filosofo, che in un lungo monologo parla della rovina di Atlantide, come riferito dai sacerdoti egizi a Solone. Cogliere nel racconto di Crizia un richiamo all’esplosione e all’inabissamento di Tera è divenuto un processo automatico, per cui, l’equa­zione Tera-Atlantide è diventata dogma. Ma se pure l’identificazione tra le due storie è del tutto arbitraria, credibili sono i moventi che le giustificano.

Il principale tra questi è da attribuire, afferma Platone nel Crizia, alla perdita del contatto con il divino: «Ma quando la natura divina, mescolatasi spesso con la mortale, in essi fu estinta, e la natura mortale prevalse, allora, non potendo sopportare la prosperità presente, degenerarono, e a quelli che avevano occhi per vedere apparvero turpi per aver perduto le cose piú belle e preziose; ma quelli, che non sapevano vedere la vera vita rispetto alla felicità, allora specialmente li giudicarono bellissimi e beati, mentr’erano pieni d’ingiusta albagia e di prepotenza». Da qui, sostiene Platone, l’ira di Zeus.

Non si limitarono, gli Atlantidi, o Ionici che fossero, a rompere il patto con il Divino, fecero di piú: crearono deità tenebrose che reclamavano sacrifici cruenti, in cui «invece della pura bevanda del­l’ispirazione divina si beveva il sangue nero dei tori, evocatore d’influenze demoniache».

Il Vitello d’Oro, i culti di Baal, quello di Attis e piú tardi di Mitra. Il sangue, veicolo dell’Io, divenne oggetto sacrificale di liturgie demoniche. Scrive Schuré in Evoluzione divina, echeggiando Steiner: «Era la rottura con la Gerarchia dell’alto, patto concluso con le forze del basso. Fu la prima organizzazione del male, che ha solo generato anarchia e distruzione, poiché è l’alleanza con una sfera il cui stesso principio è la distruzione e l’anarchia. Là ognuno vuole piegare l’altro a suo profitto. È la guerra di tutti contro tutti, il dominio dell’avidità, della violenza e del terrore. Il mago nero non si pone solo in rapporto con le forze dannose che sono i detriti del Cosmo, ma ne crea di nuove, con le forme-pensiero di cui si circonda, forme astrali, incoscienti, che divengono la sua ossessione e i suoi tiranni crudeli. Egli paga il piacere criminale di opprimere e di sfruttare i suoi simili, divenendo il cieco schiavo di carnefici piú implacabili di lui, fantasmi orribili, demoni allucinanti, falsi dèi che egli ha creato».

E sempre Schuré scrive ancora: «La Terra è un essere vivente. La sua crosta solida e minerale non è che una piccola scorza rispetto all’interno del globo, composto da sfere concentriche di materia sottile, che sono gli organi sensitivi e generatori del pianeta. Ricettacoli di forze primordiali, queste viscere vibranti del globo rispondono magneticamente ai moti che agitano l’umanità: tesaurizzano in un certo senso l’elettricità delle passioni umane, per rinviarla poi periodicamente alla superficie in enormi masse. …Perché c’è una correlazione intima e costante fra le passioni che travagliano il mondo dei viventi e le forze che covano nelle viscere della Terra. Il Principio-Fuoco, il fuoco creatore racchiuso e condensato in una delle sfere concentriche della Terra, è l’agente che pone in fusione le masse sottostanti la crosta terrestre, producendo le eruzioni vulcaniche. Non è un elemento cosciente, ma un elemento passionale di estrema vitalità e di formidabile energia, che risponde magneticamente agli impulsi animali e umani con violenti contraccolpi. Ecco l’elemento luciferico che la Terra nasconde sotto altri gusci».

Eruzione Vesuvio 1944Sul finire del mese di marzo del 1944, i negozi di casalinghi della Piana Vesuviana, dell’Agro Nocerino e della Penisola Sorrentina fino alla Costa d’Amalfi dovettero far fronte a una forte richiesta di calderoni di rame e bagnarole di zinco. Il motivo? Era l’unico modo per ripararsi dalla pioggia di lapilli e cenere bollente che cadeva dal cielo: il Vesuvio eseguiva la sua ultima eruzione e lo faceva alla grande. Chi aveva provato a proteggersi dalla caduta dei frammenti piroclastici eruttati dal vulcano e proiettati a chilometri di distanza usando catini e pentole rimediate dal corredo di cucina casalingo se n’era subito pentito. I proietti espulsi con violenza alla velocità di 350 km l’ora, o forse piú, raccolti a formare una colonna di vari chilometri di altezza, ricadevano beffandosi di quei rimedi d’accatto e ci furono quindi vittime e feriti, da aggiungere a quelli che la lava faceva in prossimità del vulcano. Il Vesuvio non tradiva la sua fama: si accomiatava dalla storia pirotecnicamente. Di quel fantasmagorico passo d’addio ci restano i blocchi di lava pietrificata che fiancheggiano a monte la carreggiata dell’autostrada nel tratto da Torre a Scafati, e le foto aeree dell’e­ruzione scattate dai bombardieri B16 americani, le famigerate fortezze volanti, che partendo dalla nave Forrestal in rada a Napoli assestavano gli ultimi colpi ai tedeschi in fuga verso Nord.

