L’Archetipo Anno IV n. 8, Giugno 1999

ETICA

CHI COLTIVA LA GUERRA?

Chi marcia per la pace, chi partecipa minaccioso ad adunate per la “giustizia sociale”, difficilmente sospetta di essere portatore dell'impulso opposto a quello che presume affermare: egli si fa una forza della sua incapacità di riconoscere in sé il principio dell'ingiustizia e della guerra. In tale atteggiamento è in atto la sottile volontà dell'ingiustizia e della guerra. La povertà di idee di simile marcia o adunata, è il credere che qualcuno individualmente identificabile abbia il potere di instaurare o togliere pace e giustizia: che esistano individui dotati del potere di promuovere la pace o la guerra, come la giustizia o l’ingiustizia sociale. A parte il significato tattico di simili manifestazioni, si tratta ancora una volta dell'accusa verso l'altro, dell'attribuire ad altri, fuori di sé, la responsabilità di quello che avviene: del principio della condanna dell'altro: il principio vero dell'ingiustizia e della guerra. Il pacifista è colui che meno di tutti può sentire la corresponsabilità della situazione cui sia corollario ultimo la guerra: è il più lontano dal supporre di portare in sé le cause della guerra, e dall'idea di un'azione interiore che possa essere inizio di pace. Tale azione dovrebbe essere il portar la guerra a se stessi, al proprio istinto di avversione e alla dialettica che immediatamente la riveste. Fino a che questa identità della dialettica con l'istinto d'avversione non venga avvertita, epperò superata, il conflitto è inevitabile, il dissidio insanabile. La guerra combattuta con le sue inumane stragi e le sue distruzioni, sta lí come ultima conseguenza di un processo interiore che sfugge alla coscienza umana: processo che sarebbe saggio penetrare là dove sorge, piuttosto che credere di afferrare nelle sue finali manifestazioni. La guerra è l'espressione visibile di uno stato di fatto invisibilmente compiuto.
Un'analisi metafisica delle ragioni della inevitabilità della guerra potrebbe scoprire la connessione karmica, epperò la corresponsabilità spirituale del tipo umano sociopolitico uso a rivendicare a sé l'estraneità alle cause della guerra. La guerra non viene scatenata da un uomo o da un gruppo di uomini individualmente identificabili in base a inchieste indiziarie: gli “evidenti” responsabili, invero, sono soltanto gli inconsci strumenti di un meccanismo già in moto prima che essi l'avvertano e di cui nessun essere consapevole, a un simile livello di coscienza, si può dire che possegga il comando. Se si potesse avere la visione obiettiva di tale impercepibile processo si vedrebbe il meccanismo servito inconsciamente proprio da coloro che deprecano il suo prodotto finale. Chi coltiva la guerra nella propria anima, chi marcia per la pace, chi accusa gli altri di ingiustizia sociale e non trova modo di accusare se stesso, chi crede alla colpa degli altri e non alla propria, e perciò crede legittimo eliminare il ritenuto colpevole, prepara la guerra, rende inevitabile l'ingiustizia sociale. La dialettica della lotta sociale è il veicolo di una inconciliabilità che non può non esigere come conseguenza ultima la guerra. Guerra, guerriglia, lotta di classe, manifestazione di popolo, sono espressioni di un medesimo contenuto.
Il karma è l'urgere nella presente forma fattuale, delle cause poste dall'uomo nel passato. Questa corrente del passato manifesta la sua forza comunque positiva, mediante la forma dell'evento fausto come dell'infausto, se trova nella coscienza di lui il rapporto con la direzione dell'avvenire, che è in sé la direzione della libertà, o dell'indipendenza dal karma: questa sola ha il potere di dare forma al manifestarsi delle cause. Quando la libertà umana viene impedita – e non viene mai impedita da un regime, bensí da un modo di pensare o di conoscere – il passato come impulso presente viene contraddetto dalla posizione dialettica presente: la corrente del passato, non incontrando la libertà umana, è portata ad imporsi come forza del presente. Impulsi regressivi operanti nella corrente della libertà, deviante perché inconscia, afferrano l'uomo: che spesso è portato a considerare l'espressione di ciò “rivoluzione”. Egli inconsciamente regredisce, per poter giungere, mediante fatti esteriori, a un accordo con le cause del passato, con cui non riesce a congiungersi mediante libera meditazione. Perciò dottrine che sembrano annunciatrici del progresso sociale, sono espressioni di impulsi trascorsi della specie: impulsi che un tempo mossero l'uomo, oggi sono l'impedimento alla sua evoluzione, alla nascita dell'autocoscienza. La lotta è appunto contro l'autocoscienza, la quale soltanto è capace di responsabilità e di relazione sociale, o di amore per il prossimo e perciò di pace. A questa autocoscienza si fa opposizione. Diciamo «si fa opposizione»: non potremmo indicare nessun reale autore. Non c'è autore, infatti. Un medium non è autore.
La regressione dell’umano avviene mediante l’ethos dominante, la cultura dominante, la dialettica, la logica analitica, i miti politici, il culto psicologico degli istinti, il meccanicismo assoluto: tale situazione lascia intravvedere un solo potere in marcia in tutto il mondo.
…Coloro che sceglieranno la via cosciente, agiranno come esseri liberi, perché conosceranno la legge del karma e il mistero della libertà, connesso con quello della fraternità: fraternità che non elimina anzi rende creative le distinzioni. Movendo secondo percezione interiore, o secondo Scienza dello Spirito, essi vedranno in coloro che tendono a eliminarli i propri fratelli umani inconsciamente assumenti su sé il male della Terra, per realizzarlo: costoro invero incarnano l’odio, perché l’odio si manifesti e una forza piú alta sia sollecitata a risolverlo, mediante la conoscenza.

Massimo Scaligero

M. Scaligero, Lotta di classe e karma,
Perseo, Roma 1970, p. 179-182, 184.

 

Torna al sommario