Caro amico, ti scrivo...

Considerazioni

Caro amico, ti scrivo...

…Per due motivi principali; prima di tutto perché sono felice di poterti dare una bella notizia; magari è bella soltanto per me, ma sono convinto che anche tu, dopo avermi letto in queste righe, potrai rallegrartene e sentirti soddisfatto come se le avessi pensate tu stesso. L’altro motivo è che ultimamente ci siamo lasciati non molto convinti l’uno dell’altro, e questo mi spiace, dal momento che non ha senso alcuno subire il fastidio per qualcosa che voglia dividerci, pur in modo parziale e, sono certo, anche temporaneo. Gli esseri umani hanno la possibilità di produrre opinioni diverse seppur legati da un obiettivo ideale, e parimenti quando, in tutta onestà, si danno da fare per perseguirlo, pure nella misura minima entro cui riescono ad equilibrare le forze avverse con quelle favorevoli.

Mito della cavernaHo trovato, anzi, ho ritrovato, un ‘testimonial’ di altissimo livello il quale, probabilmente non pensando in particolare a noi ma al genere umano intero, ha lasciato scritto venticinque secoli fa, tra le sue ultranote opere filosofiche, una cosa che oggi, piú che mai, potrebbe fungere da traccia e servire da canovaccio alla nostra minuscola divergenza, che pur dialetticamente sedata, resta tuttavia sullo sfondo e si staglia come fosse una nuvoletta oscura in un orizzonte sereno, e, diciamo cosí, non abbellisce di certo il panorama, ma fa stare piuttosto sovrappensiero quanti si erano programmati l’indomani una gita in montagna, magari con gli sci ai piedi.

Dal momento che né tu né io abbiamo di queste intenzioni, possiamo tuttavia prendere l’antico spunto offertoci dal signor Platone e adoperarlo quindi per impieghi maggiormente edificanti che non quelli naturalistici o sciistici.

Devo dirti quindi di aver scoperto una cosa che ritengo importante per un nostro migliore intendimento; stava nascosta tra le pieghe del famoso mito della Caverna, il quale, tu lo sai bene, compare nel Libro VII di Repubblica. E proprio scendendo nel dettaglio, sono stato colpito da quel prigioniero-schiavo che, liberatosi, sale alla superficie, e…  …e si trova subito in un mare di guai: la sua libertà deve essere pagata a caro prezzo. Ha vissuto da sempre nel profondo di una specie di miniera, dentro le viscere della terra, senza una luce, se non quella fosca di un enorme fuoco lontano, che invade e intorbida tutta l’atmosfera col fumo e con riflessi mostruosi di ombre guizzanti. Come fa ora ad esporsi alla luce del giorno, a riempire i suoi polmoni intossicati con l’aria fresca e pura del soprassuolo, e a percepire la misteriosa grandiosità del mondo circondarlo da ogni parte? Come fa ad abituare gli occhi semi­accecati e incrostati di caligine e sudore a sopportare la visione della nuova natura? È un miracolo se non impazzisce. Eppure, ci dice Platone, il nostro ce la fa; tiene duro e a poco a poco si adatta a quel mondo, a quell’atmosfera, e ci si adatta talmente bene che dopo un certo periodo (non occorre specificarne la durata, come so che piacerebbe fare a te) il suo nuovo habitat può accoglierlo degnamente. Egli intuisce che tutta questa immensa bellezza, questa grazia, varietà e abbondanza di luce, di piante, animali, fiori e acque sono per lui; per lui in quanto uomo.

Che gli succede allora? Gli succede che, come un fulmine a ciel sereno, si ricorda degli “altri”: dei suoi parenti, amici e compagni. Non può far a meno di provare l’impulso (nota bene, dico “impulso” come termine provvisorio e generico, ma poi ci ritorneremo sopra) di correre laggiú, anzi, là sotto, dove i poveretti sono ancora imprigionati e dar loro la buona novella, la notizia incredibile e gioiosa: «Amici! Amici! Sentitemi! Devo dirvi una novità stupenda e una verità senza uguali! Lassú c’è un mondo di luce che ci attende! È tutto per noi! Lasciate che vi spieghi!»

