La maxi cisterna di Talamone

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La maxi cisterna di Talamone

Le civiltà passate nascevano di solito dove l’acqua abbondava. Altrimenti la prelevavano da sorgenti e invasi naturali, spesso distanti, convogliandola ai centri abitati con canali, e potendo con acquedotti. Non sempre però gli acquedotti correvano in superficie. I Persiani li costruirono sottoterra e diedero loro il nome di Qanat. Questi dedali sotterranei erano ricavati a una profondità che variava dai cinquanta ai settanta metri e trasportavano acqua ai centri abitati, secondo gli esperti, già tremila anni prima di Cristo. In corrispondenza dei centri urbani, le condotte formavano bacini di raccolta, veri e propri laghi sotterranei da cui i cittadini attingevano acqua potabile anche in caso di assedi prolungati. Non è chiaro se i Romani abbiano preso dagli orientali, come indiani, iraniani e mesopotamici, il culto per l’acqua, o che lo abbiano portato in Italia gli Etruschi, che dall’Oriente provenivano, e poi trasmesso ai loro rozzi vicini, futuri dominatori del mondo. Quello che risulta assodato dai reperti archeologici è che i Romani abbiano fatto uso di canalizzazioni per convogliare l’acqua piovana in cisterne sottostanti gli edifici pubblici, per costituire riserve idriche utilizzabili nel lungo termine. Questo espediente venne messo in atto anche per le abitazioni private, sia quelle situate nelle aree continentali, dove la particolare morfologia del territorio impediva la costruzione di condotti idrici, sia per le isole prive di sorgenti. Qui si sopperiva con opportune opere di canalizzazione mediante tubi e grondaie, che portavano l’acqua cosiddetta meteorica, quella cioè caduta dal cielo sotto forma di pioggia, in cisterne piú o meno ampie sottostanti la costruzione abitativa. Oppure veniva fatta fluire in vasconi a cielo aperto per servire da irrigazione. L’acqua per uso potabile invece, depositata nella cisterna sottostante l’abitazione, veniva costantemente battuta con pertiche, o con altri sistemi, in maniera che potesse ossigenarsi, eliminando i batteri che normalmente si sviluppano nell’acqua stagnante.

Sono frequenti le scoperte di simili cisterne di raccolta di acque sorgive o reflue anche a Roma. Una delle piú famose è quella che si estende per circa 7.000 metri quadrati nel sottosuolo dell’Ospedale Forlanini. Un vero lago, a tratti navigabile con piccole imbarcazioni, che si ritiene in qualche modo collegato al Tevere. Alimentato da una falda naturale, il bacino del Forlanini offrí in passato acqua potabile di buona qualità per le necessità del nosocomio e dell’attiguo San Camillo. Oggi quell’acqua viene usata per innaffiare i giardini di una delle Aziende ospedaliere piú importanti di Roma, con le ombre e le luci che un tale ruolo implica.

Maxi Cisterna di Talamone

La maxi cisterna di Talamone

Presso Talamone, in località Caprarecce, sul costone di una collina boschiva, non lontano dal mare, è venuta alla luce una grande cisterna di epoca romana. Poiché la regione prima che romana è stata etrusca, e si sa che gli Etruschi in fatto di acqua, di come regimentarla e distribuirla, la sapevano lunga, è ipotizzabile che la cisterna fosse un’opera già costruita prima che la ampliassero e sfruttassero i Romani, che nella zona avevano poderi e ville rurali.

 

 

 

Tra queste, quella famosissima di Sette Finestre a Roselle, una vera e propria fattoria autosufficiente e organizzata secondo criteri per i tempi all’avanguardia, sia come metodi di coltura che come organizzazione del personale

Ricostruzione della Fattoria Settefinestre

Ricostruzione della Fattoria Settefinestre

lavorante, trattato con liberalità e persino remunerato con salario, ciò che permetteva allo schiavo di riscattare con il tempo la sua libertà.

La cisterna di Talamone si presenta come una grande casa dell’acqua, utilizzabile per bere e per irrigare gli orti delle varie fattorie circostanti, in un raggio molto ampio.

Durante la recente crisi idrica, dovuta all’eccessiva siccità stagionale, nessuno ha ricordato i suddetti sistemi antichi di raccolta e conservazione dell’acqua piovana. Si provvedono invece i moderni edifici, che siano condomíni di città o abitazioni unifamiliari in aree extraurbane, dalla villa alla fattoria, di costose gronde e tubazioni in rame, che servono solo a elevare, in fase iniziale, i costi della costruzione e le successive bollette del consumo, incanalando l’acqua meteorica a perdersi negli scoli fognari o nel terreno scoperto. Oltre al danno economico, viene tradito il comandamento, ribadito da esperti e amministratori, di evitare gli sprechi. E quello del­l’acqua, considerata l’oro blu del futuro, rischia di diventare il piú esecrabile moralmente, ancor piú deleterio dal punto vista della conservazione del pianeta e della civiltà umana. Cisterne, invasi a cielo aperto o protetti, serbatoi, torri dell’acqua: perché non una stilla vada sprecata!

 

Elideo Tolliani