I veleni del drago

Socialità

I veleni del drago

L’inizio del nuovo anno ha visto una stretta di vite sul tabagismo: viene sempre sanzionato chi genericamente fuma in pubblico, fatte salve le sempre piú rare smoking zone in cui è consentito praticare il tanto demonizzato costume di aspirare volute di tabacco. Rischia però multe salatissime ‒ si parla di centinaia di euro e oltre, fino a ventilate pene detentive ‒ l’incauto fumatore che, consumato per intero il breve segmento della sigaretta, ne getti la cicca, spenta o accesa che sia, per terra, si tratti della strada, del marciapiede, della spiaggia, del sentiero agreste o montano, della sala d’aspetto, dello scompartimento, insomma, di quasi tutti i luoghi aperti o chiusi in cui il tabagista, svolto il suo atto voluttuario, si sbarazzi del filtro che ha assorbito il catrame e la nicotina.

Tanto rigore da parte dell’autorità sanitaria pubblica si giustifica per i danni oggettivi che il fumo procura in chi ne faccia deliberatamente uso, malgrado sia avvertito dei rischi che corre, ma soprattutto il legislatore mira a tutelare chi viene danneggiato dal fumo cosiddetto passivo, ossia chi è costretto a subire gli effetti dannosi della nicotina e della combustione del tabacco, non essendo fumatore, obbligato però a sostare o vivere in ambienti in cui altri fumano. E quindi, ben vengano le sanzioni per impedire l’autolesionismo dei fumatori recidivi e garantire l’immunità a chi è costretto a conviverci.

Resta il dubbio che, volendo, lo Stato potrebbe mettere fuori legge il tabacco tout court impedendone lo spaccio, su cui peraltro ipocritamente lucra cospicui guadagni.

Tanta sollecitudine per il benessere del cittadino lo Stato dimostra anche nel caso dei contagi epidemici. Un tempo, quando la gente non andava oltre il cortile della fattoria, non superava le mura della città o al massimo i confini del contado, i rischi di contrarre morbi incontrollabili e innominabili erano assai ridotti. Le grandi epidemie massive come la peste nera o il colera erano fenomeni episodici, ciclici, e quando scoppiavano, come ben racconta Manzoni, a chi toccava toccava, e ci si commissionava non allo speziale o al cerusico ma alla Provvidenza, che nel caso di Don Rodrigo era un contrappasso karmico bello e buono.

Salad Bowl

Salad Bowl

Poi, con le invenzioni tecnologiche e le scoperte geografiche, la gente ha cominciato a muoversi, a viaggiare, a mescolarsi, dando origine a quello che gli antropologi chiamano salad bowl, facendo delle singolarità etniche e genetiche, te­nute gelosamente chiuse per millenni, una sola grande, variopinta e variegata insalata mista in cui le diverse identità si stemperano, acquisendo il tono e il sapore di un’umanità sempre piú lontana dai ristretti menú tribali per aprirsi a combinazioni antropogastronomiche tuttora in fase di sviluppo e definizione ultimativa. Cosa ci servirà sul tavolo della storia l’umanità in evoluzione è difficile immaginarlo. Si sperano pietanze non indigeste.

Tanto fermento di commistioni animicofisiche tra individui diversamente uguali e tra umani e animali costretti a inedite convivenze ha intanto avuto come primo risultato lo sviluppo di patologie virali di tipo altrettanto alieno, cui si è dovuto far fronte con misure sperimentali ideate ad hoc, con procedure e formalità spesso eccentriche.

In occasione della mucca pazza, della lingua blu degli ovini e dell’aviaria ‒ peste causata, si disse, dai migratori ‒ ai transiti doganali sequestravano persino i lecca lecca ai bambini e obbligavano i passeggeri in arrivo dai paesi considerati a rischio a calpestare appositi tappetini imbevuti di sostanze antivirali, mentre solerti operatori sanitari con mascherine da day after irroravano gli ambienti interni degli aerei e dei transatlantici. E magari il virus, se mai c’era, aggirava i controlli sorvolando liberamente ad ali spiegate dogane e confini. 

