L’Archetipo Anno III n. 12, Ottobre 1998

PERSONAGGI

                                        NAGARJUNA E TILOPA

All’inizio della nostra era, nel I secolo, il buddhismo aveva subíto profondi cambiamenti rispetto alle regole originali dettate dal Gautama Buddha, e il contatto con le religioni dei Paesi in cui si era diffuso lo aveva in qualche modo influenzato. Erano i suoi stessi seguaci che, interpretando alla lettera i canoni della legge e facendo dell’“ottuplice sentiero” una pratica yoga piú che un veicolo di realizzazione spirituale, si erano divisi in conventicole e sètte spesso in urto tra loro circa l’interpretazione da dare alle regole contenute nel sacro testo del Tripitaka. Inoltre si era instaurata una sorta di anarchia didattica per cui ogni Maestro forniva ai discepoli un insegnamento personale e spesso deviato con interpretazioni arbitrarie del Canone dettato dal Buddha.
Fu in quel periodo che iniziò la sua opera Nagarjuna. Nato in un villaggio del Sud dell’India, molto studiò e predicò, mentre percorreva il continente verso Nord. Giunto a Nalanda, per le sue evidenti doti iniziatiche divenne abate della locale Università buddhista. Ribadendo i concetti del Buddha, riaffermò la validità del “sentiero di mezzo” (Madhyamika) che eliminava gli estremi combinando un piú alto idealismo etico con la comprensione dell’unità dei contrari, e per questo viene considerato dalla tradizione il fondatore del buddhismo Mahayana. Nagarjuna ordinò tutta la vasta letteratura del “Grande Veicolo” instaurando un metodo che servisse di guida e riferimento per l’enunciazione dei princípi basilari del buddhismo, sostituendo all’antico concetto del “vuoto” (sunyata) quello della relatività, specificando che nulla vale in sé ma in quanto in rapporto con il tutto. Egli giunse infine a stabilire i termini delle due Verità: quella assoluta del Grande Veicolo (Mahayana) e quella relativa del Piccolo Veicolo (Hinayana), riconoscendo solo alla prima, che vuole il Bodhisattva reincarnato in varie esistenze per aiutare l’umanità, la vera e sola strada per raggiungere il Nirvana: praticando cioè, insieme alla sublime comprensione, anche l’infinita compassione (karuna).
La leggenda si appropriò della sua figura tramandandone l’icona che lo vede amico e protettore dei Naga, i mitici serpenti guardiani dei tesori spirituali. Nell’aureola che circonda la sua testa sono infatti rappresentati alcuni serpenti. Mitizzato e divinizzato, Nagarjuna divenne punto di riferimento spirituale per molti yogi e guru nei secoli successivi.
A lui in particolare si rivolgeva Tilopa, uno dei Mahasiddha, vissuto nel secolo XI (988-1069). I Mahasiddha erano santi e taumaturghi dotati delle siddhi, mistiche facoltà con le quali erano in grado di dominare e superare le leggi naturali. Erano i grandi Iniziati del buddhismo tantrico, destinati a percorrere e realizzare la Via di Diamante (Vajrayana). Essendo maestri yogi, nell’iconografia tantrica sono raffigurati con il perizoma, i capelli spioventi sulle spalle e l’usnisa, la protuberanza cranica ricoperta da una crocchia. Davanti a loro c’è talvolta un paniere che rappresenta il Tripitaka, le sacre scritture del Canone originario del buddhismo. Esso è diviso in tre scomparti: il primo contiene le regole dirette ai monaci, il secondo quelle destinate ai fedeli e il terzo quelle per gli Iniziati.
Tilopa viene raffigurato senza barba, con il sacro tamburo tibetano nella destra (damaru) e una coppa cranica nella sinistra, a volte sostituita da un pesce. Di lui si narrano leggende e aneddoti che ne attestano la potenza di yogi e le capacità soprannaturali. È infatti considerato l’iniziatore della scuola Kagyu, detta anche della perfezione, che nella seconda metà dell’anno Mille dall’India settentrionale raggiunse il Nepal e il Tibet, dove originò il lamaismo.
Bramino dell’India orientale, Tilopa entrò spiritualmente in contatto, ancora fanciullo, con il grande Maestro Nagarjuna, che gli trasmise i segreti della Via di Diamante che Tilopa doveva poi a sua volta trasmettere al discepolo Naropa, continuatore del lignaggio Kagyu.
Per raggiungere piú alti gradi d’Iniziazione, Tilopa, che era tornato a governare il suo piccolo regno in India, si ritirò a vita monastica nel complesso di Somapuri nel Bengala. La leggenda vuole che qui gli apparve una Dakini, entità femminile rivelatrice di segreti spirituali, che lo iniziò alla conoscenza della via suprema del Chakrasamvara Tantra. Per dodici anni Tilopa praticò tale dottrina, poi, lasciato il monastero, viaggiò a lungo per il continente. Durante questo periodo egli si guadagnò da vivere macinando grani di sesamo, in sanscrito “til”: da qui il suo nome Tilopa, ovvero “macinatore di grani di sesamo”. Nacque da questo particolare il simbolismo che vuole il seguace della Via di Diamante come uno che riesca a trarre dalla bruta materia l’olio della conoscenza suprema.
Nelle tanka, rappresentazioni pittoriche religiose, specialmente in quelle raffinatissime della scuola Sakya, al centro della sfera celeste sovrastante il Buddha, nella radianza della sua aura eterica, appaiono quasi sempre Nagarjuna e Tilopa, insieme ad altri Mahasiddha. Tali raffigurazioni volevano ribadire ai monaci degli stupa, cosí come ai semplici fedeli nell’intimità delle loro case e ai pellegrini che visitavano i templi dove quelle piú preziose venivano esposte, che la via della perfezione non passa attraverso l’esclusiva obbedienza a rituali e cerimonie liturgiche, ma segue la rigorosa via personale della perfetta meditazione, l’unica in grado di far divenire l’uomo padrone del proprio karma invece di subirne passivamente il giogo.
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