L’Archetipo Anno IV n. 9, Luglio 1999

SITI E MITI

 
SAN MICHELE
AL GARGANO

Il promontorio del Gargano, detto anche lo Sperone d’Italia, emerge dal Tavoliere delle Puglie con la sua turrita mole calcarea e, quasi a staccarsi dal suolo peninsulare, si protende nel mare Adriatico per circa sessantacinque chilometri. Morfologicamente risulta estraneo alla struttura geologica del territorio, meridionale in generale e pugliese in particolare. È una terra dal clima aspro e flagellato dalle correnti, con folti boschi di faggi, carpini e aceri montani: una vegetazione tipicamente nordica, culminante nella Foresta Umbra (nel senso di ombrosa). Il tutto avvolto di una luce solare il cui spettro è percorso da riflessi boreali, pur nel suo biancore levantino.
Un luogo avulso dalla realtà geografica circostante e per questo forse considerato, sin dall’antichità, ricettacolo del mistero dalle popolazioni locali, che vi eressero due templi: uno dedicato a Podalirio, antico eroe della tradizione proto-italica, e l’altro a Calcante, il vecchio indovino dell’Iliade. Lo storico Strabone racconta che i fedeli che consultavano l’oracolo sacrificavano un ariete nero, e nella sua pelle si avvolgevano per indurre il dio a rivelarsi loro nel sonno. Ecco quindi sancita la sacralità millenaria del luogo sin dai tempi remoti della devozione panteistica.
L’episodio che avrebbe dedicato il luogo alla fede Cristica avvenne il 5 maggio dell’anno 493. Quel giorno, il toro piú pregiato di un allevamento fuggí e fu a lungo rincorso dal suo proprietario, che alla fine lo ritrovò inginocchiato davanti all’ingresso di una spelonca. Ogni tentativo dell’uomo e dei suoi servi per costringere l’animale a ritornare alla mandria risultò inutile, finché l’allevatore, preso dall’ira, gli scagliò contro una freccia. Questa però si arrestò a mezz’aria e, invertendo la traiettoria, tornò con effetto boomerang contro chi l’aveva tirata, conficcandoglisi in una gamba.
L’uomo corse in paese a riferire l’accaduto, e la voce dell’incredibile fatto giunse a Laurenzio, vescovo della vicina Siponto (attuale Manfredonia), che ordinò tre giorni di digiuno e preghiera. Trascorsi i tre giorni, una processione di fedeli guidata dallo stesso Laurenzio si recò al luogo del prodigio.
Qui apparve loro l’Arcangelo Michele, vestito d’una luminosa armatura, come lo avrebbe poi immaginato John Milton nel suo Paradiso perduto:

    Dello stellato elmetto il vigor primo
    della virilità nel vago volto
    misto scopria di giovinezza il fiore;
    stringe un’asta la mano, e dal bel cinto
    qual da zodiaco scintillante, pende,
    spavento di Satàn, la fera spada.*

Prima di sparire, Michele chiese la consacrazione di quella grotta e dell’intera montagna a lui stesso e alla sua milizia celeste. A testimonianza dell’apparizione lasciò uno dei suoi speroni, simbolo del Gargano, suo luogo d’elezione, ma da intendersi anche come sprone all’uomo per avanzare lungo la via della realizzazione spirituale.
Da allora, innumerevoli sono stati i miracoli e gli interventi prodigiosi elargiti dall’Arcangelo alle folte schiere di pellegrini che nei secoli hanno visitato il luogo e la chiesa eretta intorno allo speco. Confusi tra la folla dei devoti, vennero anche personaggi illustri per santità e potere. Tra gli altri anche San Francesco d’Assisi e il mistico imperatore Ottone III che, stando alle cronache del tempo, percorse a piedi nudi il tragitto da Roma al santuario.
E il suolo benedetto fu nei secoli dimensione catalizzatrice di santità e ascesi. A San Giovanni Rotondo, poco distante dal luogo d’elezione dell’Arcangelo Michele, è fiorito l’ultimo grande santo della cristianità monastica, Padre Pio da Pietrelcina, che qui ricevette le stigmate e ottenne dalla Divinità grazie, miracoli e benedizioni.

Ovidio Tufelli

    Monte Sant’Angelo

            Il mare del Gargano

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*J. Milton, Il Paradiso perduto, Libro XI, trad. di Lazzaro Papi, Firenze 1839.

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