La zika

La zika

Ora il pathos da contagio riguarda una zanzara, la zika, che insinua, pare, un batterio nel liquido amniotico delle gestanti, un tipo di clandestino quanto mai subdolo e di difficile deterrenza. Anche dispettoso, si direbbe, poiché ha scelto il Brasile per esplodere. Già penalizzati al tempo degli ultimi campionati di calcio da varie carenze climatiche e tecnologiche, i carioca si sono visti rovinare il carnevale dalla zika. Niente viaggi da e verso il Paese piú grande e allegro del continente latinoamericano, per il presente, ma poiché la zika è solo al suo inizio, e a detta degli esperti non farà che peggiorare, quasi certamente la messa in quarantena del Brasile andrà per le lunghe e farà saltare anche le imminenti Olimpiadi, o le espleterà in un clima da ultimo giorno, con atleti muniti di mascherina antivirus, pedane intrise di cloro, diete da cenobiti e gare svolte in stadi e impianti desolatamente vuoti.

I complottisti sono già al lavoro distillando i loro caustici veleni. Insinuano che tante coincidenze non sono casuali ma dipendono dall’appartenenza del Brasile al gruppo dei Brics, i paesi ostili alla governance apolide, ossia lo stesso Brasile in joint sventure con Russia, India, Cina e Sudafrica. Ma si tratta di illazioni e sospetti di fervidi cervelli che vedono congiure e intrighi dappertutto, anche se, come diceva Giulio Andreotti, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, nel senso che il fumus persecutionis dei Romani antichi non di rado esala da arrosti concreti, volendo attenerci alla culinaria.

A ben guardare ai fatti dell’attualità, non si sa bene come sia giusto e saggio demonizzare il fumo, ritenendolo responsabile di tumori, enfisemi, turbe psichiche e disordini cellulari, insomma il grande mostro della civiltà tecnocratica, senza puntare il dito anche contro l’altrettanto pernicioso suo compare, l’alcol. Una bottiglia di centerbe abruzzesi, ebbe a dire Pannella quando a suo tempo si dibatteva se legalizzare o meno le droghe leggere, può sconvolgere sensi e neuroni piú di marijuana e crack, se consumata senza misura. Eppure, chiunque, in Italia, può entrare in un supermercato e rifornirsi liberamente di liquori e bevande ad alta gradazione, di gran lunga piú nocivi del distillato artigianale ricavato dalle infiorescenze di Velino e Gran Sasso.

Ci si ferma cioè ai guasti superficiali, senza considerare virus e bacilli assai piú letali che insidiano l’uomo. Sono piú sornioni, si paludano di bonomia estetica, il loro fare è accattivante, grazie a uno stile espressivo che tocca i registri animici piú intimi e profondi di chi entra nel perimetro dei loro influssi. Steiner ne denunciò la pericolosità: «La scienza materialistica non ha un’idea di che azione deleteria esercitino sulla salute, per esempio, le mostruosità dei cartelloni pubblicitari che continuamente ci vediamo intorno. Si ignora come le malattie vengano introdotte nel corpo per tramite dell’anima. Oggi, si vuol far risalire tutto soltanto ai bacilli» (conferenza tenuta a Kassel il 26 febbraio 1906, O.O. F526).

Tracce

Tracce

Ora, immaginiamo numero e genere dei cartelloni pubblicitari in uso al tempo in cui Steiner ha scritto le sue osservazioni, l’inizio del Novecento: rari e tutto sommato decenti prodotti visivi, rispettosi della resa estetica e dei valori mo­rali correnti a quell’epoca, quali pudore, buon gusto, religiosità, legalità. Insomma, si trattava di manifesti con immagini socialmente corrette, non di rado eseguiti su bozzetti di celebri pittori e disegnatori, che si proponevano di attrarre, suscitare come era ovvio l’interesse del pubblico, e non scioccarlo con scritte e figurazioni lesive dei buoni sentimenti.

