L'Archetipo Anno III n. 3, Gennaio 1998

Tripartizione

Dal capitolo dedicato alla Tripartizione dell'organismo sociale dell'ultimo libro di Argo Villella Quale capitalismo? stralciamo alcune pagine, rimandando il lettore che desideri approfondire l'importante problema alla lettura integrale del libro.
Constatiamo purtroppo ogni giorno che la società è sconvolta sempre piú dal caos, in un susseguirsi di eventi sempre piú incomprensibili, mentre si diffondono la sfiducia, la rinuncia o, il disperato attaccamento alle ideologie sconfitte e alle concezioni piú effimere al fine di ottenere un minimo di sostegno. Sino ad ipotizzare la fine della storia e quindi in sostanza di ogni possibilità di evoluzione. F. Fukuyama ritiene che il mondo, avviatosi verso il post-totalitarismo, stia precipitando verso il post-istoricismo a causa della scomparsa dello stimolo dovuto alle contrapposizioni ideologiche. Il trionfo della democrazia di tipo occidentale, ovvero il finire della storia, dovrebbe condurre ad una società impegnata a risolvere solo problemi tecnici, volta ad aumentare il benessere materiale, tentando contemporaneamente di tamponare gli eccessi nazionalistici e fondamentalistici religiosi, i sussulti irrazionali e feroci, con nuove regole di cooperazione internazionale. Pagando però un prezzo elevato con una accentuata banalizzazione della cultura e con il crescente pericolo del dominio del crimine e della droga.
G. Lunati si preoccupa dei rischio che il pensiero liberale, credendo di aver vinto, sostenga di essere la soluzione sociale definitiva. Infatti è sempre piú chiaro che i paesi dell'Est, volgendo attenzione ai modelli occidentali senza spirito critico, stanno andando incontro a delusioni e rischiano un ritorno a forme di egualitarismo teorico simili al marxismo. Il liberalismo non sa progettare nulla al di fuori di esso e oltretutto si è lasciato confondere con il capitalismo, il quale non pretende di guidare la società verso obiettivi morali, ma persegue la crescita dell'economia e del benessere finendo cosí per acquisire una sua parziale etica. Il capitalismo è una parte vitale della società, afferma giustamente Lunati, non la globalità.
È giunto il momento, a mio avviso, di pensare ad una nuova proposta sociale, per colmare il vuoto insito nelle ideologie e ora rivelatosi clamorosamente nel loro declino, per sopperire alle parzialità e alle inefficienze dei diversi sistemi democratici. Proposta dalla quale scaturiscano non solo direzioni atte ad affrontare l'enorme quantità di problemi irrisolti e in grado di fronteggiare le anomalie e gli errori, ma che contemporaneamente aiuti l'uomo a realizzarsi come protagonista cosciente nella società, a ritrovare una autentica dignità interiore, a guardare verso ideali viventi. Vi è da rabbrividire apprendendo da un'inchiesta che le ultimissime leve giapponesi non aspirano piú a nulla: non solo a princípi nobili o alle vette dell'antica tradizione, ma nemmeno alla carriera e al prestigio esteriori, alla competizione, alla ricchezza. Si accontentano di una qualsiasi occupazione e di uno stipendio discreto che consenta di tirare a campare. Dimostrando una volta di piú quanto sia esaurito nell'essenza lo spirito del passato e come esso sia impotente ad offrire stimoli sociali capaci di affrontare l'emergere inevitabile di una individualità provvisoriamente fondata, come in Occidente, sulla materialità. Processo favorito oltre tutto dall'eccezionale sviluppo economico, per il quale sono stati utilizzati gli ultimi guizzi delle antiche forze, sposate per un momento alle migliori manifestazioni della filosofia europea. Esperienza questa non compresa sino in fondo e quindi smarrita rapidamente ma che avrebbe potuto avere sviluppi quanto mai positivi per tutto l'Oriente se le forze piú elevate dello Zen si fossero unite all'ascesi del pensare vivente.
