La via del bosco

Socialità

La via del bosco

PorcilaiaSconvolge vedere e sentire notizie come quella del grande chirurgo, oncologo di chiara fama, luminare della medicina palliativa del dolore, per cui si era fatto persino promotore di una legge in parlamento, che per libido incontenibile di soldi e potere è arrivato a usare come cavie pazienti ricoverati in una delle cliniche e strutture da lui dirette, al punto da essere dichiarato dagli inquirenti, che lo hanno poi incriminato, “animatore di un sistema di corruzione permanente”. Ebbene, prendere conoscenza di un tale deragliamento umanitario, professionale e morale, porta a concludere che l’essere umano, il sedicente homo sapiens, antropologicamente definito ‘mangiatore di pane’, in alcuni casi è trattato persino peggio dei mangiatori di ghiande, i maiali, specie del genere femminile.

Per visitare una porcilaia di scrofe in un mega-allevamento presso Mantova, occorre spogliarsi, farsi la doccia e poi procedere alla visita dell’allevamento che conta alcune migliaia di fattrici suine. Tanta pignoleria igienica è per evitare di introdurre germi che potrebbero infettare le scrofe gestanti. Queste vengono accudite con il massimo riguardo: un micro­chip verifica la qualità del cibo che viene assunto, mentre un palo antistress è disponibile per i soggetti debilitati dallo spleen da gravidanza le cui fasi evolutive sono costantemente monitorate da uno speciale ecografo. «Il mercato lo richiede – informa il manager di tanta avveniristica organizzazione – perché il benessere degli animali ci rende piú competitivi». Lo stesso refrain del corretto allevatore che pensa soprattutto al benessere psicofisico degli animali è ripetuto da tutti i responsabili della filiera che va dalla stalla al mercato passando per il mattatoio. Bandito persino l’uso degli antibiotici, la vittima arriva al truce olocausto ‘full nature’. Ma almeno, protesterebbero le vittime dell’oncologo, c’era il palo anti stress. Ipocrisia, nient’altro. Poiché, come previsto, al termine della filiera, per i suini come per i bovini e gli ovini, non c’è che il mattatoio.

A meno che una lady altolocata, presidente di un’assemblea legislativa, non si dichiari animalista e per garantire la veridicità della sua dichiarazione adotti un paio di agnellini per salvarli dalla mattanza che la tradizione cattolica consente per i conviti pasquali. Un gaio selfie è circolato nei media mostrando la signora in una cerchia di giovani collaboratrici mentre accarezza i due scampati al macello, la cui sorte finale non è dato conoscere. Ma quando si nasce agnelli, avverte il proverbio, in un mondo di lupi, non c’è animalismo che valga. Per la cronaca, i due agnelli hanno evitato la teglia e il forno ma sono finiti nel calderone del­l’Enpa, l’Ente Nazionale Protezione Animali, e pare, da indiscrezioni, che la illustre madrina si sia defilata, come a dire “passata la foto, gabbato l’agnello”. Facile che i due lanuti figuranti non siano neppure riusciti a campare quei provcrbiali cento giorni da pecora, come recita l’altro ben noto adagio che contrappone ai cento giorni della lunga ma inutile esistenza dell’imbelle razza ovina a quella fulminante ma eroica di un solo giorno della specie leonina. Questione di status genetico, di grinta e di stazza. Come può infatti un peso mosca reggere il confronto con un peso massimo? Valutando anche il dato non secondario della non commestibilità del re degli animali, appetibile solo ai dentisti americani alla ricerca di emozioni forti, nella scia delle morbose gesta venatorie di un tormentato Hemingway e di quelle piú grottesche ed esilaranti di Tartarin di Tarascona.

