Dal capitolo dedicato alla Tripartizione
dell'organismo sociale dell'ultimo libro di Argo Villella Quale
capitalismo? stralciamo alcune pagine, rimandando il lettore
che desideri approfondire l'importante problema alla lettura integrale
del libro.
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Constatiamo purtroppo ogni giorno che la società
è sconvolta sempre piú dal caos, in un susseguirsi di eventi
sempre piú incomprensibili, mentre si diffondono la sfiducia, la
rinuncia o, il disperato attaccamento alle ideologie sconfitte e alle concezioni
piú effimere al fine di ottenere un minimo di sostegno. Sino ad
ipotizzare la fine della storia e quindi in sostanza di ogni possibilità
di evoluzione. F. Fukuyama ritiene che il mondo, avviatosi verso il post-totalitarismo,
stia precipitando verso il post-istoricismo a causa della scomparsa dello
stimolo dovuto alle contrapposizioni ideologiche. Il trionfo della democrazia
di tipo occidentale, ovvero il finire della storia, dovrebbe condurre ad
una società impegnata a risolvere solo problemi tecnici, volta ad
aumentare il benessere materiale, tentando contemporaneamente di tamponare
gli eccessi nazionalistici e fondamentalistici religiosi, i sussulti irrazionali
e feroci, con nuove regole di cooperazione internazionale. Pagando però
un prezzo elevato con una accentuata banalizzazione della cultura e con
il crescente pericolo del dominio del crimine e della droga.
G. Lunati si preoccupa dei rischio che il pensiero liberale, credendo di
aver vinto, sostenga di essere la soluzione sociale definitiva. Infatti
è sempre piú chiaro che i paesi dell'Est, volgendo attenzione
ai modelli occidentali senza spirito critico, stanno andando incontro a
delusioni e rischiano un ritorno a forme di egualitarismo teorico simili
al marxismo. Il liberalismo non sa progettare nulla al di fuori di esso
e oltretutto si è lasciato confondere con il capitalismo, il quale
non pretende di guidare la società verso obiettivi morali, ma persegue
la crescita dell'economia e del benessere finendo cosí per acquisire
una sua parziale etica. Il capitalismo è una parte vitale della
società, afferma giustamente Lunati, non la globalità.
È giunto il momento, a mio avviso, di pensare ad una nuova proposta
sociale, per colmare il vuoto insito nelle ideologie e ora rivelatosi clamorosamente
nel loro declino, per sopperire alle parzialità e alle inefficienze
dei diversi sistemi democratici. Proposta dalla quale scaturiscano non
solo direzioni atte ad affrontare l'enorme quantità di problemi
irrisolti e in grado di fronteggiare le anomalie e gli errori, ma che contemporaneamente
aiuti l'uomo a realizzarsi come protagonista cosciente nella società,
a ritrovare una autentica dignità interiore, a guardare verso ideali
viventi. Vi è da rabbrividire apprendendo da un'inchiesta che le
ultimissime leve giapponesi non aspirano piú a nulla: non solo a
princípi nobili o alle vette dell'antica tradizione, ma nemmeno
alla carriera e al prestigio esteriori, alla competizione, alla ricchezza.
Si accontentano di una qualsiasi occupazione e di uno stipendio discreto
che consenta di tirare a campare. Dimostrando una volta di piú quanto
sia esaurito nell'essenza lo spirito del passato e come esso sia impotente
ad offrire stimoli sociali capaci di affrontare l'emergere inevitabile
di una individualità provvisoriamente fondata, come in Occidente,
sulla materialità. Processo favorito oltre tutto dall'eccezionale
sviluppo economico, per il quale sono stati utilizzati gli ultimi guizzi
delle antiche forze, sposate per un momento alle migliori manifestazioni
della filosofia europea. Esperienza questa non compresa sino in fondo e
quindi smarrita rapidamente ma che avrebbe potuto avere sviluppi quanto
mai positivi per tutto l'Oriente se le forze piú elevate dello Zen
si fossero unite all'ascesi del pensare vivente.