Sicuramente, mentre con passo baldanzoso scende l’ingresso della caverna e affronta le prime rampe scoscese, pensa di saper fare un discorso di questo genere, di dire qualche cosa cosí, e già pregusta, immaginando, la gioia, l’affetto e la riconoscenza che quei derelitti gli dimostreranno, di fronte a una novità di tale portata. La loro vita sarà mutata per sempre! Libero lui, liberi tutti!

Tuttavia, come diceva quel tale, che non era Platone, ma un uomo di epoche successive, i conti li devi fare con l’oste; se non lo fai, ti crei delle buone premesse per pagare salato. Datosi che sono molte le circostanze per cui una verità, affermata con forza, suscita nei destinatari una controforza se non maggiore, almeno di uguale intensità, ma di opposto segno.

Dobbiamo mettere in conto che il nostro amico, tutto esultante ed eccitato, si trova adesso a fronteggiare una situazione da cui era, con grandissimo sforzo, appena uscito. L’oscurità lo riavvolge, il fumo, entrando nei polmoni or ora ripuliti, lo rintossica; non ci vede quasi piú, e lacrimante, sbuffante, inciampando e scorticandosi per le dure pareti di roccia, alla fine riesce a piombare in mezzo ai suoi antichi compagni di sventura, che ovviamente, riconoscendolo a stento, altro non possono fare se non scambiarlo per un demente o un allucinato.

Anche il suo discorso, quello che avrebbe dovuto essere foriero di nitida chiarezza, di gioia da gustare in comune, è un discorso monco, fatto di frasi incompiute, di pensieri sconnessi, spesso interrotto da eccessi di tosse, conati di vomito, da attimi di malore subito ripresi con tragica determinazione nervosa, veemente, quasi isterica; insomma, per i non addetti ai lavori, un invasato, un esagitato, forse un facinoroso, un istigatore di chissà quali poteri; probabilmente un pericolo pubblico.

Purtroppo, amico caro, la scaletta è questa: se l’uomo vissuto nella caverna (ossia nelle tenebre dell’ignoranza, ci dice Platone) si accontenta di una conoscenza fatta solo di “ombre” (percezioni e rappresentazioni), senza mai chiedersene la ragione, senza mai supporre, nemmeno alla lontana, di come la luce del fuoco lo metta in grado di cogliere quelle immagini, e per quale motivo lo faccia. Tutto questo egli lo scambia per la sua normale condizione di vita. In tal caso l’acquiescenza al condizionamento diviene nel tempo talmente ottusa, talmente supina, da fargli perdere ogni connotato della sua identità. Vi si adatta, magari brontolando e mugugnando in ogni momento, magari imprecando e inveendo contro tutti e contro tutto, ma adagiatosi nel problema non troverà mai alcuna soluzione degna di questo nome.

Rinunciando alla libertà, rinuncia a se stesso; in tale caso, anche l’inferno può presentarsi come un luogo “possibile” in cui vivere, lavorare e figliare, dal momento che hai dato la tua disponibilità a comportarti da diavoletto o da diavolaccio.

Chiediti ora, per favore, come pensi che esseri simili al sopra descritto, reagiscano di fronte ad un loro “ex”, liberato, che ha colto la verità sulla condizione umana, e che in modo tanto coraggioso quanto sconsiderato torna dai suoi per aprire loro gli occhi, la mente e il cuore?

Pazzo, demente, sovversivo, sobillatore, infiltrato, nemico, traditore e infine odioso e paranoico. Questa è la trafila: i poveracci che si sono venduti, senza accorgersene, alla finzione dell’appa­renza, non possono fare altro che reagire cosí, per lo meno, in massima parte e misura.

Per cui, ecco che torniamo a noi due e al nostro topos di riferimento, chi ha colto il vero e sia pure nel modo piú elegante e sobrio, cerchi di dispensarlo a una collettività di codardi, non si aspetti segni di riconoscenza o di gratitudine, ma si prepari piuttosto al peggio.

«Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi». Parole sacre ma, a mio parere, possono essere proferite, esternate e diffuse soltanto da chi abbia reso la propria anima custode di tale sacralità, e l’abbia fatto non per un’ora o per un giorno, ma per ogni attimo della sua vita.

