Fuori dal cerchio magico

Socialità

Fuori dal cerchio magico

Lucio ApuleioNella torrida estate dell’anno 158 d.C. a Sabratha, nella Tripolitania romana, l’odierna Libia, venne celebrato il processo per magia contro Lucio Apuleio. L’accusa era grave: per il “crimen magiae” il diritto romano prevedeva la pena di morte. A portarlo in giudizio erano i parenti della moglie, Pudentilla, che lo ritenevano responsabile di aver preparato un filtro magico e di averlo poi somministrato alla donna, con lo scopo di circuirla e costringerla a firmare un testamento con cui lo designava erede unico di tutte le sue sostanze, che erano cospicue, senza lasciare nulla alla famiglia di lei. Apuleio, filosofo neoplatonico, oratore eloquente e raffinato, si difese da solo e vinse la causa, dimostrando che  la mortifera pozione che, secondo gli accusatori, avrebbe propinato alla moglie, altro non era che una pasta dentifricia di sua invenzione e che l’avrebbe guarita da alcune affezioni dentali di cui soffriva.

Assolto con formula piena, Apuleio trascorse alcuni anni a Roma dove, oltre a perorare con successo cause nel Foro, fu sacerdote nel Serapeo, il santuario di Osiride, divenuto poi Santa Maria sopra Minerva, dove sono sepolti il Beato Angelico, Santa Caterina da Siena, un nutrito numero di pontefici e il cardinale teologo Giovanni Torquemada, promotore di opere di carità e assistenza alle fanciulle orfane, da non confondere con il piú noto, e famigerato, Tommaso Torquemada, Grande Inquisitore, sepolto ad Avila, in Spagna.

L'Asino d'oroTornato in Africa carico di onori e privilegi, Apuleio poté dedicarsi alla stesura di varie opere letterarie e di diritto forense, tra cui Apologia, contenente massime filosofiche e morali. Ma l’opera che lo ha consacrato alla memoria storica è Metamorfosi, o L’Asino d’Oro, un racconto in chiave autobiografica delle peripezie di un giovane, Lucio, devoto di Iside, il quale, irretito da una fattucchiera, si cosparge di un unguento magico da lei preparato e che dovrebbe trasformarlo in uccello. L’inganno si rivela quando, unto della sostanza magica, invece di trasformarsi in volatile, diventa un asino. Da qui, tutte le vicissitudini del povero Lucio-somaro per riacquistare la propria natura umana, aiutato in questo suo patire dalla misericordiosa Iside.

Inserita come una perla rara nella ganga della trama delle Metamorfosi, spesso di grana grossa, indulgente a sortite nell’osceno, come del resto era la drammaturgia latina per uso teatrale, ecco la fabella, la piccola, delicata, favola di Amore e Psiche, dai sensi della piú nobile materia mitomisterica. Narra la favola, in forma di allegoria, dell’arduo, penato, incerto cammino dell’Anima per unirsi al desiato sposo, cui è destinata, dall’inizio dei tempi, nel disegno cosmico, ma da conseguire soffrendo.

La favola di Apuleio, echeggiando il karma, la metempsicosi e l’epica cavalleresca, ha svolto il filo segreto delle storie di Lohengrin, della Bella e la Bestia, della Bella Addormentata, e cosí pure di tutte le storie che raccontano dell’impervio cammino che impegna l’uomo, irretito da inganni, trabocchetti, mele avvelenate o il kykeon di Circe, bevuto il quale il suo verbo diviene grugnito.

Ogni epoca ha i suoi untori, che a seconda del luogo dove allignano e operano, presentano attributi, modi e strumenti diversi, tuttavia denuncianti la natura animica, il genio del popolo cui appartengono. Nella Milano appestata del Seicento, agivano gli appartenenti alla cosiddetta Colonna Infame, che il Manzoni tratta da untori impegnati a spalmare misteriosi quanto letali unguenti su porte, usci e sedili.

Ci sono per contro le fattucchiere, esperte nel confezionare pillole, misture e filtri. Come quella ben tratteggiata da Goethe mentre prepara la pozione che darà al vecchio e logoro Faust l’impeto, il fisico e l’avvenenza di un gagliardo ventenne.

 

La stregaLa Strega:

 

«Se intendi a fondo le cose tue,

d’uno fa’ dieci, lasciando il due.

Poi, svelto, aggiungi al due il tre,

e sarai ricco siccome un Re.

Se il quattro perdi, del cinque e sei

fa’ sette ed otto: e a posto sei.

