Shasta, l'ultima Lemuria

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Shasta, l'ultima Lemuria

MoaiDi recente qualcuno si è chiesto: ma cosa ci sarà sotto i Moai dell’Isola di Pasqua? Con disappunto e rammarico gli esperti si sono resi conto che nessuno si era mai posto la domanda dal giorno in cui, la domenica di Pasqua dell’anno 1722, era approdato sull’isola Jacob Roggeveen, un naturalista olandese. E neppure se l’era chiesto un suo collega, il navigatore e cartografo La Pérouse nel 1786. Ora sappiamo la verità: i colossali monoliti antropomorfi nascondono sottoterra ancor piú della loro altezza emergente. Un mistero che viene ad aggiungersi a quelli esistenti.

Doppiato Capo Horn, La Pérouse aveva proseguito il suo viaggio risalendo il Pacifi­co, toccando le isole dell’emisfero australe e mappando la costa occidentale del continente americano, fino alla California. Qui La Perouse assistette a un fenomeno geologico eccezionale, che riportò poi nei suoi diari: l’eruzione di un vulcano nella parte settentrionale della California, una penisola che si distaccava dal continente e per un lungo tratto lo costeggiava verso Sud. I nativi della regione, divisi in varie tribú, dissero che il vulcano, denominato Shasta, aveva dormito per secoli, e il fatto che si fosse risvegliato annunciava grandi mutamenti nella natura e negli uomini. Il capo di una delle tribú, i Klamath, spiegò che se il fuoco dormiente si era risvegliato era perché gli uomini della grande foresta, gli Invisibili, avevano compiuto un rito per far scendere dal cielo il dio Skell. E il dio era disceso e parlava col tuono e con le folgori. I sacerdoti degli Invisibili ne avrebbero tratto insegnamenti e predizioni per il futuro del popolo e della penisola, che un tempo molto remoto era stata un’isola favolosa, governata dalla regina maga Khalifa. Poi, raccontavano i nativi, la grande terra si era inabissata nel mare, lasciando quel lembo di roccia che si era poi attaccato alla nuova grande terra che emergeva dagli abissi. Questa, dissero a La Perouse i nativi, era la storia della loro penisola, un tempo parte di un favoloso regno che un grande cataclisma aveva distrutto.

Di quel racconto venne utilizzato il nome Khalifa, che divenne poi California. Ma La Perouse non andò oltre nell’indagine per sapere chi fossero gli Invisibili e la grande terra inghiottita dal mare oceano. Di Atlantide si era a conoscenza da Egizi e Greci, ma di Khalifa e del suo favoloso regno sparito nei flutti, degli elusivi abitanti della foresta ai piedi del vulcano Shasta, che con molta probabilità erano i superstiti del cataclisma che aveva sconvolto la terra, niente si sapeva. Poi ci fu la California del “Gold Rush”, e dall’Est cercatori del prezioso metallo, coloni delle nuove terre rese disponibili, avventurieri di ogni genere, dagli amanti del rischio ai mercanti, agli antropologi e ai letterati, presero la via dell’Ovest e scoprirono la California e le leggende ad essa collegate, compresa quella che la voleva una terra residua del continente Mu, per alcuni, la Lemuria per la maggioranza degli studiosi che da quegli anni, l’inizio del­l’Ottocento, cominciarono ad interessarsene. 

La prima pubblicazione dal titolo The lost Lemuria data dal 1824, fu scritta da W. Scott Elliot, che si era già occupato dell’altra catastrofe geologica riguardante l’Atlantide e l’Isola di Poseidone. Poi arrivarono gli evoluzionisti, i naturalisti e i paleontologi come Laplace, Darwin, Hackel e tutta la magia dell’imponderabile e del trascendente si trasformò nella fredda analisi di fenomeni fisici.

Il monte Shasta

Il monte Shasta

Neppure Darwin seppe o volle vedere nelle Galapagos il residuo testimoniale di quanto era accaduto nella Lemuria, dove la separazione dei sessi aveva scatenato il caos passionale che aveva suscitato il Principio-fuoco, l’elemento luciferico racchiuso e condensato nelle sfere concentriche della Terra e che, rispondendo magneticamente agli impulsi animali, aveva fatto inabissare la Lemuria.

Per la cronaca, il Monte Shasta, con i suoi 4.321 metri d’altezza, è ritenuto dagli studiosi esoterici uno dei piú possenti centri energetici del nostro pianeta. Vi si verificano accensioni di luci e sfagli di iridi; vapori pulsanti aleggiano sulla sua sommità dove ghiacciai eterni stillano acque miracolose. Si parla di esseri che lo abiterebbero in forma eterica e che a volte si renderebbero visibili.

Il primo scalatore del monte fu Elias Pearce, nel 1854 e due anni piú tardi ne conquistarono la vetta Harriette Eddy e Mary Campbell McCloud. Nel 1900 arrivarono gli Italiani, per lavorare nelle locali imprese edili. Vi eressero cappelle.

Il Monte Shasta è oggi meta di esoteristi e amanti della natura, pellegrini e cercatori dell’invisibile.

 

                                                                                                                                                                                     Elideo Tolliani