In altre parole, chi conosce a fondo l’umano acquisisce la capacità di trovare le parole giuste, di dirle nel tono giusto e nel momento giusto, in modo umano, riportando cosí l’ascoltatore in condizione umana, ove questi se ne fosse allontanato. E se, nonostante l’esempio del buon Platone, tu volessi insistere sul fatto che il detentore della verità deve sentire come suo preciso compito, nonché impegno morale, dire la verità sempre e comunque, in faccia a chiunque e in qualsiasi momento, vorrei rammentarti la figura del Cardinal Federigo, che scende dal suo pulpito ideale e astratto, per venire incontro a don Abbondio, dopo che il miserello ebbe la dabbenaggine di lasciarsi scappare quel suo: «Gli è, Eccellenza, che avrei voluto vedere Voi, al posto mio!».

Eroi non si nasce; la possibilità di diventarlo, tuttavia, vale per tutti, ma per ciascuno a suo tempo e a suo luogo, con la maturazione e la decisionalità che saprà scegliere. Chi porta in sé il merito e l’onore d’aver conseguito un simile risultato, conosce pure le parole, i toni, i tempi, le modalità e le conseguenze di quel che potrà dire in merito. Sapere, potere e volere agiscono in lui all’unisono, come forza unica; per tutti gli altri vale la regola del “chi vuole non può, chi può non sa, e chi sa non vuole”.

Che poi, in fondo, mi pare esser questa la causa prima di molti disastri occorsi all’umanità, dalla notte dei tempi ad oggi.

Capisco che da quanto ho proposto fin qui alla tua attenzione, tu abbia ricavato un certo interesse, ma mi pare già di sentirti borbottare la tipica frase di chi è a metà dell’opera e vorrebbe tenerne in mano la fine: «Dove vuole portarmi questo maniaco grafomane con le sue storielle platoniche?». Abbi ancora un po’ pazienza, che c’è dell’altro.

Ti sei mai chiesto perché l’acqua sia liquida? Ovvero, perché i fluidi si presentano cosí da essere ben diversi e distinti dall’aspetto con cui si presentano le altre sostanze? Ci sarà una ragione. E come mai non siamo andati a cercarla? Ci siamo sempre accontentati di vedere l’acqua cosí come appare, e per lungo tempo abbiamo creduto che ciò fosse sufficiente a costituire la nostra piccola conoscenza sul mondo e sulla natura.

Se un ragazzino, di quelli svegli, ti chiedesse a bruciapelo perché l’acqua si presenta in forma acquea, tu che fai? Gli dai un euro e gli dici d’andare a prendersi un gelato, che è meglio per tutti e due?

Sí, ti capisco, la Caverna di Platone e la forma dell’acqua non sembrano temi da intrecciarsi intimamente, ma tu prendili pure in via separata, e vedrai che presto o tardi il senso del primo si congiungerà con il senso del secondo e formeranno, en combine, un significato unico per il tuo intuito, che secondo me dovrebbe trovarsi in splendida forma, dal momento che l’hai lasciato a riposo per parecchio tempo.

Devi sapere, oltretutto, che anch’io, posto di fronte a questo interrogativo, sono rimasto senza parole e non riuscivo a darmi uno straccio di spiegazione. Ebbene, è stata una biologa a farlo, durante una sua lezione sulle interazioni molecolari, mediante ampia digressione.

Perché è cosí che funzionano le cose: che tu cerchi una risposta là dove c’è solo la domanda, e non pensi che forse ti devi distogliere da quel luogo, compiere un largo giro, incontrare molti concetti nuovi, per poi tornarci con un pensare piú arricchito e una visione maggiormente amplificata.

Del resto, lo stesso Rudolf Steiner, nella Filosofia della Libertà, ai fini di una metodologia d’indagine in chiave filologica, si era espresso nel senso che i campi concettuali possono a volte venire “allargati” (o anche “ristretti”) se tale variante serve a meglio intendere la logica del loro collocamento all’interno di un costrutto di pensiero.