Mucche LimousineE proprio in virtú della stazza animale, negli anni Novanta nacque l’idea di formare una mandria di mucche per un progetto ecologico inteso al recupero rurale di aree incolte. Un’azienda agricola dell’entro­terra ligure ottenne un finanziamento dalla UE per mettere su un allevamento di mucche di razza Limousine, un tipo di bovino da latte, di origine francese, uso a vivere allo stato brado. Venne quindi formata una mandria di una settantina di mucche, il cui mantenimento, oltre alla fornitura del latte, proprio grazie al carattere erratico degli animali coinvolti, liberi di battere il territorio di competenza dell’azienda senza restrizioni e in piena libertà, avrebbe ripulito il terreno prevenendo gli incendi. Ma l’allevatore vuole e la UE dispone: a un certo punto, a causa di non ben chiariti intralci finanziari, i finanziamenti cessarono di colpo. L’azienda incaricata di “mucche in libertà” si vide pertanto costretta a gettare la spugna, defilandosi dal progetto.

La patata bollente, anzi la mandria vagante, passò quindi per competenza e incombenza al comune che amministrava il territorio in cui sorgeva l’azienda agricola. Dei tanti e vari problemi in gioco il piú urgente era cosa fare dei bovini girovaghi. Mantenerli era da escludere, per i costi che tanti animali comportano in termini di foraggiamento, assistenza veterinaria, sorveglianza e relativi oneri fiscali. Ebbe inizio allora il rimpallo delle competenze, il tira e molla tra l’azienda e l’amministrazione comunale per chi dovesse assumersi la responsabilità della mandria. La quale, intanto che si svolgeva la pantomima delle indisponibilità, si era data per cosí dire alla macchia, disperdendosi allegramente per la montagna, le radure e i boschi, in una esaltante frenesia di libertà e di anarchia. Dovette pertanto intervenire la magistratura che emanò un ordine di cattura delle mucche per poi destinarle a un mattatoio in Lombardia. Ma l’ordinanza del pubblico ministero non aveva considerato l’abilità elusiva della mandria, che per un istinto atavico aveva forse intuito la soluzione finale cui erano destinate per mano di uomini che, non riuscendole a piegare ai loro scopi, ne volevano fare tante braciole. Costretta all’impotenza, la legge abbandonò la partita, e la mandria, che nel frattempo si era divisa in clan spartendosi il territorio, vieppiú si inselvatichiva, assumendo il modus operandi dei predatori abituali. Essendo però vegetariani gli animali che la componevano, le razzie e le predazioni si accanirono su orti, colture e frutteti. Da qui l’ordine tassativo delle autorità di abbattere le ribelli, alle quali si erano uniti anche alcuni tori dell’allevamento, responsabili questi di aver caricato dei gitanti. Insorsero naturalisti e ambientalisti e la vicenda è ora finita sotto le luci di un set cinematografico: un cortometraggio racconterà l’incredibile storia della mandria ribelle del sopramonte ligure.

All’uomo però non è consentito ribellarsi al punto da scegliere la via del bosco, non piú, almeno. Adesso non gli è piú consentito neanche di raccogliere funghi e castagne nel pubblico demanio e conchiglie sul bagnasciuga. L’accesso libero alle spiagge per un bagno o un’abbronzatura è un’esperienza labirintica, e l’incauto Teseo che ci prova si trova davanti il muso minaccioso di un bagnino-minotauro che lo dissuade a provarci. A meno che non si satolli il gestore dello stabilimento con un esoso boccone d’ingresso per usufruire di quei doni sorgivi del creato che un tempo venivano elargiti in abbondanza e senza gabella, come aria, sole e acqua.

Oggi si tassano le processioni per occupazione del suolo pubblico e tornelli governano l’ingresso persino ai cimiteri. Lo Stato non è piú il munifico genitore e tutore del suddito ma ne è diventato l’esattore occhiuto e inflessibile. Del resto, si è prodotta una incrinatura nel rapporto stato-cittadino con le rivoluzioni sessantottine che hanno abbattuto ogni autorità, da quella paterna a quella accademica, e la stessa figura materna, sempre per gli stessi princípi di emancipazione, ha subíto un processo di snaturamento del ruolo che la tradizione le attribuiva. Cosí scrive in merito Madre Teresa: «Se una donna svolge il proprio ruolo nella famiglia, se c’è pace all’intorno, ci sarà pace nel mondo. Esiste il potere della donna, che nessun uomo può supplire: il potere di dare la vita, il potere dell’amore. …La grandezza delle donne sta nel loro amare gli altri, non se stesse. …Ciò che regge il mondo è l’amore delle donne di cui nessuno sa niente». Ed è forse il vuoto di quell’amore che priva la famiglia, com’è ora, del miele che addolcisce la vita e del collante che la tiene unita. L’exit dal focolare domestico può assumere a volte forme insolite, persino eccentriche.