Ché il tutto lega, dicQuadrato magicoe la strega.

Il nove, è uno: dieci, nessuno.

Tal, della strega, è l’aritmetica».

 

 

Filastrocca apparentemente senza senso, ma che cela il sistema per passare dal quadrato naturale dei numeri da 1 a 9 a un quadrato magico in cui la somma dei numeri sulle righe, sulle colonne e sulle diagonali è sempre 15. 

Nel caso di Faust, l’intruglio preparato dalla strega serve a proiettare l’anziano studioso in una realtà di vita che, a causa del suo eccessivo ed esclusivo studio, gli era rimasta fino a quel punto ignota. Quindi, un vantaggio palese.

Ma quale profitto potevano mai ricavare dalla loro truce congiura pandemica i diffusori del morbo a Milano? Era il male per il male. Dice Shelley nel suo Difesa della Poesia: «Il male consiste nell’odio implacabile, nell’astuzia paziente e nel trovare incessantemente raffinati mezzi per infliggere la massima angoscia al nemico; e, anche se esso è veniale in uno schiavo, non è perdonabile in un tiranno; e se nello schiavo esso viene redento da ciò che rende nobile la sua sconfitta, nel vincitore è segnato da ciò che disonora la sua conquista».

Accendere una luceUn adagio caro ai sessantottini affermava che ogni gesto, anche il piú banale, come ad esempio il premere l’in­terruttore della luce, fosse nella sostanza un atto politico. E ciò perché la politica, in quella temperie di sofferta transizione dai governi della cosa pubblica in chiave assolutistica a quelli costituzionali definiti “democratici”, si riteneva fosse la formula magica per risolvere i nodi sociali che avevano angheriato tutte le società umane dagli albori della loro storia. Grande illusione. Gli anni che seguirono l’ubriacatura del “Demoproletario è bello”, del “Potere al popolo e cloro al clero”, hanno provato che la vera vittoria non è stata del popolo, rimasto nello stesso punto dal quale era partito, ma della finanza globale sulle economie locali, della Borsa sovranazionale speculativa, della élite che resta ben salda nella sua posizione di privilegi, e che dunque premere l’interruttore della luce non era piú, se mai lo era stato, un atto politico, ma un contributo coatto, neppure tanto occulto, ai gestori dell’energia a livello planetario, le famigerate Sette Sorelle. Una grande ipocrisia, quindi, finalizzata solo a sovvertire un ordine, quello della società umana, certamente da rivedere, come ogni istituzione alla prova del tempo, lasciata all’arbitrio del piú forte e intrigante.

Scie chimicheMolti da allora i complotti che si sono susseguiti, alcuni ignorati, altri denunciati, e in seguito soffocati o derisi. Come quello delle cosiddette “scie chimiche”, per decenni topica del complottismo. Eppure c’erano, e tuttora ci sono, ben visibili nei cieli di tutto il mondo, in Italia come altrove. I complottisti li considerano attentati alla salute, complici le lobby farmaceutiche, come i plurivaccini somministrati in massa a bimbi di pochi mesi. Per contro, i difensori delle scie, che chiamano “di condensa”, le valutano innocuo vapore acqueo dei motori a reazione. Anche se qualcuno afferma che quei motori sono in uso dai primi anni Sessanta, e allora di scie non se ne vedevano. L’unico vero fastidio dei motori a reazione era, allora come adesso, quello del loro fracasso, specie in fase di decollo. Ne sa qualcosa chi abita nei condomini sorti, e non si sa come approvati, a ridosso delle piste aeroportuali.

Non si trovano piú gli untori descritti dal Manzoni, sostituiti negli anni dai ben piú agguerriti propagatori del Verbo porta a porta, o dai venditori di aspirapolvere, nonché ultimamente da sedicenti buoni samaritani che promettono risparmi favolosi sulle bollette di telefono, gas e luce, purché si apponga una firma, spesso estorta, su un contratto con l’agenzia fornitrice da essi rappresentata.

Questi mali non erano nuovi nella vita delle comunità umane, fin dal tempo dei Sumeri, che li avevano codificati in termini quasi maniacali. Solo che la trasgressione di un comandamento non solo danneggiava il trasgressore, esponendolo ad ogni tipo di infortunio e danno, ma lo privava della tutela divina, quella benevolenza che in seguito i Romani definirono “favor dei”. Per un Romano antico, infatti, ogni gesto era un atto religioso, essendo la fede e la devozione alla base della legge.

