L’Archetipo Anno IV n. 4, Febbraio 1999

SCIENZA E COSCIENZA

  IL NUOVO DOGMATISMO

Non vi sarebbe produzione umana, dal bottone al missile, se prima non sorgesse come pensiero. Né si può porre relazione tra cosa e cosa, che non sia in verità relazione tra concetto e concetto. Essendo venuta meno questa essenziale coscienza del pensare, è venuta meno altresí la possibilità di ritrovare il punto da cui il pensare scaturisce come puro essere, ossia come un sovrasensibile sperimentabile.
Le ragioni della moderna “caduta” dell’intelletto sono ben piú semplici di quelle identificate da critici della civiltà come Jünger, o Adorno, o Evola, o Marcuse, i quali rimandano a cause esteriori all’uomo, piuttosto che a processi della coscienza, che esigerebbero venir identificati mediante esperienza delle forze della coscienza.
Il còmpito cui è mancato il pensatore di questo tempo, in realtà, è la coscienza del potere di correlazione, o della universalità, del concetto: che egli usa senza conoscere. Còmpito logico per lui sarebbe stato sperimentare la coincidenza del pensiero con se medesimo: operazione che avrebbe richiesto una specifica ascesi del pensiero. La coincidenza infatti si verifica ogni volta come fatto extracosciente, allorché un’intuizione risponde a realtà.
L’intuizione del reale non dipende dal semplice darsi della realtà, ma dal soggetto conoscente che la realizza in quanto attua nell’intuire una identità che sfugge alla coscienza ordinaria: onde Hegel, che ebbe consapevolezza di tale processo, giustamente chiamò alienazione il momento del pensiero in cui l’oggettività provvisoriamente appare essente da sé o su sé fondata: mentre ingenua fu la critica di Marx che credette mistico e ingenuo Hegel per il fatto che vedesse «l’oggettività come alienazione della autocoscienza». …
Si può definire antiscientifico sino alla superstizione il fatto che lo scienziato non riesce a prendere atto dell’attività intuitiva da lui messa in moto nella sua indagine, né a riconoscere in essa l’inizio reale della conoscenza. Tale animadversio sarebbe decisiva per il senso umano della scienza e del suo ulteriore cammino. Lo scienziato dovrebbe rivolgere la sua consapevolezza all’attività cui attinge in sé per sentire incontrovertibile il fatto, o il fenomeno. Privo di tale consapevolezza, egli è destinato a ignorare il fondamento su cui edifica il sapere: procede secondo una sorta di idolatria del fatto, ignorando il proprio atto: esclude se stesso, ossia l’uomo, dal cosmo tecnologico, nel quale si situa come cosa, o automa.
La precisione formale alla quale si educa mediante la ricerca scientifica, egli dovrebbe usarla riguardo al procedimento del pensiero che gli consente la ricerca: non al procedimento dialettico, ma al suo puro movimento. Da una percezione consapevole del pensiero dipende il cammino ulteriore della civiltà: la possibilità di una via d’uscita dal problematicismo dialettico indefinitamente trasmutante e in sé identico.
Lo scienziato moderno in realtà non possiede il grado di coscienza che gli consente l’esperienza fisica e l’elaborazione delle discipline. Il pensiero teoretico contemporaneo, e in particolare la logica formale e la filosofia della scienza, hanno provveduto a eliminare la possibilità di possederlo, col farsi codificatrici del prodotto del pensiero, privo del proprio momento produttivo o intuitivo. Non si tratta delle intuizioni che via via lo scienziato può avere in relazione a determinati oggetti, ma del potere insito nelle intuizioni: che egli pertanto non sperimenta come tali, bensí nel loro divenire determinazioni discorsive, idealmente esaurite. 

Massimo Scaligero

M. Scaligero, RIVOLUZIONE discorso ai giovani, Roma, Perseo, 1969, pagg.26-28

 

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