La grotta delle conchiglie

Siti e miti

La grotta delle conchiglie

MargateMargate è una ridente cittadina balneare del Kent, sulla costa meridionale inglese, nel Canale della Manica. La si raggiunge in poco piú di un’ora da Londra, che si viaggi in auto o in treno. Meglio la ferrovia. Consigliano questa scelta la guida a sinistra in auto, ostica per chi viene dal continente, e non secondaria la possibilità di godere tranquillamente del paesaggio da un ampio finestrino. Il verde inglese, ben noto ai pittori, si esprime nell’alternarsi assai dolce, ondulante, di brughiere, boschi e coltivi, sotto un cielo segnato dal rapido scorrere di nuvole. Un cielo che gli acquerelli e le tempere di Turner e Constable colsero al meglio. Il territorio fu il primo occupato dai Romani, intorno al 42 a.C. e la sua patente fertilità e dolcezza climatica valsero alla Britannia il titolo di ‘agricola’, esteso poi, sotto Domiziano, al proconsole Giulio, governatore della provincia. Terra di agricoltori, dunque, piú adusi alla vanga che al gladio.

E fu proprio un colpo di vanga che, nel 1835, portò alla scoperta di uno dei siti archeologici piú straordinari d’Inghilterra. Ad assestarlo fu un agricoltore di Margate, James Newlove. L’uomo stava effettuando uno scavo nel terreno di sua proprietà, con l’intenzione di ricavarci uno stagno per le sue anatre. La vanga bucò il fondo dello scavo rivelando al suo interno un andito ampio e profondo. Accorse gente e alla fine decisero di esplorare la cavità calandovi dentro il figlio di Newlove, Joshua, minuto e leggero, con una candela accesa. Galleria di conchiglieIl bambino, riemergendo, riferí notizie sommarie di una vasta sala, con un altare, di un diramarsi di passaggi e corridoi sui cui muri erano incrostate migliaia di conchiglie di ogni forma e colore, a creare tratteggi di figure e simboli. Una magia che la poca, incerta luce della candela a malapena aveva delineato al confuso bambino. Un magico universo che esibí, nei giorni seguenti la scoperta, la sua natura di ipogeo rituale. Mosaici elaborati mostravano, in un tripudio di cromie e splendori figurativi, segni del mito e del sacro, di un culto, se tale era il destino del luogo, a divinità indefinibili.

Si fecero negli anni le piú fantasiose attribuzioni di uso e pertinenza epocale. Dagli Iperborei ai Fenici, dai Greci ai Vichinghi, passando per Celti e Britanni. Non mancarono, è d’obbligo, i Templari e i Massoni, oltre ai pirati e contrabbandieri di rum. Stella di conchiglieSi è pensato poco ai Romani, conquistatori della Britannia, sarà per la taccia, immeritata, di materialisti che l’Impero dell’Urbe si è portato addosso da sempre. Eppure, l’ipogeo equoreo di Margate, il ninfeo marino, ricoperto dalla sabbia e dalla terra, con le sue migliaia di conchiglie a formare tessere di un ininterrotto prodigio musivo, attesta la convinta fede dei Latini in generale e dei Quiriti in particolare, nell’immanenza dei Numina in ogni sfera del vivente. Fede da esternare, ove fosse disponibile, utilizzando materiali di pregio trattati da abili mani di artisti e artigiani. Non disponendo in loco di marmi policromi, usarono l’equivalente di nautili, strombi, valve e similia. Per una conferma: vedere il mosaico di Nettuno e Anfitrite a Ercolano e le fantastiche composizioni musive nautiche di Ostia Antica. Dove la conchiglia non è solo elemento decorativo nel contesto piú ampio e dettagliato delle creature marine, delle attività mercantili onerarie, delle strumentazioni e consuetudini dei naviganti. Essa è soprattutto simbolo di lunga vita, di resurrezione e augurio di un buon viaggio per mare. Il mare vero, e al contempo quello misterioso e indecifrabile del destino ultimo dell’uomo. Nei ninfei di cui i Romani dotavano i giardini, i delubri e le fonti, la conchiglia imponeva la sua forma insieme a quella dell’uovo cosmico, un simbolo di eternità e di resurrezione. A Margate mani devote e sapienti costruirono un santuario lambito dalle onde, per ottenere dai Mani e dalle divinità delle acque una sicura navigazione e un felice ritorno. Il tritone che soffia nel suo strombo perlaceo risveglia la vita in sonno e urge quella morta a rinascere, nel ciclo dell’eterno divenire.

 

Elideo Tolliani