Il sardex

Il sardex

A Bergamo un ladro ha chiesto al suo avvocato di farlo condannare e rispedire in carcere: meglio sopportare il rigore della cella che l’insostenibile tortura della convivenza tra le mura domestiche. Questa la giustificazione dell’uomo per una richiesta che in passato sarebbe stata ritenuta un’assurdità ma che, a quanto si apprende da un’inchiesta a largo raggio, sta diventando una norma. Tale pulsione centrifuga, che anima anche le nazioni a uscire da alleanze federative insopportabili e non remunerative, e soprattutto non confacenti ai propri tratti e valori identitari, sembra ormai aver contagiato realtà territoriali piú ridotte, le quali, non potendo attuare secessioni etnico-politiche, si rifanno con quelle economiche, adottando monete complementari, come in Sardegna il Sardex, nel Lazio il Tibex, in Piemonte il Piemex, in Campania il Felix, in Veneto il Venetex, in Val d’Aosta il Valdex, in Abruzzo l’Abrex, in Emilia Romagna il Liberex, in Lombardia il Circuitolinx, nelle Marche il Marchex e nel Molise il Samex. Tutti integrano il sistema Scec, operativo già da tempo in ambiti territoriali circoscritti, con risultati che ne giustificano l’impiego su scala piú ampia.

Ma come per il ladro bergamasco, la voglia di secedere tocca il singolo a diversi livelli e con svariate modalità esecutive. Perché tanta voglia di evadere dai contesti storicamente e antropologicamente consueti e confacenti, dalla proverbiale via vecchia, per imboccarne una nuova che ignoriamo dove ci condurrà alla fine della fuga? Poiché, a conti fatti, di questo si tratta: fuggire da una realtà che ci opprime e ci svaluta, per un’alternativa che, male che vada, ci ha fatto balenare un’ipotesi di libertà, di recupero di identità. Entrambe queste, però, chimere che solleticano l’uomo, spesso ignaro che libertà e identità sono privilegi guadagnati con il lavoro di lima e bulino sulla ganga informe dell’ego per tramutarla nell’oro di un Io sublimato.

Ma il lavoro interiore di sublimazione incontra all’esterno l’ostilità arimanica vieppiú agguerrita e incalzante, e la creatura umana è talmente provata da invocare un’uscita persino dalla realtà planetaria.

Da qualche tempo circola in rete la teoria della Terra Piatta. Si è quindi riaccesa una polemica che sembrava del tutto superata, tra tolemaici e copernicani, ovvero tra chi ritiene che la Terra sia al centro del nostro universo, e gli oppositori che vedono il Sole al centro del nostro microscopico sistema planetario, perso in un macroscopico sistema galattico di cui rappresentiamo una goccia nel mare. I primi citano il verso di Dante: «Colui che muove il sole e l’altre stelle». Il Sommo Poeta, figlio del Medioevo, esponeva la teoria geocentrica, con l’immobilità della Terra e il Sole a fare da astro subordinato, i secondi citano invece l’espressione di Galileo, che ribaltò la precedente visione, piú spirituale, trasformandola in quella materialistica: «Eppur si muove!».

Truman showChe sia piatta o tonda, che ruoti o stia immobile, che sia una variopinta giostra orbitante in un sofisticato quanto labile gioco di attrazioni e repulsioni di forze magnetiche, oppure la Geb e Nut degli Egizi, che vedevano la terra, Geb, un corpo virile, giacere sotto il peso del cielo, Nut, un corpo femminile che lo sormontava inarcato, prima o poi c’è qualcuno, a seconda che appartenga all’una o dell’altra schiera, gridare: «Fermate il mondo, voglio scendere!», oppure, citando il Truman Show, chiedere che gli venga indicata la via d’uscita dal­l’allucinante soap opera (Video scena finale). Si tratta della “via del bosco”, quella che Leonardo definiva ‘salvatica’, nel doppio senso della selva che nasconde e che allo stesso tempo salva. Ogni individuo cerca la sua via, piú o meno valida, ma sempre im­maginata liberatoria: «Libertà va cercando, ch’è sí cara…».

