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Giuseppe De Luca ha fondato a Milano la scuola quadriennale
«La Metamorfosi», per la formazione alla pedagogia artistica
su basi steineriane, che dal 1995 è anche divenuta scuola di terapia
artistica antroposofica. Sempre a Milano ha fondato con Eva Mees e diretto
fino al 1995 «La Lemniscata», scuola di formazione professionale
per la terapia artistica a indirizzo steineriano. Ha inoltre svolto lavoro
terapeutico al Centro «Il Mosaico» di Chiavari per pazienti
psicotici, al cronicario di Coronata a Genova per anziani lungodegenti
e alla USL di Genova per bambini sordomuti e autistici. È membro
fondatore dell’Istituto Italiano di Psicoterapia e Scienze Umane di Chiavari
e membro della Sezione Medica e della Sezione per le Arti Figurative al
Goetheanum di Dornach. Ha collaborato con l’Azienda Agricola Salamita di
Barcellona, Messina, come docente di materie artistiche nella scuola di
formazione per operatori agricoli biodinamici, e con l’Accademia artistica
«Picasso» di Palermo come docente di decorazione. Ancora a
Palermo ha lavorato in varie scuole per allievi problematici, con interventi
per il superamento della dispersione scolastica, e svolge un corso di terapia
artistica con le arti figurative per il Gruppo Medico Antroposofico.
Durante l’estate tiene regolari seminari di pedagogia
e terapia artistica a S. Certa, in Umbria.
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Se nelle azioni umane è
necessario riscoprire le connessioni con le grandi leggi macrocosmiche,
quale condizione per considerarci a pieno titolo cittadini del mondo, è
a maggior ragione opportuno interrogarci in merito all’operare che sostanzialmente,
se non unicamente, contraddistingue l’uomo dai regni della natura: il processo
creativo. Esso può essere piú o meno dominato dal pensiero,
o dal sentimento o dalla volontà, tuttavia è sempre armonico
nella diversa misura delle sue tre componenti fondamentali: le facoltà
dell’anima al servizio dello Spirito.
Ma un’azione cosí
intensa, se vuole elevarsi al di sopra dei “regni inferiori”, non può
non essere anche una azione artistica. Se davvero, come dice Goethe, «L’arte
è la manifestazione di leggi segrete della natura, che senza di
essa sarebbero rimaste per sempre nascoste», al creare e all’arte
è dunque connessa la scoperta di leggi che interessano mirabilmente
il legame fra uomo e cosmo, fondamento e scopo stesso della nostra immersione
temporanea in corpi fisici terrestri… Prendiamo perciò in considerazione
il processo artistico pittorico quale archetipo di ogni azione creatrice
umana, alla ricerca di semplici immagini di una grandiosa spiritualità
cosmica, secondo le comunicazioni di Rudolf Steiner: questa realtà
spirituale di cui è impregnata ogni manifestazione fisica dovrebbe
infatti risplendere in un lavoro artistico che, in quanto tale, tenta di
porre l’uomo il piú vicino possibile, a immagine e somiglianza appunto,
agli esseri spirituali creatori del Cielo e della Terra.
Nella Scienza Occulta,
Steiner ci indica i destini della Terra, ma anche le sue misteriose origini
nelle trame artistiche di gerarchiche spiritualità. Il futuro della
Terra viene indicato a grandi linee nella necessità evolutiva di
una progressiva consunzione-spiritualizzazione della materia fisica terrestre
(Conferenza di Natale): non una morte per inquinamento… bensí
una eterizzazione, un superamento del fisico-sensibile per generare una
delle fasi planetarie adatte all’evolversi dell’uomo stesso. Con ciò,
senza forzatura alcuna, è indicata chiaramente una direzione anche
all’operare artistico, che non deve mai piú, come in epoche precristiane,
far discendere l’uomo nel proprio corpo: è ora necessario risalire,
secondo una curva ormai ascendente, verso una cosciente comprensione spirituale,
verso il superamento del materialismo.
Còmpito dell’artista
è dunque principalmente di spiritualizzare, di elevare la materia,
che diventa come primo passo il Materiale attraverso l’intervento del soprasensibile:
il fluire del calore nei corpi freddi. In questo primo impulso verso un’opera
tesa al futuro risuona la lontana eco del sacrificio degli esseri del calore
come germe fisico dell’uomo sull’antico Saturno. Cosí, nell’operare
artistico iniziano ad intessersi passato e futuro con un respiro universalmente
umano. Il pennello, la carta, la spugna, i colori secchi vengono manipolati,
mentre si preparano l’assicella e le vaschette per l’acqua: come in ogni
creazione, si rende necessaria una rinuncia iniziale, e quindi in questa
prima fase, solo apparentemente banale, attraverso la rispettosa e devota
preparazione di questi oggetti, fluisce il calore dell’Io, che con un primo
sacrificio di sé, compenetra nella sua essenza una materia inerte,
estranea, fredda. Con una cura, una coscienza che richiama quella che fluisce
nei paramenti sacri di un altare, avvengono i preparativi per la creazione,
per la funzione che porterà lo Spirito a immergersi nella materia
trasformandola ed elevandola quindi fino ad un piano ormai non piú
solo fisico-sensibile. Durante questa fase, e anche nelle successive, possiamo
ipotizzare un intervento attivo degli esseri elementari, poiché
il modo stesso di circondarsi degli elementi, in un ambiente ricolmo di
calore animico e con una piú desta coscienza dell’Io, è certamente
evocatore di una collaborazione e di un aiuto all’opera dell’uomo, che
cerca cosí con piú forza l’intervento di una piú elevata
spiritualità fecondatrice, fonte sacra di ispirazione.