Il cinema, che proprio in quegli anni si affermava come la nuova musa, stravolse la confezione dell’immagine e l’uso che se ne faceva: non piú statica ma in movimento, doveva suscitare forti emozioni, produrre col suo realismo dinamico un impatto sulla psicologia profonda dello spettatore. Le comiche esilaranti e clownesche, le azioni convulse e smodate degli attori, che dovevano sopperire con gestualità teatrali e mimiche facciali plautine alla mancanza del sonoro, ruppero, nel giro di pochi anni, la sobrietà composta e contenuta del­l’immagine fissa per scinderla in un caos nevrotico, in una frenesia ossessiva, cui le vicende disumane e folli della Seconda Guerra conferirono autorità espressiva, persino una dignità artistica e culturale. La televisione pose il sigillo finale alla stravolgente metamorfosi dell’immagine, che dalla fruizione esterna in teatri e sale cinematografiche, la portò a domicilio, nella piú gelosa e vulnerabile intimità dello spettatore, creandone la dipendenza.

Una religione totemica, che ha come oggetto idolatrico l’apparecchio televisivo, si è imposta con gli anni nell’esistenza degli individui, stabilendone gusti materiali e orientandone le scelte morali, oltre a quelle culturali e politiche. Non si muove foglia che il video non voglia. Ma ad agitare il feticcio mediatico e medianico sotto gli occhi delle masse tribali alloppiate dalle immagini ‒ che, bisogna riconoscerlo, quel genio beffardo, Signore e Principe del mondo, ha saputo confezionare ad arte, per cui, come ben preconizzato dai Maestri, ne ha sedotti molti, anzi quasi tutti ‒ non sono anime e cervelli timorati di Dio e ierofanti della Virtú con la maiuscola. Alcuni di loro sono esseri abitati da veri e propri asura, geni prevaricanti che frammentano l’Io dell’uomo, spingendolo verso ogni tipo di deriva conflittuale: personale e sociale, individuale e collettiva. 

Città bombardata

Città bombardata

Le pulsioni bellicose non sono ovviamente piú quelle selvatiche del troglodita armato di clava e ascia di pietra, ma si estrinsecano con modalità e strumenti sofisticati, come il progresso tecnologico e le evolute tattiche operative richie­dono. Si dà la morte in maniera chirurgica, con supporto anestetico, scientifica efficienza e per sacrosanta necessità. L’ecatombe di­venta cosí rito di normalizzazione.

Ma l’istinto che fa premere il grilletto o schiacciare il pulsante di sganciamento è quello ancestrale del cavernicolo ottuso e feroce. Cinema e Tv non fanno altro che proporci immagini cruente. Si tratta però solo di una pia illusione. Nella realtà, le visioni delle asettiche stragi compiute da agenti segreti, poliziotti, commissari, detective con licenza di uccidere ‒ ormai non piú solo uomini, dato che la donna in fatto di stragi massive e violenze spicciole ha colmato il divario con il sesso sedicente forte ‒ dallo schermo passano per osmosi otticocellulare nel corpo astrale dello spettatore e vi si annidano, quindi lentamente, nel tempo, viziano il corpo eterico, per cui anche il fisico viene toccato dalla tabe della violenza.

Immersioni pericolose

Immersioni pericolose

Si è tutti pervasi di frenesia lesiva che tentiamo di esorcizzare con gli sport estremi, con le corse in auto, i salti dai ponti e dai dirupi, o le immersioni tra gli squali. Volgiamo l’istinto omicida verso noi stessi in attesa di dirigerlo sul nemico di turno, che può essere il vicino di pianerottolo, il contendente del nostro spazio di parcheggio, il collega d’ufficio o di reparto in fabbrica.

Noi siamo ormai malati cronici nell’astrale, intriso dei veleni della competitività diuturna e ossessiva. Lottiamo per il posto auto, il posto al sole, il posto a tavola, il posto in fila. Rischiamo la follia e il suicidio per avere una stella in piú nella speciale quotazione dei masterchef di ristorante. È capitato allo chef tre stelle Benoît Violier di Losanna ai primi di febbraio. Si è ucciso per lo stress, poiché la fatica non è tanto nell’ottenere le stelle, ma perché occorre stare in trincea tutti i giorni, colpo in canna e baionette innestata, per mantenerle. Avevano gettato la spugna, come è accaduto a Violier, anche Bernard Loiseau nel febbraio 2013 e qualche mese dopo Pierre Jaubert, parterre de roi della cuisine francese, il che è dire il meglio della cucina mondiale. Si viene assediati da ogni lato da concorrenti agguerriti e dai giovani rampanti che gareggiano negli show gastronomici per ottenere l’accesso alle cucine masterchef, che è come essere ammessi alla Pléiade letteraria. Insomma, è guerra senza esclusioni di cipollotti e vol-au-vent, di ostriche e caramello. La spettacolarizzazione mediatica aggiunge un fervore eroico da lizza medievale alle contese, e la posta in palio non è la mano della principessa ma il grembiule da chef. E come nella cavalleria d’antan, il campione deve essere dotato di armi ad hoc.