Gli Ostacolatori hanno però ben lavorato per sviare l’umanità dal percorso virtuoso e impantanarla nella gora del caos globale. Ispirando i loro agenti umani, che fossero politici, intellettuali, scienziati, filosofi, militari o signori della guerra e del denaro, hanno manipolato il patrimonio dei popoli e delle nazioni, portando a una frantumazione dei valori identitari, vale a dire le specificità animiche.

Derubato delle identità etniche e culturali, l’uomo è alla mercé di chiunque voglia prevaricarne l’Io.

Le varie colonizzazioni, per lo piú europee, hanno contribuito a questa depauperazione dei popoli, specie di quelli africani. Sfruttamento delle risorse, coazione culturale, schiavismo e frammentazione territoriale hanno portato gli africani a un’involuzione che ne ha snaturato il progetto sociale. Queste anime, coartate dalla mala politica e dalla rapacità delle nazioni imperialistiche, si aggregano in masse bisognose non tanto di gratificazioni materiali quanto piuttosto di compensazioni morali e di risarcimenti karmici. Una delle cause ipotizzabili per tanta frenesia migratoria potrebbe essere la necessità di tante anime, destinate per karma a incarnarsi in altre realtà sociali e geografiche, a riprendersi il progetto cui erano destinati e da cui sono stati rigettati attraverso milioni di aborti volontari che si consumano in Europa. Una nota marca di profilattici, reclamizzando alla TV la bontà del suo prodotto, informa che nel mondo c’è un’interruzione volontaria di gravidanza ogni cinque minuti. Molti dei

Migranti a Ventimiglia

Migranti a Ventimiglia

migranti, allora, sono for­se “anime di ritorno”, venute per ripagarsi di quanto è stato loro sottratto. Colpisce infatti la ferina determinazione con la quale si aggrappano persino agli scogli al con­fine francese di Ventimiglia, in Ungheria sfidano i cavalli di Frisia e nel Chunnel i ‘cop’ inglesi.

Questi ‘bonavolontà’ della migrazione, quasi certamente vittime di situazioni di cui non afferrano le cause e meno che mai i fini – anche perché cause e fini sono il risultato del grande gioco del caos – fanno un doppio danno: al paese da cui fuggono, che in tal modo si depaupera delle forze vitali di lavoro e di ingegno, e al paese dove approdano, che per accoglierli e assisterli investe capitali e forze operative, dalla sanità alla polizia, dal ricettivo al sostentamento. E spesso i luoghi d’approdo vivono situazioni locali di indigenza tali da rischiare disagi economici e sociali uguali se non superiori a quelli patiti dai migranti nei luoghi di origine.

Il fenomeno è ormai incontrollabile, e denuncia in toni palesi l’impotenza delle varie nazioni e comunità coinvolte a gestirlo in maniera risolutiva. E qui entra in gioco l’ipocrisia, soluzione d’emergenza quando ogni altra si dimostra vana. Le masse incontrollabili dei migranti, vuoi per la precarietà sanitaria dei luoghi di origine, soprattutto dell’area subsahariana e afro-occidentale, vuoi per le affezioni contratte durante il tormentato viaggio, vengono ritenute, a torto o a ragione, portatrici dei mali piú vari, spesso di alcuni facili al contagio. Ecco allora che i fautori dell’accoglienza comunque, sulla spinta di un buonismo umanitarista ad oltranza, diffondono, per bocca e penna di esperti inoppugnabili, notizie rassicuranti sull’assoluta infondatezza dei sospetti attribuiti alla sempre all’erta paranoia complottista e alle solite fake news della rete Ma poi il dubbio resta, casi sospetti si verificano, il tutto esasperato dal flusso incontenibile degli arrivi spesso funestati da violenze e catastrofi in mare e nei centri di accoglienza. Ecco, la perla: un giornale di vasta diffusione ha pubblicato un articolo ad hoc con intenti oltremodo rassicuranti. Lo studio sulle migrazioni – questa la tesi del quotidiano – sulla base dei dati antropologici e sanitari riguardanti le popolazioni ricettive, avendo rilevato come i bimbi italiani si rivelino sempre piú allergici e malati, afferma che saranno i microbi africani a rafforzarli.