E dunque la docente di biologia mi fece capire alcune cose sulla natura delle cellule e delle molecole in particolare, che destò immediatamente la mia attenzione. In breve, i legami tra le cellule possono essere forti (quando resistono a pressioni e condizionamenti esterni) oppure deboli (quando cedono agli agenti suddetti). Cedendo si spaccano, e devono quindi riequilibrarsi con nuove valenze tra le particelle.

AcquaPrecisamente la molecola d’acqua (H2O) è forte in sé e per sé, nelle sue tre parti componenti; ma i due atomi d’idrogeno (H) nel legarsi ad un atomo di ossigeno (O) appartenente ad un’altra molecola d’acqua, sono invece deboli, tendono cioè a spezzarsi con facilità. Che vuol dire? È semplice: se pensiamo di creare un tessuto, una stoffa e la vogliamo bella pesante (velluto, broccato ecc.) creeremo un ordito fitto e senza spazi liberi; se invece vogliamo costruire un tessuto tipo organzino o chiffon, dovremo permettere che l’ordito sia a maglie, cioè con larghi spazi tra punto e punto.

L’acqua ha quindi, rispetto ad altre sostanze, un tessuto molecolare lieve, leggero, elastico, in continua ricerca di stabilità, le sue molecole tendono a scivolare una sull’altra, e la conseguenza è che si presenta come un elemento liquido. Infatti portandola a temperatura zero, abbiamo la controprova: i legami tra molecola e molecola si rinserrano, diventano forti, e la sostanza si presenta solidificata.

Ecco fatto, con poche righe ho riempito una mia (probabilmente non solo mia) lacuna, ma non l’ho fatto in vista di rendermi bello ai tuoi occhi, mi è solo parso una cosa buona darti il modo di rilevare che, se incontri qualcuno che ha bisogno di una risposta diversa da quelle “a tampone” con le quali spesso sbrighiamo le questioni su cui sappiamo molto poco, dobbiamo rimboccarci le maniche e metterci a pensare piú approfonditamente dell’usuale.

Non è detto che quella che cosí emergerà sia la definizione per eccellenza, anzi, sono certo che non lo sarà ancora per un bel po’, ma senza dubbio grazie ad essa il nostro pensiero ci svelerà qualcosa in piú su un fatto semplice, apparentemente trascurabile. A tale semplicità abbiamo sacrificato il motivo di non pensare ulteriormente, di accontentarci della prima banalità di comodo che ci passava per la testa: la forma piú elementare del sapere nozionistico.

Sei sempre lí a chiederti che diavolo c’entri tutto ciò con la caverna di Platone e il suo evasore?

Allora possiamo chiudere il discorso e provare a tirare la sintesi dai due racconti: nel caso della caverna, il cosí detto “liberato” , eccitato e felice della scoperta davvero rivoluzionaria, non ha minimamente preso in considerazione lo status dei suoi amici e di come tra essi e lui medesimo ci sia un baratro incolmabile anche per la novità meravigliosa che egli voleva donare: c’era, cioè, un grado molto diverso di disposizione interiore nei riguardi del conoscere.

Nell’uomo avviatosi con decisione alla libertà, tale disposizione è forte, resiste ad ogni attacco e addirittura si rinvigorisce quando gli vengono frapposti ostacoli e insidie; non teme, ma anzi cerca i cambiamenti e li prova per esperire la loro eventuale validità. Nell’uomo, av(vinto) dalle tenebre dell’ignoranza, tale disposizione, atrofizzata da tempo, scompare, non ve n’è traccia. Gli uomini che sono imprigionati nella caverna (o nelle loro credenze, o nelle ideologie di massa, o in un qualsiasi altro comodo rifugio psichico, galleggiante tra il sogno e l’illusione) difenderanno invece a spada tratta la reclusione allucinante e fittizia, addirittura crudele, che si sono costruiti per rinserrarvi l’anima. Non accetteranno mai cambiamenti, ma solo le finzioni di questi. In realtà a costoro sta a cuore una sola meta: mantenere intatto, qualsiasi sia il prezzo da pagare, il loro carcere, solo per l’inconfessata ‒ e inconfessabile ‒ paura di un radicale sovvertimento dello status quo.

Si potrebbe dire che quel tipo di rifugio, ancor prima d’essere “peccatorum” è un “refugium pavidorum”.

