Dal capitolo dedicato alla Tripartizione
dell'organismo sociale del recente libro di Argo Villella Quale
capitalismo? stralciamo alcune pagine, rimandando il lettore
che desideri approfondire l'importante problema alla lettura integrale
del libro.
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La società è un'unità. Ma questa
non può essere concepita a priori senza cadere nell'astrazione.
Deve essere costruita momento dopo momento, giorno dopo giorno, sia dal
contributo dei singoli uomini operanti nel loro specifico settore sia dall'armonizzazione
globale dei loro risultati. Non vi possono essere soluzioni valide, come
i fatti stanno dimostrando, se per ogni problema di interesse generale:
istruzione, assistenza, previdenza, occupazione, protezione giuridica,
una parte pretende di avocare a sé ogni decisione, quando potrebbe
ricevere ben altri contributi da quei settori in cui le competenze hanno
potuto autonomamente formarsi. È vero che in ogni attività,
in ogni necessità dell'esistenza, in seno ad ogni impresa, si intrecciano
continuamente aspetti spirituali, giuridici, economici. Ma soltanto quando
questi mediante la loro autonomia potranno donare il meglio e quindi correggere
in tempo ragionevole gli immancabili errori, solo allora potremmo incamminarci
verso un migliore livello di socialità, avendo iniziato a superare
il mondo delle frasi declamanti l'impegno sociale e il vuoto delle astratte
formulazioni.
Ogni uomo dunque è partecipe di tutti i settori della Tripartizione.
Anche se svolge un'attività economica, ha rapporti continui con
il mondo giuridico e tutta la sua vita è riferita alla realtà
spirituale esprimentesi nelle sue doti innate, nelle vicende del destino,
nel suo livello morale, nell'istruzione ricevuta. Se il settore a cui un
uomo appartiene, dopo aver conquistato una fattiva autonomia, si pone continuamente
in contatto con gli altri, dal momento che questo rapporto non dovrebbe
insterilirsi nelle pratiche burocratiche ma incentrarsi sull'incontro fra
persone, ne può derivare una maggiore opportunità di partecipazione
a tutte le manifestazioni sociali. Viene creata l'occasione, se per esempio
si opera culturalmente, di guardare con maggiore impegno agli aspetti economici
e giuridici. Viene offerto lo stimolo per iniziare a superare il proprio
limitato orizzonte, onde potersi inserire di piú nelle necessità
altrui, tenendo conto contemporaneamente, nella propria attività,
di quanto di positivo proviene dal di fuori e sentendo l'esigenza di restituire
quanto si è ricevuto: con la propria donazione quotidiana prima
di tutto, ma anche contribuendo come cittadino maggiorenne alla scelta
democratica di buone leggi, inserendosi nella vita spirituale con il proprio
arricchimento interiore o mediante una comunità, collaborando come
consumatore responsabile alla presenza sul mercato di merci di qualità.
Purtroppo oggi dietro le categorie, le caste, le classi, il generico collettivismo
solidaristico, vi sono quasi sempre conflitti di interesse e di potere,
astrazioni dottrinarie e sentimentalismi, non certo autentico spirito sociale.
Questo può nascere soltanto da una libera decisione dell'uomo ed
egli può essere aiutato in ciò da un assetto della società
che attivi la sua individualità piú profonda, richiamandolo
ad una maggiore responsabilizzazione, ad una maggiore consapevolezza. In
sostanza ad un livello di autocoscienza, frutto di un inizio di liberazione
interiore attuato nell'esperienza quotidiana vissuta con un respiro piú
ampio, e, per questo, in grado di avvicinarlo alla corrente spirituale
del nostro tempo – ancora embrionale ma non per questo meno reale – dalla
quale può trarre il senso della sua missione, sino a concepire se
stesso come il portatore cosciente dell'essenza dello Spirito: l'Amore.
Il vero principio della socialità. Non recitato, non supposto a
priori, non sognato, ma conquistato, per libera decisione, nella vita pratica,
nel posto che si occupa nella società, sino a sentir germogliare
la presenza del Divino nell'Io, la comunione con il Logos.
Un pensiero spregiudicato, aduso a guardare con oggettività gli
eventi, potrebbe prendere in esame l'ipotesi che la concezione della Tripartizione
dell'organismo sociale, dietro la sua apparente semplicità, possa
aprire nuove prospettive, possa richiamare forze nuove di guarigione e
di riscatto sociale. Si potrebbe forse scoprire che la soluzione della
questione sociale si pone come risultato di una conquista spirituale decisa
liberamente, andando oltre l'artificiosa scissione di un divino confinato
in alto e di una realtà quotidiana dominata dalle necessità
inferiori; oltre il guscio ormai vuoto delle confessioni religiose e i
vincoli oscuri dell'agnosticismo e del materialismo. Sino ad intravedere
la luce di un nuovo ordine.
In passato, la presenza attiva di un contenuto religioso nella vita quotidiana
ha determinato istituzioni, gerarchie, norme di comportamento abbastanza
rigide. Il necessario decadere dell'antico ordine e la precaria sopravvivenza
di alcuni suoi fantasmi in qualche istituzione odierna, per questo motivo
dannosa, non possono indurre certo a tentativi di restaurazione. Tanto
meno la Tripartizione può essere considerata in questa prospettiva.
Infatti essa non propone progetti conchiusi di istituzioni, al piú
evidenzia l'importanza sociale, sia a livello economico sia a livello spirituale-culturale,
della collaborazione associativa, senza tuttavia precisarne le strutture.
Non esibisce programmi rigidi e riforme, anche elettorali. Indica, piú
concretamente, la necessità di separare i tre aspetti fondamentali
della vita sociale secondo la loro essenziale realtà, affinché
in seno a ciascuno di essi possano svilupparsi liberamente le istituzioni
e le strutture piú idonee ad affrontare le diverse esigenze, a seconda
dei diversi popoli, delle diverse culture, delle diverse tradizioni.
A. Villella, Quale capitalismo?,
Liguori, Roma 1997
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In merito alle rivelazioni
provenienti dall'iniziazione orientale, Rudolf Steiner prese posizione
dichiarando che esse «potrebbero innestarsi nella civiltà
occidentale soltanto scacciandone il principio cristico. Ma questo
significherebbe, in realtà, annientare il vero senso della Terra,
poiché questo senso è di comprendere e di realizzare le intenzioni
del Cristo vivente. Realizzarle sotto la forma perfetta della saggezza,
della bellezza e dell'azione, tale è precisamente lo scopo dei Rosacroce.
Quanto al valore della saggezza orientale, come argomento di studio, resta
del piú grande interesse, poiché per i popoli d'Occidente
il significato dell'esoterismo è andato perduto, mentre i popoli
dell'Oriente lo hanno conservato.
Tuttavia è evidente che l'unico vero esoterismo in Occidente è
quello dei Rosacroce cristiani, poiché è da esso che ha avuto
origine la civiltà occidentale, e se si dovesse perderlo gli uomini
della terra smarrirebbero e rinnegherebbero i loro valori e la loro meta.
Un'armonia tra scienza e religione può fiorire soltanto in seno
a questo esoterismo, mentre qualsiasi tentativo di fusione tra il pensiero
occidentale e l'esoterismo orientale non avrà che conseguenze sterili
e bastarde, come il "Buddhismo esoterico" di Sinnet, che ne è un
esempio».
da:
J.Pierre Bayard, I Rosacroce. Storia, dottrine, simboli,
Ed. Mediterranee, Roma 1975
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