Nell'affrontare i problemi dei rapporti fra capitale e Stato, e conseguentemente
la collocazione dell'imprenditorialità in un contesto sociale in
cui gli sia consentita una estrinsecazione sia della sua funzione positiva
sia delle sue potenzialità, è venuta delineandosi, nei capitoli
precedenti, una partizione dei settori fondamentali in cui si articola
la società.
Si è tentato di mostrare infatti che solo da una netta separazione
fra mondo economico e istituzioni giuridico-statali è possibile
creare condizioni in cui il capitalismo possa esprimere tutta la sua vitalità,
rispondendo però a precisi limiti giuridici, onde tutelare la dignità
e gli interessi degli uomini con i quali si pone in rapporto. Essendo poi
il capitale l'espressione di una dote, quindi di una facoltà spirituale,
questa, per proiettarsi positivamente verso il futuro e acquisire una dimensione
morale, deve fluire da una libera vita dello Spirito fondata solo sulle
sue forze e operante quindi al di fuori di ogni ingerenza del potere pubblico
e di ogni prevaricazione degli interessi economici.
Contemporaneamente si è rilevato che il frammischiarsi disordinato
di fattori spirituali e culturali, giuridici, economici, ha sospinto il
capitale ancor piú verso le sue connotazioni piú negative.
Contribuendo in tal modo a rendere di difficile soluzione non solo aspetti
propriamente economici come l'occupazione, il credito, l'inflazione, lo
sviluppo, ma problemi di interesse generale come l'assistenza e la previdenza,
l'educazione, il funzionamento stesso della giustizia.
Il mondo imprenditoriale non può ignorare il fallimento dei modelli
sociali sinora proposti: comunismo, totalitarismi, liberaldemocrazia e
socialdemocrazia. D'accordo con W. Churchill che la democrazia, pur non
essendo un sistema perfetto, rappresenta il meno peggio e tanto vale tenersela
in attesa di qualcosa di nuovo. Ma il rapido evolversi in negativo della
situazione attuale dimostra che non ci si può adagiare sull'esistente,
non ci si può esimere dalla ricerca di una proposta sociale atta
alle esigenze della nostra epoca. Pertanto la sua concretezza lo dovrebbe
indurre a guardare con un certo distacco alla ridda di riforme e di progetti
oggi circolanti, ai fantasmi ancora in circolazione, alle proteste per
le proteste con il corollario di egoistici separatismi.
Gli imprenditori non possono ignorare la richiesta, certamente confusa
ma per questo non meno pressante, del nuovo. Richiesta a cui deve seguire
almeno un abbozzo, una speranza, di qualcosa di piú incisivo, di
piú chiaro, di piú onesto, altrimenti le delusioni continue,
i drammi quotidiani, l'incertezza del futuro, spingeranno molti verso scelte
confuse, contraddittorie, forse anche verso atti violenti.
Siamo tutti consapevoli che i partiti politici, in tutto il mondo, stanno
agonizzando e forse in molti vi è il rammarico di non aver compreso
che l'origine della loro decadenza era implicita alla loro natura esprimente
concezioni parziali, anche se talvolta legittime, e quindi alla sostanziale
incapacità di darsi una visione globale. Tuttavia una società
non può vivere senza aspirazioni, senza una volontà di rinnovamento
che consideri anche un giusto benessere materiale e una equilibrata sicurezza
sociale. Per questo gli imprenditori non solo non possono pretendere un
assetto sociale ad esclusiva misura dei loro interessi, ma devono guardare
ad una concezione in grado di consentire l'espressione libera di tutte
le facoltà individuali, quindi anche dello «Spirito del capitale».
Una proposta sociale dunque capace di aprire il varco alle fondamentali
funzioni dell'economia, del diritto, della cultura, ma anche di aiutare
l'uomo a darsi coscientemente un compito, un fondamento, che lo inizino
a liberarsi dalle grevità materiali, dalle illusioni dell'apparire,
al fine di conquistare una nuova dignità. In sostanza l'ideale di
superare «l'umano troppo umano».
Argo Villella
A. Villella, Quale capitalismo?, Liguori, Roma
1997
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