L’Archetipo Anno IV n. 6, Aprile 1999

DANZA

  SHIVA NATARAJA, IL SIGNORE DELLA DANZA

Seguendo un insopprimibile istinto, l’uomo ha iniziato a danzare sin dagli albori della civiltà. Nell’esecuzione reiterata, accelerata o rallentata dei movimenti, nella loro coordinazione armonica assecondata da una mimica somatica e gestuale, gli antichi vedevano un meccanismo espressivo in grado di esternare interiori pulsioni per mezzo di un’esuberante espansione ritmica. Con la cadenza regolata dei passi, unita alla modulazione sonora e vocale, al battito delle mani, i primi uomini evocavano la misura simmetrica ed arcana su cui si regge l’ordine supremo delle cose create, e tentavano di entrare in rapporto con le energie naturali, le forze occulte che dominano gli elementi e la terra. La danza era quindi allo stesso tempo preghiera e azione di grazia. Mentre celebrava cerimonie religiose, eventi sociali, ricorrenze stagionali e riti di passaggio, essa valeva quale tramite capace di stabilire un contatto con il divino attraverso il raggiungimento della condizione estatica, chiave di apertura al mondo soprannaturale. Facendo ricorso a tutto un corredo di simboli e codici rappresentativi, il danzatore sollecitava la divinità a manifestarsi, persino ad assimilarsi all’umano.
Tutto ciò serviva a rendere intelligibile la richiesta di grazie e di favori, di consolazioni e assoluzioni redentrici. Una preghiera articolata e dinamica, dunque, oltre che liturgia propiziatoria, che utilizzava il corpo quale strumento privilegiato di espressione. Pertanto, in tempi remoti, venivano ritenute primarie le forme d’arte che adoperavano il complesso fisico umano per estrinsecare idee, concetti, passioni ed emozioni, mentre venivano considerate complementari le pratiche espressive che utilizzavano strumenti confezionati con supporti materici e da questi condizionati. La danza veniva quindi considerata il veicolo ottimale per la realizzazione artistica e sublimativa.
Nell’antica India, in virtú di tali princípi, la danza occupava il ruolo preminente nella simbologia sacra. Grande Signore della Danza è Shiva, che con Brahma e Vishnu forma la Trimurti divina. Egli viene rappresentato in un alone di fuoco, mentre danzando schiaccia un demone che incarna lo spirito del male, simboleggiando cosí la vittoria dell’ordine e dell’equilibrio sul caos e sulle tenebre, la reintegrazione dopo la distruzione catartica. Il moto circolare stabilisce la cadenza del tempo, il ritmo dell’universo, l’eterno ciclo di creazione-distruzione-rinascita. Significa anche la riconciliazione degli opposti, il ricongiungimento del principio maschile con quello femminile, del cielo e della terra.
Imitando gli attributi di Shiva, il danzatore sacro, attraverso l’espansione del corpo che si liberava e ruotava, mirava all’estasi, allo svincolamento dallo stato materico, al dissolvimento della maya, l’illusione dei sensi. Danzare era quindi un atto mistico e magico, in cui la personalità del danzatore si trasformava, acquisendo virtú soprannaturali.
Nell’iconografia tradizionale induista, Shiva Nataraja, ovvero il Signore della Danza, viene rappresentato con quattro braccia. Nella mano superiore destra regge un tamburo (damaru) che sta ad indicare il Suono, il veicolo della Parola. Il Suono è associato all’Etere, la primaria manifestazione del Brahman, l’anima universale. Da tale materia originale derivano l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra. All’inizio del processo creativo quindi agiscono il Suono e l’Etere.
La mano superiore sinistra del dio regge sul palmo aperto una fiamma. Ciò sta a significare che al termine del Kaliyuga la creazione verrà distrutta dal fuoco. Pertanto, mentre il tamburo indica simbolicamente il nascere dell’ordine cosmico, la fiamma viva suggerisce l’idea di combustione catartica della creazione.
La mano inferiore destra del dio è atteggiata in un gesto protettivo, rassicurante, ed è volta verso il piede sinistro sollevato. Questa positura indica la salvezza, l’opposizione equilibrante, la tutela.
Sotto il piede destro di Shiva giace il dèmone nano Apasmara Purusha, che incarna l’ignoranza e le tenebre. Attraverso la conoscenza e la verità rivelata, l’uomo raggiunge l’affrancamento dai legami dell’esistenza e della materia.
Il cerchio di fuoco che circonda la figura danzante rappresenta anche la sillaba sacra AUM, sinonimo di creazione. La vocale A indica uno stato di coscienza risvegliata, e quindi di profonda conoscenza del mondo. La U sta a significare uno stato di coscienza sognante, che induce la visione del mondo ultraterreno. La consonante M denota uno stato di sonno profondo senza sogni, che è la condizione naturale di una coscienza indifferenziata. Il silenzio che segue l’atto del pronunciare le tre lettere AUM rappresenta l’estremo immanifesto. La sillaba sacra costituisce quindi il simbolo della trinità cosmica, il mantra perfetto perché unisce parola e silenzio, umano e divino.
La danza di Shiva attiva una frizione di energie contrastanti o convergenti, un attrito tra forze opposte o sinergetiche. Anche il dualismo tra Vishnu il conservatore e Shiva il distruttore non è altro che una lotta senza la quale la struttura cosmica verrebbe a mancare della benefica implosione che produce l’accensione del nucleo, l’accelerazione delle particelle di cui la materia si compone e che l’intervento divino, rappresentato dalla danza, incessantemente anima e distrugge. Da questo processo di combustione e rigenerazione la materia, sublimata, si trasforma in luce.

Ovidio Tufelli

 

Torna al sommario