Il punto in predicato tra noi, se ben ricordi, era proprio questo: che tu sostenevi la verità comunque, dovunque e di fronte a qualsiasi interlocutore; io invece viaggiavo con prudenza, e dicevo che ad ogni cosa spetta il suo tempo; non si può dire sempre la verità a tutti, ma la si può indicare in tanti modi, magari anche solo accennandola, a chi dimostri di volerla, di amarla e di rispettarla.

Se la brava biologa che in modo cosí semplice ed elementare mi ha rivelato qualcosa traendolo dal retroscena del mondo molecolare, l’avesse fatto, magari in veste professorale, sessanta anni fa, penso proprio che non sarebbe riuscita a destare il mio interesse: a quell’età i comporta­menti delle molecole e degli atomi mi lasciavano del tutto indifferente.

Costretto, potevo sí studiarli per poi ripeterli a memoria, ma questo, come tu certo capirai, non può costituire quella cui oggi noi diamo il nome di conoscenza.

Il magister d’Atene ha delineato il dramma con cui inevitabilmente si scontra chi, toccata con mano una verità incredibile, vuol ora renderne edotti quelli che non l’hanno intravista neppure di sfuggita e ai quali, forse, non interessa nemmeno poterla intravedere.

L’aneddoto dell’acqua-liquida invece ci dice che tra il dire e il non dire, ci sono delle possibilità interessanti, tra le quali quella di incuriosire qualcuno e lasciare che sia lui a sporgere richieste di specifico chiarimento, oppure mettere a sua disposizione gli strumenti necessari affinché certe domande comincino a prender corpo, ad affiorarglisi nella mente “sua sponte”.

La Scienza dello Spirito, come sai, ci propone quattro vie conoscitive: la materiale, l’imma­ginativa, l’ispirativa e infine l’intuitiva. Mi pare che per le prime due dovremo adattarci alle regole di cui sopra; se il tema in questione è di sostanza terrena, l’esperienza materiale e immaginativa possono bastare per cercare qualche soluzione valida. Ed è compito dell’essere umano applicarsi a questo con grande dedizione, pazienza e buona volontà.

Ma se la questione afferisce a temi che partecipano alla vita dell’anima, e quindi possiamo definirli intimamente spirituali, allora è opportuno che la ricerca sia personale, solitaria e silenziosa. Sarà lo Spirito stesso a garantirci attraverso l’ispirazione e l’intuizione se, come e quando esternare le verità che possiamo aver colto meditativamente in qualità di operatori della nostra interiorità.

Forse tutto ciò sembra un controsenso, in quanto la vita dell’uomo verrebbe per cosí dire suddivisa in due parti; una esterna, sociale e impegnata là dove volere, bisogno e destino ci portano; l’altra, interiore, non palesata, ma ancora piú intensa e produttiva anche se indipendente da azione esteriore, e intenta là donde l’anima avverte provenire la sua Luce.

Ma non c’è nulla di strano, avendo ogni uomo due fuochi, come le ellissi, egli deve attuare le disposizioni dell’uno (l’Io) contemperando le esigenze dell’altro (l’ego). Per riuscirci bene deve avvalersi della sua facoltà di cogliere idee morali, e della capacità, quasi artistica, che gli consenta di capire, volta per volta, il modo ottimale per portarle ad effetto entro i limiti del contingente.

Una coscienza fortemente materializzata non ne sarà capace; troverà soltanto espedienti e compromessi. NavicelleE questo mi pare sia anche il pensiero con il quale ti rivolgi agli accadimenti quotidiani della vita politica del nostro paese. Ma ci sono pure coscienze che in qualche modo hanno saputo, almeno in parte, liberarsi dall’impaccio dei vincoli egocentrici e hanno preso atto di una nuova dimensione, rispetto alla quale quella precedente non può che definirsi antiumana.

Da quel che costoro sapranno trarre, sperimentando la verità alla quale si sono congiunti, dipende il futuro dell’evoluzione umana.

A te il mio cordiale saluto, e ad entram­bi l’augurio di recuperare goccia a goccia una sempre miglior autonomia dal Grande Mare delle Necessità, su cui facciamo andare le navicelle delle nostre fragili esistenze.

 

Angelo Lombroni