Ritrovare la vita nel pensiero

Arti marziali

Ritrovare la vita nel pensiero

Arti marzialiTaluni praticanti di arti orientali di derivazione marziale affermano che si debba dominare il corpo prima, per poi parlare di Spirito. Le arti marziali offrono la subitanea sensazione di un maggiore controllo sul proprio corpo, fornendo invero solo una precisione di movimento negli arti e dirigendo la co­scienza in zone corporee, credendo cosí di penetrarle, quando non andrebbero imbevute di coscienza data la loro natura, che deve rimanere inalterata e nel sonno rispetto alla coscienza.

È illusorio, perché si presume portare la coscienza laddove deve assentarsi con un pensiero che solo dovrebbe essere reso cosciente, e invece è disanimato. Si crede di affrontare il primo passo verso lo spirituale, controllando i movimenti del corpo, e in realtà ignorando i processi altrettanto corporei che sfuggono al dominio cosciente.

Respiro, circolazione, attività metabolica e ghiandolare ecc., su cui si pretende avere controllo indiretto, ma di cui si subisce l’azione, dominandoci questi processi proprio là dove siamo passibili di esser dominati: nel sistema nervoso e perciò nella psiche.

Il corpo lo abbiamo mediato da sensazioni, che dalla sfera corporea trapassano nell’ani­mico. Abbiamo solo un contatto mediato dalla psiche. Il nostro corpo è per noi una percezione, cioè una rappresentazione nella forma che il pensiero riveste per manifestare a se stesso la categoria della corporeità, che sfuggendo alla coscienza riflessa nella cerebralità, viene assunta come valore e immaginata come ente distinto dal pensiero, oggettivamente poggiante su se stessa e addirittura producente e causante la realtà del pensiero che invero l’ha generata.

Non conosciamo il corpo per quello che è, bensí solo nel suo riflesso psichico. È la psiche che, presentandosi nel tempo attuale come attività animica inerente al sistema nervoso, si configura come il luogo di soggezione dell’autonomia umana, che viene a mancare per carenza di pensiero e di forza di pensiero.

TaoismoDominare la psiche significa uscirne. Fare sí che il pensare divenga luogo di espressione della sua intima forza, che essendo potere concessivo attua la propria virtú, si relaziona a se stesso, ritrovandosi. Questo il senso della storia umana del nostro tempo.

Dominare il corpo significa saperne essere indipendenti. Ma essere indipendenti dal corpo significa averne penetrate le strutture ed esservi immersi fino alla sua radicalità, che è dire la sua potenza mortifera. L’antico risolvere la realtà di morte del corpo era attuato con un ritorno allo stato primordiale, rinunciando a penetrare nel sensibile: abiurando la terrestrità. Questo il senso del­lo Shi chiai del Taoismo. Un essere umano che non fosse involto del tutto nella corporeità poteva dissolverla, annientarla, perché ancora non ne era prigioniero. La morte era una realtà che poteva essere scansata, con una vita volta all’evita­mento della terra e del tellurico.

Dal sesto secolo a.C., la condizione umana è mutata in un senso inverso a quello del­l’asceta taoista. Siamo collusi con le forze terrestri che il corpo convoglia ed esprime appieno, in un modo che l’antico ignorava. Siamo entrati nelle realtà corporee che incarnano le forze della morte, per fare appello a quelle della vita, che attendono dormienti nel sangue.

Il corpo in realtà reca morte solo nel sistema nervoso e quello osseo. Sistema osseoProcessi di luce morente sostanziano l’elettri­cità scorrente nei nervi; calcificazione e cristallizzazione di Sali regolano il sistema osseo, parimenti alle leggi del mondo minerale, che è il livello della morte al suo grado legittimo.

Oggi, dominare il corpo non può significare il dirigerne la forma esterna secondo una volontà astratta, tipica di un pensiero indebolito che non coglie la sostanziale differenza tra realtà corporea e il suo simbolo nel mondo sensibile. Il corpo che comunemente vediamo è il simbolo fisico e astratto della vera corporeità, da cui l’esoterismo occidentale ha alluso all’Atman, o uomo-Spirito, come ultimo grado di conoscenza e realizzazione iniziatica.

Conquistare la forma fisica vincendo le potenze di morte che giacciono nella materialità corporea è l’operazione ignota al mondo orientale antico, che generò il pensiero delle arti marziali, valide per quel tempo, ma insufficienti oggi a dare una via di realizzazione all’uomo, data la direzione diametralmente opposta in cui lavorano le virtú evocatrici dello Spirito.

Il Cristianesimo accenna, con la Resurrezione, al mistero che lega la forma della fisicità alla morte, che non viene elusa facendo sciogliere il corpo come nello Shi Chiai, ma sperimentata fino alla sua soluzione.

Dominare il corpo significa dominare la morte. La morte è risolta solo se viene vinta prima laddove ha gioco: nell’anima. L’anima che si altera nelle sue forze e si può rettificare solo nella sede del pensiero, l’unica che possa realmente liberarsi, non avendo senso parlare di libertà per le sfere del sentire e del volere.

Il primo passo per la conoscenza del corpo è l’indipendenza dalle strutture psichiche connesse alle zone di inerenza dell’Io metafisicamente non localizzabili, ma sensibilmente convergendo nel cervello e le sue protensioni. È illusoria la pratica marziale ai fini di un serio controllo del corpo in vista di una legittimazione esoterica a parlare dello Spirito.

Qui sta la chiave: dello Spirito non si deve parlare, essendone il parlare la sua morte. Resurrezione è innanzi tutto il non parlare dello Spirito fuori della sua vita, ma ritrovare questa vita laddove si può incontrare, perché si dia nel pensiero.

Questa per l’uomo è oggi l’unica possibilità.

 

Emanuele Tartarini