L’Archetipo Anno III n. 12, Ottobre 1998

MUSICA

                                 LA BUONA MUSICA
Nella evidente confusione che caratterizza attualmente la vita musicale in tutto il mondo, si avverte sempre piú l’esigenza di ritrovare un percorso di rinnovata veridicità, magari cominciando col ripensare anche le sfumature apparentemente insignificanti. In proposito può risultare interessante soffermarsi sui principali predicati che vengono comunemente associati al termine musica, inteso nella sua accezione piú alta, con l’intento di definirne natura e àmbito: “grande”, “colta”, “seria”, “classica”, “buona”.
Parlare di “grande musica” è certamente in qualche misura giustificato se costituisce richiamo verso quanto di alto e nobile è presente nell’esperienza umana, puerile sarebbe invece ogni riferimento alle dimensioni, generalmente cospicue, dei generi musicali in questione, esemplarmente rappresentati dall’imponente 9a Sinfonia di Beethoven. Composizioni di limitatissime dimensioni come i Lieder di Schubert sono autentiche gemme, d’altra parte produzioni di altro genere spesso si articolano su dimensioni colossali. È il caso per esempio del “Musical” di Broadway.
La definizione di “musica colta”, a sua volta, è accettabile limitatamente alla constatazione che una Fuga di Bach è sicuramente frutto di complessa maestria e può richiedere da parte dell’ascoltatore anche una certa evoluzione intellettuale; oppure sotto il profilo storico in considerazione dell’ambito prevalentemente aristocratico, “di Corte”, in cui per secoli si è concentrata la vita musicale sotto la protezione di mecenati illuminati. Meno condivisibile sarebbe invece ancorarla al livello di cultura degli ascoltatori, spesso riscontrandosi una profonda partecipazione all’esecuzione anche tra appassionati privi di una formazione accademica; né tanto meno si potrebbe accettare tra i requisiti qualificanti quello di una scrittura musicale complessa, “accademica”, essendo anzi la ricerca della massima essenzialità espressiva meta costante dei massimi compositori, non di rado coincidente con le pagine piú toccanti.
È poi certamente lecito parlare di “musica seria”, terminologia probabilmente ereditata dalla prevalenza iniziale di produzione liturgica, condivisibile laddove intenda sottolineare l’atmosfera di solennità e contegno che circonda i brani piú profondi. Sarebbe però, per esempio, del tutto improponibile nel caso di uno dei massimi capolavori, Il barbiere di Siviglia di Rossini, caposcuola del genere “buffo”, a meno che non si voglia escludere un geniale e benefico umorismo, qui magistralmente interpretato sotto il profilo musicale, dal novero delle qualità umane piú preziose. E d’altra parte non si può disconoscere il clima di grave solennità presente in non pochi “spiritual”.
Quanto alla locuzione “musica classica”, forse la piú ricorrente, possiamo accettarla quale evidenziazione del carattere di equilibrio formale proprio della Grecia classica, mai completamente assente nei veri capolavori, non solo in campo musicale. È invece decisamente da rifiutarsi da un punto di vista strettamente musicologico, classica definendosi concordemente la produzione del XVIII secolo, cosí come “romantica” quella del successivo.
Si constata dunque che le terminologie esaminate non riescono a configurare che parzialmente la natura della musica in discussione, quando non siano decisamente fuori luogo.
Diverso è il caso dell’ultima definizione: “buona musica”. Sembra qui esistere una sola spiegazione veramente accettabile, che per di piú, al contrario delle precedenti, appare contestualmente idonea a caratterizzare soddisfacentemente la realtà richiamata. Non si può infatti accettare l’identificazione della “buona musica” con quella ben scritta, tale requisito essendo riscontrabile anche in un riuscito brano dichiaratamente commerciale, quale, per esempio, una sigla pubblicitaria; né tanto meno considerare l’aggettivo “buono” sinonimo di “bello”, quest’ultimo possedendo sicuramente una sua completa autonomia; e neppure assimilarlo ad una valutazione di rimarchevole qualità del prodotto, legittimamente spendibile in tutti i generi musicali.
Occorre capovolgere risolutamente la direzione dell’indagine, contemporaneamente inserendo un elemento di dinamicità nel pensare. La coscienza popolare e quella accademica hanno sempre concordato nel ritenere una ben determinata produzione musicale “buona”, perché intuiscono che proprio tale musica possiede in sé la potenzialità di orientare l’ascoltatore verso ciò che è buono, verso il Bene, di migliorarlo.
E tale è sicuramente la ricchezza maieutica vivente nella vera arte donataci dai Maestri, da Palestrina ai grandi del ’900. Ricordiamo in proposito un ammonimento di Goethe: «Sol quel che è fecondo è vero»*.

Francesco Leonetti

*Cit. in R. Steiner, La concezione goethiana del mondo,
Tilopa, Roma 1991, p. 11


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