Distruzione Abbazia di MontecassinoSempre ai puntatori ottici dei superbombardieri ‘alleati’, dobbiamo le riprese e le foto della distruzione integrale e capillare dell’Abbazia di Montecassino, effettuata un mese prima, su ordine del generale Freyberg, un ateo neozelandese, col beneplacito di Churchill e l’inutile veto di Clark, che, a suo onore, si oppose strenuamente all’ope­razione, ritenuta dal generale USA un puro atto di profanazione di un luogo sacro, del tutto sterile sul piano militare, essendo i tedeschi ormai lontani. Non cosí alcuni paesani del circondario che, per sfuggire alle bombe sganciate sugli abitati, si erano rifugiati nell’Abbazia, fidando sul fatto che gli aerei avrebbero risparmiato la sacralità del luogo. Il che non fu, e molti rimasero vittime della fiducia ripo­sta in un millantato fair play tra contendenti.

Richiesto un anno fa, in occasione del settantennio del bombardamento, di un parere in merito al drammatico evento, un’eminenza politica nostrana ebbe a dichiarare che la distruzione dell’Abbazia era stato un atto sacrificale, necessario al mantenimento delle civili, democratiche libertà del Paese. Salvo poi a strapparsi di recente le vesti per un paio di vetuste colonne del tempio di Baal a Palmyra, maldestramente, vistosamente spicconate dai brutali pseudoislamisti dell’Isis, a beneficio di chi meta­bolizza inganni. Non però la Terra, che tutto sa e regola, nutrendo il grano, eliminando il loglio. Lo fa periodicamente, puntualmente, drasticamente, quando la misura è colma, e l’uomo ha perso il contatto con il Logos che dovrà inevitabilmente ritrovare alla fine di tutte le cadute, le catastrofi e i silenzi.

Uno dei frammenti piroclastici che il Vesuvio eruttò nell’agosto del 79 d.C. colpí alla testa Plinio il Vecchio, accorso con una trireme da Miseno per studiare da vicino il fenomeno. Il grosso lapillo uccise Plinio, autore della sconfinata opera antologica Naturalis historia, la summa del sapere romano dei suoi tempi. Una sapienza che da tanto scibile era giunta alla conclusione che solo la natura è credibile, magari in alcuni casi imprevedibile, e la divinità nulla ha a che fare con il destino dell’uomo. Plinio era suggestionato da Lucrezio, nato proprio a Pompei, nel 98 a.C. e ivi morto nel 55 a.C. Lucrezio era autore del De rerum natura, la bibbia dei filosofi deterministi, il manifesto dei sensisti e meccanicisti di ogni epoca e paese. Spiegava ogni cosa e fenomeno con la sola legge naturale. Il Divino era una fisima per intelletti fiacchi e tremebondi. Concedeva uno spiraglio di sovrannaturalità solo al clinamen, il caso, l’imprevedibile. Il sasso che aveva ucciso Plinio rientrava forse in tale principio. Quanto la sua opera materialistica abbia contribuito a fare dei pompeiani dei dissoluti e sacrileghi non saremo noi ad affermarlo. Certo è che il Vesuvio, in quell’occasione, aveva in qualche modo adombrato, e forse anche avvalorato, l’ipotesi che quando l’uomo esagera, la natura, mossa dalla mano ignota degli Equilibri Cosmici, interviene per riequilibrare, riarmonizzare.

Lo “sterminator Vesevo”, come lo definiva Leopardi, che soggiornò nei suoi ultimi giorni in una villa ai piedi del vulcano, ora, dicono gli esperti, è “quiescente”, ossia addormentato, lasciando intendere che si tratta di un antico mostro in letargo ma pronto a risvegliarsi. Chi viaggia in auto tra Napoli e Salerno lo sfiora a una breve distanza, e coglie la minaccia di un drago sedato ma non del tutto vinto. Cosí è per i suoi due fratelli di magma, la Pelée della Martinica e il famigerato Krakatoa in Indonesia, simili al Vesuvio per la chimica della materia eruttiva, caratterizzata dal colpo di grazia ‒ quasi un atto pietoso ‒ della colata zeppa di gas: la nube ardente di miasmi arsenicati, con cui finisce l’opera distruttiva alloppiando le vittime in un sonno senza risveglio.

Calchi deigli addormentati di PompeiGli ‘addormentati’ di Pompei vennero poi ‘sigillati’ in calchi di cenere solidificata. Sono visibili ancora oggi, esposti tra le altre rovine degli scavi, alcuni abbracciati. Amore e morte. Poiché il messaggio ultimo di ogni civiltà, oltre la morte, è il desiderio di amare e di essere amati. Che fine hanno fatto le anime di quegli uomini e donne, vecchi e bambini, compressi in un sudario di pozzolana al calor bianco? Sono passate attraverso la trafila di un altro fuoco, la fiamma che affina e purifica. Sono tornate a vivere altre storie, creature umane agenti in diverse epoche e realtà.

Lo Spirito che anima le cose e gli esseri non muore. Ripropone la vita delle creature di carne e sangue, rigenera il mondo della materia. Accende nel pensiero umano l’inviolata scintilla di luce.

Ovidio Tufelli