L’Archetipo Anno III n. 13, Novembre 1998

 

PERSONAGGI

SWAMI SIVANANDA SARASVATI  

Nato nel 1887 a Pattamadai, nel Tamil Nadu, a Sud dell’India, Swami Sivananda, il cui nome allora era Kuppuswami, fu un brillante studente e si laureò in medicina giovanissimo. Trasferitosi in Malesia, per le sue eccezionali doti professionali e umanitarie gli venne affidata la conduzione di un ospedale. Qui divenne la consolazione dei diseredati, che egli assisteva gratuitamente e ai quali distribuiva le necessarie medicine. Un giorno si recò da lui per essere curato un Sannyasin, un monaco peregrinante, con il quale poté approfondire la sua conoscenza dello Yoga e dei Vedanta. Da quel momento la sua vita cambiò ed egli comprese che la sua futura missione sarebbe stata di sanare non soltanto il corpo delle persone, ma il loro essere fisico-animico. Tornò in India, diede agli indigenti tutto ciò che possedeva e, divenuto monaco a sua volta, intraprese il viaggio salvifico alla ricerca dell’Illuminazione. Si recò prima a Benares, per purificarsi nelle sacre acque del Gange, e proseguí poi verso l’Himalaya. Il pellegrinaggio terminò a Rishikesh, dove trovò un Guru, un maestro spirituale, che lo istruí ulteriormente e presso il quale pronunciò i voti di rinuncia al mondo, divenendo cosí Swami Sivananda Sarasvati. Dopo dieci anni di rigida pratica di meditazione e astinenza, iniziò il suo vero e proprio apostolato, che può essere sintetizzato in questi 6 dettami: “Servire, Amare, Dare, Purificare, Meditare, Realizzare”. Da Rishikesh, dove morí nel 1963, la sua parola si sparse in tutto il mondo, attraverso circa trecento libri da lui scritti, che vennero tradotti in tutte le principali lingue. 
Pur nella consapevolezza che la sua via non è certamente adatta a un occidentale, è estremamente interessante cogliere in tutta la sua opera l’insistenza sulla pratica della concentrazione come via della liberazione del pensiero. Scrive infatti di lui Massimo Scaligero: 
«Egli appartiene a quegli orientali che non hanno bisogno di Occidente per essere moderni nel senso “michaelita” e che con la sostanza stessa della Tradizione Orientale possono compiere la conversione del “mentale”, dandole un senso nuovo e vitale». 
Riportiamo qui alcuni brevi passaggi tratti da uno dei testi principali dell’insegnamento di Sivananda. 

 

“Un mentale agitato richiede sempre qualcosa di nuovo. Vuole la diversità. La monotonia lo infastidisce. Vuole cambiare posto, cambiare cibo, in una parola cambiare tutto. Ma dovete esercitare il vostro mentale a fissarsi su un oggetto. Non vi lamentate mai della monotonia. È necessario avere pazienza, una volontà adamantina e una infaticabile persistenza. Allora solamente riuscirete nella via spirituale. Colui che vuole ogni giorno qualcosa di nuovo non è adatto alla via spirituale. Dovete mantenere un luogo, un maestro spirituale, un metodo, un sistema. Questa è la via che conduce all’effettivo successo. 

«Bisogna avere una sete reale e intensa della Realizzazione divina. Allora tutti gli ostacoli verranno superati, allora la concentrazione diverrà facile. Un semplice turbamento di emozioni momentaneo, per pura curiosità o per pervenire a poteri psichici, non può apportare alcun risultato tangibile.

«Il Signore stesso, in tutto il suo splendore, non può gioire di maggiore felicità di quella che prova il saggio il cui mentale ben concentrato, libero da ogni desiderio, riposa nella sua piena coscienza volgendo su ogni cosa uno stesso sguardo.

«Se fate uno sforzo eccessivo per meditare e superate i vostri stessi mezzi, sopravverranno l’inattività e l’indolenza. La meditazione deve giungere naturalmente, per effetto della serenità mentale, come risultato della pratica dell’equanimità, della padronanza di sé, del distacco dagli oggetti dei sensi, della concentrazione del mentale. Conservate la vostra energia parlando poco, osservando il silenzio, padroneggiando la collera, praticando la castità e respingendo i pensieri indesiderabili. Avrete in tal modo abbondante energia a vostra disposizione: potrete allora smuovere cielo e terra. Abbandonate senza rimpianto tutti gli oggetti dei sensi, i quali non sono altro che generatori di sofferenza; sviluppate gradualmente l’equilibrio del mentale; padroneggiate i vostri sensi, sopprimete i cattivi desideri, la collera, l’avidità. Piú nulla potrà ferirvi; potrete divenire invincibili.

«Come si può pensare a Dio quando il proprio mentale è lanciato alla scoperta dei difetti degli altri? Se voi dedicaste anche solo una parte del tempo che perdete in quel modo per scoprire i vostri stessi difetti, potreste divenire dei grandi santi. Perché preoccuparsi dei difetti del prossimo? Correggete voi stessi, trasformatevi, purificatevi. Lavate le impurità del vostro mentale. Colui che si applica diligentemente alle proprie pratiche spirituali non trova un solo attimo per controllare ciò che non lo riguarda. Se lo spirito di censura si estingue, non vi sarà piú da criticare gli altri. Si perde molto tempo in maldicenze, chiacchiere, nel montare scandali ecc. Invece, il tempo è prezioso; noi ignoriamo quando il Signore della morte verrà a cercarci. Ogni attimo deve essere consacrato alla contemplazione divina. Lasciate che il mondo segua le proprie vie e occupatevi dei vostri problemi. Pulite il vostro laboratorio mentale. L’uomo che non si occupa degli affari degli altri è il piú pacifico del mondo.

«La natura inferiore deve essere rigenerata dal fondo sino in alto. Se l’ego della persona si mantiene nella sua coscienza limitata, egoista, falsa e ottusa, né l’austerità di vita né l’ascesi porteranno il minimo frutto». Swami Sivananda Sarasvati, La pratique de la méditation,
Éditions Albin Michel, Paris 1950
 

 

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