Cosí come era avvertito in ogni Romano, per un innato naturalismo panteistico, l’intervento di forze sovrannaturali e subnaturali, celesti e ctonie, nella vita delle creature viventi, sia umane che animali. Era la sympatheia, la legge universale che lega il cosmo a quella piú sottile e immateriale del mana, l’essenza eterica che si trasmette per contatto e assimilazione da un essere all’altro.

Il mundus di Ostia

Il mundus di Ostia

Il 24 agosto, i Romani aprivano il mundus, un ipogeo ricavato presso il Comizio, nel Foro. Si trattava in realtà della fossa augurale fatta scavare da Romolo, fuori del pomerio, e in cui la gente raccolta per formare l’embrione di popolo della futura Urbe aveva gettato un pugno di terra del proprio luogo di origine, che fosse Alba, Lavinio, Cure o Antemnae.

Al rito di fondazione aveva presieduto Romolo, coadiuvato dai sacerdoti etruschi, esperti del rito, fatti venire da Caere, l’odierna Cerveteri. Ultimato il rito, il pozzo, o fossa, era stato ricolmato di terra, e sulla sua superficie esposta era stata eretta un’ara con sopra il tripode del fuoco sacro della fraternitas dei Curiati.

L’apertura del mundus avveniva altre due volte l’anno, il 5 ottobre e l’8 novembre. Unione del piano terrestre con la sovrastante cupola celeste, il mundus rappresentava la configurazione cosmica del creato nella sua completezza e contiguità di dimensioni. Ma valeva anche da contiguità tra il mondo dei vivi e quello dei Mani, gli spiriti dei trapassati che per tre volte l’anno si rapportavano ai vivi.

Vi era comunque, a lato della lettura misterica del mundus, la sua funzione di strumento astronomico.                                                                      

Nella sua cosmologia, il celebre matematico Eratostene (Cupola276 a.C.) si era servito del mundus per misurare la circonferenza della terra. Una maggiore o minore inclinazione del raggio solare che a mezzogiorno del solstizio d’estate, in luoghi diversi, colpisse il fondo del pozzo prestabilito, gli forniva i dati per stabilire le misure del nostro pianeta. I diversi utilizzi del mundus, per fini misterici l’uno, in senso puramente scientifico l’altro, rivelano il modo tipico dei Romani di trattare i fenomeni e gli eventi che li provocano, e in che maniera l’uomo si rapportava al loro svolgimento nella realtà materica.

Due criteri diremmo quasi archetipici, da sempre ispiratori delle idee e dei procedimenti fisici e animici dell’uomo, allora come in seguito, come sempre, in una realtà del passato remoto della sua storia, cosí come del prossimo futuro e operante anche nella realtà attuale. In tutto questo gioco di forze, alcune latenti, altre immanenti, l’uomo è sempre alle prese con la sua fatica, perenne, acerrima, di destreggiarsi per acquisire una maggiore conoscenza e autocoscienza.

Quelle forze cui accennavamo, di cui l’uomo si serve per premere un interruttore e accendere la luce, piú che un atto politico va considerato un atto che esige l’intervento di forze immateriali che presiedono alla trasmissione di impulsi e volizioni di cui egli è debitore. Da parte sua, l’uomo può lavorare interiormente a una disciplina che gli permetta di evolvere. Pensare il pensiero, concentrarsi sull’oggetto pensato, sgombrarlo da ogni scoria dei sensi, era già noto ai maghi dell’antichità, da Apollonio di Tiana ai filosofi Proclo, Porfirio, Giamblico, Plotino, o ai poeti come Virgilio, tenuto in conto dai suoi contemporanei come mago potentissimo, piú che autore di poemi eccelsi.

Giuseppe Maria Crespi «Enea e la Sibilla salgono sulla barca di Caronte»

Giuseppe Maria Crespi «Enea e la Sibilla salgono sulla barca di Caronte»

E del resto, leggendo con attenzione esoterica i suoi scritti, vi si coglie l’idealismo magico che sostiene l’afflato lirico, esternandolo in dimensioni nelle quali la poesia rivela il soprannaturale.

Il VI Libro dell’Eneide descrive la discesa di Enea nell’Averno, scortato dalla Sibilla Cumana. Questa reca con sé il ramo d’oro, salvacondotto per le divinità infernali, Pluto e Proserpina. Dopo aver superato inenarrabili sbarramenti, dalla Stigia ai fiumi infernali, ai Campi Lugentes, ai Luoghi del Pianto, l’eroe incontra Didone, da lui sedotta e abbandonata, e per questo suicida. Abbraccia suo padre Anchise, che gli rivela le future magnifiche sorti di Roma, che da lui e dalla sua stirpe verrà fondata e resa padrona del mondo, e riferendosi al destino delle anime dopo la morte fisica, accenna alla loro trasmigrazione e rinascita, per vivere ulteriori esistenze in altri corpi, fino alla loro assimilazione all’anima mundi, allo Spirito che anima l’universo. E per dire che alla fine lo Spirito riporterà la vittoria sulla materia bruta, Anchise annuncia: «Mens agitat molem», la mente muove la materia.