Come, rincara poi l’articolista, succede anche con il clima: i batteri subsahariani arricchiscono l’ecosistema! E avvalora la positività della sua tesi citando l’apoikia dei Greci, che portò alla nascita della Magna Grecia.

Le contraddizioni e confusioni in una materia tanto complessa qual è quella delle migrazioni, un fenomeno da sempre esistito nella storia dei popoli, sono provate dallo stesso quotidiano, che subito dopo la tesi

della potenza rinvigorente dei batteri subsahariani nei bimbi italici, riporta le parole della ministra della Difesa, che ha rivelato come il nostro apparato militare lavorerà in joint-venture con quello libico per il pattugliamento delle coste. In questo caso, però, lo scopo è di fermare i migranti nel Sahel, il fronte Sud, per impedire cioè che attraversino il Sahara. Si è parlato di ‘azioni propositive’ dell’Europa, che dovrebbe passare dalle parole ai fatti, attuando in tal senso un’accelerazione decisiva. Insomma, per un ricorso storico, si potrebbe citare la decisione che toccò prendere, a malincuore, al Faraone Ramesse III, nell’anno 1187 a.C., quando si vide costretto a usare l’esercito per fermare l’armata di disperati, circa trecentomila, profughi delle isole egee, compresa Creta, costretti a prendere il mare perché scacciati dai Micenei e dai ricorrenti cataclismi vulcanici. Ramesse li affrontò e li sbaragliò nella piana di Magadil, ove però permise che rimanessero, dando luogo alla Palestina.

I numeri forniti dal nostro Viminale parlano di un milione di immigrati in arrivo dalla Libia entro la fine dell’anno, di cui 250.000 già nei prossimi mesi estivi. Su queste cifre aleggia la drammatica tesi della politologa americana Kelly Greenhill, secondo la quale i flussi migratori vengono usati come armi per impoverirci e per costringere gli Stati a sottomettersi alla volontà delle organizzazioni sovranazionali. Il quadro umano è piú o meno lo stesso di tremila anni fa. Manca solo Ramesse III.

Certo, le ipotesi di congiure planetarie sono forti e difficili da avallare. Resta comunque il dato oggettivo che le tante soluzioni proposte in ambito internazionale da gruppi di ricerca per il problema delle migrazioni africane non hanno incontrato il favore delle organizzazioni geopolitiche, il cui intervento, in via finanziaria e al contempo legislativa, sarebbe determinante per la realizzazione di opere come il Sahara Forest Project, di cui questa rivista si è occupata con un articolo del novembre 2013.

È una soluzione che ha del titanico, ma titanico è il flusso di indigenti, e non solo africani, che i padroni del mondo hanno provocato con le loro manipolazioni delle masse, degli ideali e delle aspirazioni che i popoli, come gli individui, nutrono per farsi portatori di Spirito.

Spine o mele d'oroSarà sempre cosí, o peggiore, il no­stro futuro? Il bosco dove siamo diretti è quello spine e triboli della Bella Addormentata oppure è il Giardino delle Esperidi dove cresce l’Albero dalle mele d’oro? Che sia l’uno o l’altro, c’è sempre un drago a sbarrarci il cammino ed è sempre la Spada della Virtú a sconfiggerlo. Virtú avallata dalla consapevolezza di essere portatori dell’Io nella nostra interiorità, ciò che ci grava tuttavia di una responsabilità altrettanto impegnativa. Ed è l’unica via percorribile. Ce ne dà conferma Argo Vilella nel suo saggio Una Via Sociale con parole che servono da viatico: «La situazione sociale odierna ha aspetti economici gravissimi: miserie e ingiustizie pesano ancora sull’atmosfera della terra, ma forse dolore ancora piú grande è per l’uomo il veder contraddetta in ogni istante, in ogni manifestazione, la coscienza della sua personalità. Egli stesso però è la causa prima di questa contraddizione: il suo desiderio di libertà non è sorretto ancora dalla conquista del fondamento essenziale dell’uomo, senza il quale egli non può che essere travolto dai suoi limiti di pensiero, dalla sua vita istintiva, dalla sua debolezza, che si concretizzano intorno a lui come errore sociale, come miseria, come ingiustizia, come oppressione. …Crediamo, nel nostro intimo, di essere tragicamente soli. Che si sia scelta la via dell’agnosticismo o che si ricorra al conforto religioso, che si colmi il vivere quotidiano con il furore e con l’odio o che ci si rifugi nelle antiche tradizioni dell’Oriente, pur tuttavia vi è la parte piú profonda di noi che sa bene che tutto quanto non proviene dall’esperienza cosciente della propria essenza, non è che un momento transitorio, certamente necessario, dal cammino che vorremmo percorrere come uomini autentici».

