Neverland

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L'isola che non c'è

NeverlandReso celebre dalla favola di Peter Pan, non è un luogo geografico ma poetico, è un’isola cui si approda non per cercare un tesoro nascosto ma per la libertà, ossia per soddisfare in pieno le proprie necessità animiche. E le persone che abitano per destino storico un’isola, portano in sé, magari come crisma nascosto, la necessità di essere se stessi, di marcare cioè il perimetro esistenziale entro cui agire, creando le condizioni materiali e morali perché si esprima compiutamente l’Io personale in unione con quello collettivo e si sviluppino, attraverso lo spirito di popolo, le doti creative, in ossequio al disegno karmico delle Gerarchie.

Chi segue la Scienza dello Spirito coglie i retroscena sovrannaturali che presiedono agli avvenimenti della storia. Purtroppo, questa nostra civiltà globale, allontanatasi, si spera momentaneamente, dalla capacità e volontà di lettura degli eventi in chiave trascendente, adotta come unico e valido parametro di valutazione dei fatti il denaro, la necessità ormai maniacale di calcolare cioè quanto comporterà, in ordine di profitto o perdita, un certo fenomeno sociale, naturale o politico. La Brexit, ad esempio. Nel convulso periodo che ha preceduto la data del referendum del 23 giugno, sono stati intervistati i guru della finanza, gli esperti di trading, i politici e gli esperti in qualche modo coinvolti in quella che John Galbraith definiva “l’economia della truffa”. Tacitate o sabotate le poche voci che hanno accennato in sedi mediatiche defilate o clandestine che ben altro fosse in gioco di là dallo spread, dallo swap, dai subprime, dai bonus e dal rating AAA e simili arbitri di valutazione della virtù operativa di paesi, istituzioni, imprese e singoli operatori politici ed economici via dicendo, è stato dato spazio e parola solo a chi tesseva peana agli indici di mercato, ai dividendi e che nella sfera di cristallo, elaborata da Wall Street e dalla City, leggeva l’apocalisse dell’Europa, e per ricaduta del mondo, se il “Leave” avesse vinto sul “Remain”. Il che è stato, e subito è scattata la vendetta: crollo delle Borse europee, la Scozia e l’Irlanda usate come cavie (involontarie?) per suffragare un anelito di indipendenza da Londra, rea di leso ideale. Abilmente, surrettiziamente, è stata fatta circolare la velina che non solo fossero compromessi i soldi con la deprecabile decisione inglese di lasciare una UE ‒ quella che stabilisce la lunghezza dei cetrioli, il colore del formaggio, le quote latte e la taglia delle mucche frisone ‒ ma che si fossero calpestati gli ideali piú nobili di un progetto risalente ai tempi di Carlo Magno. Intanto a Roma, la mattina di venerdí post Brexit, quasi tutti i bancomat erano fuori servizio, e i mezzibusti delle TV embedded, praticamente tutte, esibivano facce quaresimali. Era iniziata la vendetta della governance: volete la libertà, l’autonomia, la sovranità politica e monetaria come gli Inglesi? E allora cominciate a sentire “siccome sa di sale lo pane altrui”: non piú Erasmus, non piú finanziamenti per iniziative di formazione, non piú fondi UE e relativi interessi.

Tutto ciò è opera del, non poi tanto abile, Pentolaio che, Lui sí, non vuole si faccia l’Europa dell’anima cosciente, estesa, come è nel karma universale, alla Russia, ora punita con sanzioni per essersi affrancata dal perverso gioco delle commodity e delle utility, e per opporsi alla ulteriore colonizzazione di aree del mondo, vitali per risorse naturali e per importanza logistica e strategica.

Neverland esiste in ogni persona come archetipo ineffabile e incontaminato: è un giardino concluso dove l’Io individuale, coeso con gli innumerevoli Io della comunità, del paese, del continente, del mondo tutto, costruisce, anzi tenta di ricostruire, il Paradiso Perduto. Che era però dono gratuito, elargizione senza controparte. È tempo di meritare il nostro: fare l’Isola che ancora non c’è ma che ci sarà. Che non sarà governata dalle contorte, inaffidabili regole della finanza e della speculazione, ma dalle chiare, armoniose leggi dello Spirito, come preannunciava Novalis in uno dei suoi Frammenti: «La forma di governo moderata è mezzo Stato e mezzo situazione di natura; è una macchina artificiale, molto fragile, perciò sommamente antipatica a tutti i cervelli geniali, ma è il cavallo di battaglia della nostra epoca. Se si potesse trasformare questa macchina in un essere vivente, autonomo, il grande problema sarebbe risolto. L’arbitrio naturale e la costrizione artificiale si compenetrano quando vengono risolti nello Spirito. Lo Spirito rende liquidi l’uno e l’altra. Lo Spirito è sempre poetico. Lo Stato poetico è il vero Stato perfetto».

Proviamo allora a dare spazio alla poiesis, allo Stato poetico. Chissà!

 

Elideo Tolliani