Parliamo dunque di una mens e di una molem, vale a dire tenendoci nel dominio della materia. Per superarla, Massimo Scaligero, in Yoga, meditazione, magia, ci mette in guardia dal facile magismo delle vie alternative, delle invitanti scorciatoie: «Chi crede di edificare la propria coscienza magica mediante tecniche orientali, o della Gnosi occidentale, non s’avvede di forzare il mondo dell’anima con moti psichici espressivi della soggettiva natura: rinuncia ad afferrare cognitivamente ciò da cui muove. Il miraggio di potere psicosomatico, che lo sospinge, è sostanzialmente in lui la brama che dovrebbe essere identificata dalla disciplina interiore, non ciò che la assume e la adatta a sé».

Sempre Scaligero, nello stesso libro, chiarisce il valore immaginativo della cosmogonia steineriana: «Vale la pena accennare che la serie delle “imaginazioni cosmiche” con cui Rudolf Steiner ricostruisce la storia della Terra e dell’Uomo, sono figurazioni-simbolo il cui còmpito è ricongiungere l’iniziale forza magica del discepolo, l’imaginazione, con la forza centrale dell’Io: con una responsabilità, che gli dia il senso sacro dell’impresa: soprattutto gli eviti di usare la nascente Magia secondo impulsi inconsci, tendenti ad asservire il puro ètere della vita ad illusorie assunzioni dell’umano, il cui senso è la catastrofe dell’umano. Coda serpenteQuelle figurazioni non sono costruzioni visionarie – come si è tentato far credere – bensí chiavi spirituali, necessarie a riconoscere i tracciati cosmici della Magia Imaginativa divina».

E ancora: «Il rappresentare che non venga liberato dalle sue radici sensibili, non può attingere alle sue radici spirituali: esso è l’alimento dell’istintività profonda, il veicolo della forza magica inversa, il serpe che inutilmente si tenta immobilizzare afferrandolo per la coda. Tale imaginazione è l’espressione della volontà asservita a potenze avverse all’umano, epperò suggerenti l’ascesi che si accordi con simile servaggio. La magia che esse ispirano è un’esperienza sensazionale della psiche, in cui esse dominano, dando all’uomo l’illusione di essere il dominatore. È la zona dinamica della volontà, la cui radice inconscia è nel pensiero con cui egli quotidianamente pensa. Il moderno pensiero razionale, tipico della cultura occidentale, è quello che virtualmente reca nel proprio movimento tale elemento volitivo: esso ha perciò la possibilità di sprigionare nell’imaginazione la volontà libera, il veicolo della reale magia».

Sodoma e GomorraUna reale magia che può attuarsi individualmente ma anche attraverso la libera decisione di persone unite dal comune intento di migliorare e far migliorare la società in cui vivono: una società che mai come adesso necèssita di un impegno potentemente volitivo.

Ne parla Giovanni Colazza nel testo che raccoglie in sintesi i suoi insegnamenti, Dell’Iniziazione: «Ho accennato altre volte, in riunioni recenti, al­l’importanza che hanno i nostri pensieri come forze capaci di affluire nell’ambiente e modificarlo. È evidente, dagli insegnamenti della Scienza dello Spirito, che è sufficiente un piccolo numero di persone che lavori in senso spirituale, per migliorare permanentemente l’atmosfera di una città. Infatti, nell’episodio biblico di Sodoma e Gomorra, Geova disse che avrebbe risparmiato la città se ci fossero stati almeno sette giusti. Ciò significa che c’è possibilità di salvezza per una comunità, quando vi è un nucleo di persone capace di pensare fortemente nella direzione spirituale».

Uscire dal cerchio magico del ricatto sensoriale nel quale l’Io viene rinchiuso dagli Ostacolatori, o in cui non di rado volontariamente si rinchiude, non è facile. Ma la “Magia Imaginativa” che nasce dal pensiero liberato è in grado di affrancare l’uomo dal giogo materico, cosí da trasformare la pietra in pane dell’Io.

 

Ovidio Tufelli