Cos’è un uomo autentico? È come un benandante di friulana memoria, che combatte, in sogno, streghe e diavoli, per impedire che, nella realtà, infestino i campi, compromettendone la fertilità. Astrale contesa che va portata sul piano fisico per la salvezza di una messe piú importante: la finale realizzazione umana nel trascendente. È l’uomo di carne e sangue che si trasfigura nel celebrante dell’eterna liturgia cosmogonica, il che gli sarà consentito a condizione che il pensare e l’agire si conformino agli alti valori spirituali.

Dice Rudolf Steiner nella sua conferenza tenuta a Colonia il 27 dicembre 1907: «Come oggi si costruisce un orologio o una casa secondo le leggi minerali, cosí in avvenire l’uomo produrrà anche l’essere vivente per mezzo delle leggi del vivente. Allora, però, dovrà essere capace di imprimere la sua stessa vita negli esseri viventi. Chi siederà al tavolo del laboratorio dovrà trasmettere, fuori di se stesso, ciò che si può chiamare la vibrazione del corpo eterico sulla cosa che si vuole vivificare. Se sarà un uomo buono trasmetterà il bene, se sarà cattivo trasmetterà il male. Mai sarà trasmesso all’uomo …il mistero della conoscenza della vita, prima che abbia imparato il mestiere del Sacramentalismo …l’azione umana infiammata dalla santità».

Planet X The ArrivalEcco quindi l’uomo e la donna del futuro pensare e agire da ierofanti della nuova sacralità e uscire dal bosco in cui si sono persi, tentati dal Signore del Mondo che, come è scritto, “sedurrà molti”. 

Sempre dalla rete apprendiamo che il fantasioso scrittore David Meade, nel suo libro Planet X – The 2017 Arrival, annuncia per il prossimo agosto l’impatto con la Terra del pianeta X. La notizia è girata sul web come autentica previsione ‘scientifica’, ma non ha prodotto il risultato di preoccupare piú di tanto gli internetnauti. 

Due donne saranno alla molaForse, ma è solo un’illazione, al punto di confusione e smarrimento al quale il genere umano è arrivato, il tutto aggravato dall’amara ma fredda consapevolezza che andrà sempre peggio – vista l’impotenza dei governi e delle istituzioni garanti del benessere planetario – che arrivi il pianeta X o Z a fare piazza pulita dell’intero genere umano, un repulisti ecumenico, i grassi e i magri, gli alti e i bassi, i ricchi e i poveri, di tutte le latitudini e coordinate è quasi sentito come auspicabile.

Ma non sarà cosí. A gestire le fasi terminali di questa civiltà non saranno le ONG e le ONLUS ma le coorti angeliche, coordinate da Michele. A presenziare, il Figlio dell’Uomo, sfolgorante nella sua gloria e potestà. Ce lo rivela Matteo, il Pubblicano, l’esattore delle imposte, nel versetto 23,37-44 del suo Vangelo: «Come fu ai giorni di Noè, cosí sarà la venuta del Figlio dell’Uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottí tutti, cosí sarà anche alla venuta del Figlio dell’Uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa, e l’altra lasciata».

Come non credergli, come non sperarlo…?

 

Leonida I. Elliot