L’Archetipo Anno IV n. 7, Maggio 1999

ANTROPOSOFIA

  MISURA COSMICA E UMANA

I babilonesi furono indirizzati dai mondi spirituali sulla terra; ivi era il loro compito, la loro missione. Come ho già accennato, a base della civiltà babilonese esteriore vi era la civiltà caldaica dei misteri, una civiltà che rimase esoterica, ma che filtrò in un modo ben determinato nella civiltà esteriore. Destiamo in noi il rispetto per la profonda astronomia dei babilonesi e per la loro potente missione, che consisteva nel trarre dalle conoscenze umane del mondo spirituale, dalle misure dei cieli, tutto ciò che era destinato a inserirsi nella civiltà umana a vantaggio della vita pratica esteriore, e che in pari tempo doveva essere posto in relazione con l’uomo.
Esisteva per esempio nell’antica Babilonia il detto seguente: “Guarda l’uomo che cammina senza essere né vecchio né bambino, che cammina da sano e non da malato, che non corre troppo né va troppo adagio, e tu vedrai la misura del corso del sole”. Detto singolare, che può farci penetrare molto, molto addentro nelle anime degli antichi babilonesi. Essi pensavano infatti che un uomo dal passo sano e normale, un uomo che cammina con la rapidità conforme alla salute della vita, né troppo in fretta né troppo piano, se avesse fatto il giro della terra avrebbe impiegato 365 giorni e un quarto di giorno. Il che piú o meno corrisponderebbe, se non ci si fermasse mai, né di giorno né di notte. Questo detto è certamente capace di suscitare in noi un grande rispetto per la possente visione cosmica del popolo babilonese, perché, partendo da qui, i babilonesi crearono poi una divisione del cammino dell’uomo intorno alla terra; calcolando poi secondo certe misure parziali, ne derivarono una misura che è all’incirca il tratto di via che l’uomo percorre in due ore di cammino; il che corrisponde a un miglio.
Anche altre unità di misura erano basate sull’uomo, sulle leggi scoperte nel microcosmo: cosí il “piede”, tolto dalla misura di un arto umano, cosí il “braccio”. In fondo, fino a poco tempo fa, tutta la maniera di pensare degli antichi babilonesi era alla base del nostro sistema di misure. Le dodici costellazioni zodiacali e i cinque pianeti davano loro il 5x12 = 60, cioè un numero fondamentale. I babilonesi nel contare arrivavano soltanto fino al sessanta, e dopo il sessanta ricominciavano da capo. In tutte le loro numerazioni quotidiane si basavano sul numero dodici che, essendo preso dalle leggi del cosmo, si adatta in realtà molto piú concretamente a tutte le contingenze concrete esteriori. Quel numero è facilmente divisibile e corrisponde alla dozzina, un altro dei doni venutoci dalla missione dei babilonesi. Il nostro sistema di conteggio si fonda sempre sul dieci, un numero che è molto difficile da suddividere, mentre la dozzina, anche per il suo rapporto col sessanta e nella sua varia divisibilità, come base di sistema numerico e di misura, si adatta in sommo grado e concretamente alle circostanze [tale suddivisione è tuttora presente nel calcolo del tempo, basato sulla scansione in 12 (ore), 60 (minuti) e 60 (secondi) n.d.r.].
È straordinariamente interessante osservare come non solo nell’àmbito dell’antroposofia, ma anche al di fuori, l’umanità venga istintivamente spinta a riprendere le vie dell’ascesa, a risalire verso un adattamento alla misura, al numero e alla forma simile a quello degli antichi babilonesi ed egizi. Per esempio, c’è un interessante medico berlinese che ha fatto un’osservazione degna di nota. La voglio illustrare. Si tratta di un’osservazione di puri fatti, prescindendo da ogni teoria. Ammettiamo che un punto segni schematicamente la data della morte di una donna qualsiasi. Si badi che non descrivo qualcosa di pensato, ma di osservato. Quella donna è la nonna di una famiglia. Un determinato numero di giorni prima della sua morte, nasce in famiglia un nipotino; quel numero di giorni è 1.428. Il fatto singolare è che 1.428 giorni dopo la morte della nonna viene al mondo un altro nipote, e un suo