È un principio base che viene inculcato nell’individuo già dall’infanzia: vincerai con l’arma giusta. Pentole e piastre di cottura, ramaioli e setacci, mattarelli e fruste della migliore qualità e soprattutto maneggevoli e affidabili nel tenere la cottura. Lo stesso per il giocattolo che ha da essere ‘educativo’ per il bimbo che, uscito dalle mura protettive di casa, dovrà affrontare il caos imprevedibile del mondo. E che c’è di meglio di un buon fucile automatico, mille colpi al minuto, mirino a infrarossi? Un aggeggio cosí lo portava seminascosto sotto il giaccone un uomo alla Stazione Termini di Roma, lo scorso gennaio. La fibrillazione terroristica ha messo in moto la macchina della deterrenza. Telecamere, testimoni oculari, agenti sguinzagliati, passeggeri in paranoia: Termini è stata per qualche ora terra di prima linea. L’uomo, un pizzaiolo di 44 anni, aveva terminato il suo turno di lavoro nel ristorante zona Rebibbia, aveva raggiunto la stazione dove aveva preso il treno per Anagni. Qui, si è poi appurato nel corso delle indagini successive, è andato a casa dei suoi genitori che hanno in affido il figlio di otto anni, che vede una volta la settimana, essendo separato. Il fucile, una riproduzione assai fedele dell’arma originale, era destinato al piccolo, per farlo familiarizzare con un arnese sempre utile con i tempi che corrono e con i cattivi incontri che si possono fare. Una bella sventagliata, e ci si apre la strada per la convivenza modulata sul pratico registro del mors tua vita mea, e amen.

Fucile a stazione Termini

Fucile a stazione Termini

Per la cronaca l’uomo, ripreso dalle telecamere di sorveglianza della stazione Termini, è stato diffidato per procurato allarme. Il fucile, però, non è stato sequestrato. Chi se la sentirebbe di far mancare un valido supporto didattico al futuro guerriero di una delle tante guerre democratiche, liberatorie che vanno scatenando, ad arte, ovunque nel mondo?

Intanto, il pargolo potrà fare pratica guardando alla Tv, in ogni ora del giorno e della notte, le imprese di Mission Impossibile, Agguato in altomare, i Quattro dell’Oca Selvaggia, X Files, Twilight, I Morti Viventi, i Vampiri. E poi i tanti fatti di cronaca nera, rossa o gialla che sia. Ti insegnano a sparare, a fracassare mobili e suppellettili, come usare la katana, il machete o il kriss.

«E pace in terra agli uomini di buona volontà!». Esiste la soluzione per una vita decente sul nostro pianeta. La formula ci è stata data secoli fa, bastava metterla in pratica. Forse non è neppure una formula o il dettame di un decalogo, è insita nel cuore dell’uomo, non è privilegio esclusivo di un popolo o di una religione. A ben guardare, infatti, la predicano tutti i credi e tutte le costituzioni, ma disarmarci delle nostre velleità predatorie, dei nostri spaventi e delle nostre vanità di dominio è un durissimo, difficilissimo passo da fare. È meglio regalare al bambino in affido ai nonni un kalashnikov piuttosto che un flauto traverso o un violino, altrimenti potrebbe crescere come uno smidollato votato al ‘volemose bene’, per cui si esporrebbe vita natural durante a ogni bullismo a scuola o mobbing in ufficio. O peggio ancora, potrebbe diventare un poeta, o un San Francesco che parla agli uccelli e ai lupi e finirebbe al TSO neuropsichiatrico.