Nell'affrontare i problemi dei rapporti fra capitale e Stato, e conseguentemente la collocazione dell'imprenditorialità in un contesto sociale in cui gli sia consentita una estrinsecazione sia della sua funzione positiva sia delle sue potenzialità, è venuta delineandosi, nei capitoli precedenti, una partizione dei settori fondamentali in cui si articola la società.
Si è tentato di mostrare infatti che solo da una netta separazione fra mondo economico e istituzioni giuridico-statali è possibile creare condizioni in cui il capitalismo possa esprimere tutta la sua vitalità, rispondendo però a precisi limiti giuridici, onde tutelare la dignità e gli interessi degli uomini con i quali si pone in rapporto. Essendo poi il capitale l'espressione di una dote, quindi di una facoltà spirituale, questa, per proiettarsi positivamente verso il futuro e acquisire una dimensione morale, deve fluire da una libera vita dello Spirito fondata solo sulle sue forze e operante quindi al di fuori di ogni ingerenza del potere pubblico e di ogni prevaricazione degli interessi economici.
Contemporaneamente si è rilevato che il frammischiarsi disordinato di fattori spirituali e culturali, giuridici, economici, ha sospinto il capitale ancor piú verso le sue connotazioni piú negative. Contribuendo in tal modo a rendere di difficile soluzione non solo aspetti propriamente economici come l'occupazione, il credito, l'inflazione, lo sviluppo, ma problemi di interesse generale come l'assistenza e la previdenza, l'educazione, il funzionamento stesso della giustizia.
Il mondo imprenditoriale non può ignorare il fallimento dei modelli sociali sinora proposti: comunismo, totalitarismi, liberaldemocrazia e socialdemocrazia. D'accordo con W. Churchill che la democrazia, pur non essendo un sistema perfetto, rappresenta il meno peggio e tanto vale tenersela in attesa di qualcosa di nuovo. Ma il rapido evolversi in negativo della situazione attuale dimostra che non ci si può adagiare sull'esistente, non ci si può esimere dalla ricerca di una proposta sociale atta alle esigenze della nostra epoca. Pertanto la sua concretezza lo dovrebbe indurre a guardare con un certo distacco alla ridda di riforme e di progetti oggi circolanti, ai fantasmi ancora in circolazione, alle proteste per le proteste con il corollario di egoistici separatismi.
Gli imprenditori non possono ignorare la richiesta, certamente confusa ma per questo non meno pressante, del nuovo. Richiesta a cui deve seguire almeno un abbozzo, una speranza, di qualcosa di piú incisivo, di piú chiaro, di piú onesto, altrimenti le delusioni continue, i drammi quotidiani, l'incertezza del futuro, spingeranno molti verso scelte confuse, contraddittorie, forse anche verso atti violenti.
Siamo tutti consapevoli che i partiti politici, in tutto il mondo, stanno agonizzando e forse in molti vi è il rammarico di non aver compreso che l'origine della loro decadenza era implicita alla loro natura esprimente concezioni parziali, anche se talvolta legittime, e quindi alla sostanziale incapacità di darsi una visione globale. Tuttavia una società non può vivere senza aspirazioni, senza una volontà di rinnovamento che consideri anche un giusto benessere materiale e una equilibrata sicurezza sociale. Per questo gli imprenditori non solo non possono pretendere un assetto sociale ad esclusiva misura dei loro interessi, ma devono guardare ad una concezione in grado di consentire l'espressione libera di tutte le facoltà individuali, quindi anche dello «Spirito del capitale». Una proposta sociale dunque capace di aprire il varco alle fondamentali funzioni dell'economia, del diritto, della cultura, ma anche di aiutare l'uomo a darsi coscientemente un compito, un fondamento, che lo inizino a liberarsi dalle grevità materiali, dalle illusioni dell'apparire, al fine di conquistare una nuova dignità. In sostanza l'ideale di superare «l'umano troppo umano».

Argo Villella
A. Villella, Quale capitalismo?, Liguori, Roma 1997


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