pronipote nasce 9.996 giorni dopo la morte della nonna. Dividendo ora 9.996 per 1.428 si ha 7. Vale a dire che in un periodo sette volte maggiore di quello che corre fra la nascita del nipote e la morte della nonna, viene al mondo un pronipote. Ora quello stesso medico mostra che questo non è un caso isolato, ma che l’esame genealogico di molte famiglie, riguardo a morti e nascite, dà sempre dei rapporti numerici assolutamente determinati. E l’interessante è che prendendo per esempio 1.428, si vede che in esso il sette è nettamente contenuto. In breve oggi la gente si vede costretta dai fatti a ritrovare nella sequela degli eventi esterni certe regolarità, certe periodicità che si ricollegano agli antichi numeri sacri. La molteplicità dei risultati già ottenuti fino ad oggi dal dott. Fliess (cosí si chiama quel medico) e dai suoi scolari, è una riprova che il decorso di tali eventi è proprio regolato secondo date leggi, secondo ben determinati numeri. Già oggi esistono in enorme quantità dei numeri cosí coordinati. La spiegazione che ne viene data è assolutamente materialistica, ma la forza dei fatti costringe tuttavia ad ammettere l’influenza del numero sul corso degli eventi universali. Noto esplicitamente che il modo con cui Fliess e i suoi scolari si valgono per ora di questo principio, è molto errato. L’uso che fanno dei loro numeri principali, specie dei 23 e del 28, che pure ritorna come risultato del 4 x 7, dovrà subire ancora molti miglioramenti. Nondimeno in questo modo di osservazione, nel periodo della riascesa dell’umanità, scorgiamo un istinto riaffiorare dall’antica civiltà babilonese. Naturalmente la gran massa degli uomini non ha alcuna sensibilità, alcun senso per tali cose; esse rimangono limitate a cerchie ristrette. Ma deve sembrarci degno di nota vedere come delle persone, quali per esempio gli allievi del Fliess, vengano poi indotti dalla loro scoperta a pensieri e sentimenti speciali. Uno di essi osserva: «Che ne avrebbero pensato gli uomini, se queste cose si fossero sapute in tempi antichi?» (e dire che, appunto, si sapevano!).
Un altro punto molto caratteristico mi pare il seguente. Dopo che l’allievo del Fliess ebbe raccolto molti esempi, aggiunse: «Periodi di tempo della piú evidente struttura matematica vengono tolti dalla natura; sono cose che rimasero in tutti i tempi inaccessibili ai cervelli meglio dotati e usi a problemi molto piú ardui. Con quale fervore religioso avrebbero proceduto in tale indagine i calcolatori babilonesi, e di quale magia avrebbero circondato questi problemi!» Vediamo dunque come la forza dei fatti costringe già oggi gli uomini a riconoscere nelle cose un ordine di leggi spirituali, matematiche.
Vediamo cosí in realtà quanto sia profondamente vero che in sostanza tutto ciò che piú tardi, nello sviluppo dell’evoluzione umana, si estrinseca in modo personale, sia un’ombra di quel che prima esisteva in una grandiosità originale ed elementare, perché ancora perdurava il collegamento col mondo dello spirito. Vorrei sottolineare, affinché si imprima bene nelle nostre anime, che furono i babilonesi che, nel loro trapasso al quarto periodo di civiltà, portarono per cosí dire il cielo sulla terra, introducendo i segreti celesti nella misura, nel numero e nel peso; che risentiamo l’eco di tutto ciò fino ai giorni nostri; che ritorneremo a quella tecnica numerica che deve riaffermarsi sempre piú, per quanto in altri campi della vita sia naturalmente giusto un sistema astratto di misure e di numeri. Anche qui possiamo vedere di nuovo come nello scendere sia stato raggiunto un dato punto nella civiltà greco-latina della pura umanità, dell’estrinsecarsi della personalità sul piano fisico, e come poi abbia luogo una nuova ascesa.

Rudolf Steiner

Tratto da R. Steiner, Storia occulta, Editrice antroposofica, Milano 1981, pagg. 65-70

Illustrazione: «L’uomo come misura divina realizzata»,
da una visione di Hildegard von Bingen nel Liber Divinorum Operum, XIII secolo

 

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