Per carità! A scanso di errori irreparabili, un fucile mitragliatore è quello che ci vuole. E poi, non bastasse, arti marziali due, no meglio tre volte la settimana, e nel week end uno di quei campi paramilitari, con i percorsi di guerra. Insomma, farne un tipo tosto, ecco, uno che non si fa mettere i piedi in testa. Immaginiamo, questi saranno stati, piú o meno, i pensieri che avranno attraversato la mente del provvido genitore che andava ad Anagni per portare il dono, un surrogato di arma letale, al figlio, un bambino già straziato da una guerra per suo conto, con la separazione dei suoi genitori, il piú stupido dei conflitti. Che deriva dalle stesse scaturigini di ogni conflitto umano: vanità, predazione, durezza di cuore.

Gli Ostacolatori riusciranno a fare un buon lavoro, per trasformare una creatura di carne e sangue, di intelletto e Spirito, in un guerriero seriale senza pietà e peggio ancora senza intelligenza. Che non è la capacità di risolvere equazioni o armeggiare con provette, per rimpiazzare Chi della vita sa occuparsi con misura e armonia dal primo sfaglio di luce sul mondo, dalla prima vibrazione di una forma destata dal nulla al divenire. Per farne cosa, alla fine? Si spera l’Uomo. Un essere disarmato, ribelle ai canoni delle Entità che vogliono il fallimento del progetto divino: l’uomo che sa vedere nella realtà fisica il pulsare eterno del Logos.

Recinzione tra la Serbia e l'Ungheria

Recinzione tra la Serbia e l’Ungheria

Intanto, si erigono nuovi muri tra nazioni, e si rafforzano quelli già esistenti, come ha di recente fatto Israele, come ha fatto la Turchia, come fanno i Paesi dalla Grecia all’Ungheria, contro le cui frontiere si ammassano i disperati che fuggono da guerre provocate da interessi e progetti sovranazionali, da giochi finanziari il cui perverso meccanismo aleatorio è un ormai ingestibile distruttore della vera ricchezza del lavoro umano. Si brancola nell’oscurità della materia, una pania nella quale ci siamo calati da soli, sedotti dalla chimera che da essa potesse venirci la vita eterna, illudendoci che la maya fosse la realtà ultima e l’oro la panacea per tutti i mali. Eppure ci avevano avvisati che ben altro avremmo dovuto cercare e trovare nella parvenza fisica del creato, e non gingillarci con i bosoni e le onde gravitazionali. Ben altro ci tocca.

Scrive Rudolf Steiner nella sua autobiografia La mia vita (O.O. N° 28): «Trovare lo spirito del mondo non era dunque per me questione di conclusione logica, né d’un proseguimento della percezione dei sensi; era qualcosa che risulta quando l’uomo progredisce dalla percezione dei sensi al­l’esperienza del pensiero liberato da ogni elemento sensibile. …Chi riconosca al pensare la facoltà di percepire al di là di quanto abbracciato dai sensi, deve necessariamente attribuirgli anche oggetti di percezione che trascendano la mera realtà sensibile. Tali oggetti del pensare sono le idee. E in quanto il pensare s’impossessa dell’idea, si fonde con le sorgenti primordiali dell’esistenza del mondo. Ciò che opera fuori, penetra ora nello Spirito umano, sicché quest’ultimo diviene uno con la realtà oggettiva alla sua piú alta potenza. La percezione dell’idea nella realtà è la vera comunione del­l’uomo. Il pensare ha, di fronte all’idea, la stessa funzione che l’occhio ha di fronte alla luce, l’orecchio al suono: è organo di percezione».

Drago

Drago

Intanto le autorità impongono vaccinazioni contro la zika del Brasile e la meningite in Toscana, illudendosi e illudendoci che i bacilli si fermino con la chimica, cosí come le nazioni s’illudono che un muro possa garantire a chi ci si chiude dentro di proteggersi dai nemici esterni. Non hanno capito che i nemici peggiori sono dentro di noi, nel nostro astrale con­taminato da pensieri di paura o di odio. Come i nostri antenati draghi, sviluppiamo da soli i veleni mortiferi che nessun DNA, TAC o ECO potrà mai rilevare e nessun vaccino neutralizzare, e ci autodistruggeremo.

Solo svuotandoci di quei veleni, potremo accogliere in noi lo Spirito di Resurrezione!

 

L.I. Elliot