L’estrema cura nella scelta dei materiali piú naturali, e anch’essi
frutto di un’opera artigianale, è una ulteriore condizione all’attuarsi
armonico di una vera e propria nascita. Essa, nella sua prima fase ha richiesto
dunque principalmente il sacrificio cosciente del calore dell’artista,
che prepara cosí il suo microcosmo al divenire che si dipana ora
in una seconda fase. Dopo la rispettosa preparazione ricca di tepore animico
e fisico con la quale si è predisposta un’armonia nell’intervento
di oggetti che diverranno il vero e proprio corpo fisico di un nuovo essere-colore,
l’artista si volge alla luce. È in questo momento che si fa strada
l’idea che la futura opera sarà circondata di calore ma vivrà
in quanto figlia della luce, e quindi si cerca un opportuno orientamento
in direzione della sua fonte solare nel macro cosmo, mentre il cuore si
illumina di una nuova coscienza di sentimento nel microcosmo. L’ariosa
sensazione di aver di fronte il bianco riflesso nel fisico di una realtà
spirituale è il presupposto per superare quella che può divenire
la paura, la nevrosi del foglio bianco; si ha la coscienza di dover tentare,
di non essere soli a lavorare, di essere un tramite, il riflesso di una
corrente soprasensibile, di intercettare, di doversi orientare verso lo
Spirito, proprio come tentiamo di fare col nostro foglio orientato verso
la luce fisica.
E come il calore-sacrificio
saturnino permea l’opera fin dall’inizio, d’ora in poi si unisce a questa
luce un sentimento solare che ne è figlio e che ci permetterà
di terminare ciò che abbiamo iniziato: l’amore per l’operare creatore.
Sarà questo l’ancoraggio dell’anima che naviga nel mare policromo
del sentimento. L’amore sarà il porto sicuro in mezzo alle tempeste
di simpatia e antipatia che si scateneranno nell’anima che sente, sarà
il vento spirituale che spinge benefico fuori delle secche del dubbio paralizzante
ogni creazione, sarà il sestante che riconduce ad una corretta navigazione
attraverso le colonne d’Ercole della vanità e della critica, o fuori
dalle nebbie del pessimismo autodistruttivo. Solo l’amore impedirà
di distruggere l’opera quando si è arenati sulle scogliere dell’errore:
esso le trasforma, e l’apparente insuccesso diviene un tentativo, un espediente
per far risplendere e risorgere la luce dalla tenebra. L’amore sarà
il faro che rischiara le notti degli impulsi, delle passioni, delle brame,
i mostri marini che si levano dagli abissi insondati dell’anima a divorare
la luce della coscienza.
L’artista ama se stesso
e la propria opera non come un piccolo podere recintato e spinato, ma come
una valle aperta dove si attende l’arrivo della stagione del colore, si
attende il suo calore e la sua luce, le sue meteorologiche metamorfosi
nei paesaggi dell’anima. Questa è una fase solare, nella quale il
calore si fonde con la luce, e quando il colore si scioglie nell’acqua,
esso diventa dinamica essenza e risplende di quella “azione sensibile-morale”
di cui Goethe ci parla. Alla luce di questo amore solare per il colore,
l’artista dipinge ora ampie, sognanti superfici, che lo impregnano della
loro essenza, cercando di servire il colore e il suono che da esso proviene,
non di servirsene come uno strumento della propria angusta egoità.
Inizia poi una terza fase,
che dapprima si annuncia col linguaggio cromatico delle leggi cosmiche,
delle lontananze da cui giungono fin sulla Terra le propaggini del divenire
di esseri spirituali creatori. Ora il colore è per l’artista un’eco
lontana, ed egli l’ascolta e schiude il suo cuore a questo eterno avanzare
dello Spirito che viene a parlare la lingua dell’anima perché l’uomo
lo comprenda. Sulla carta del pittore si ripropone ora l’ “Alleanza” di
cui parla la Genesi: è necessario conoscere l’Alleato, che ci parla
dei suoi mondi, che ci conforta con la sua essenza e ci arricchisce descrivendo
i suoi regni bidimensionali, dove l’anima si specchia sulla superficie
di laghi iridescenti. È questo il magico istante dell’ascolto e
dell’attesa di una voce senza suono, di un linguaggio che commuove, di
una comprensione che è respiro di un contatto di dolcezza nell’agire
della mano e nella devozione dei sensi: poiché la dolcezza è
la pelle dell’amore, avviene ora un epidermico accostarsi, si accarezza
il nucleo vitale di ogni creazione. Sull’onda di questa marea che colora
l’anima può ora sorgere, alla luce di un vero processo lunare, la
risposta alla mano che l’Alleato ci tende, porgendola dall’acqua che si
frange nella nostra interiorità e già lambisce la roccia
della nostra coscienza desta, e la inumidisce e la trasfigura nel sogno.
La nostra anima si tende allora nell’intenzione, la nostra mano va incontro
all’altra, per stringere un patto scritto da movimenti e forme che lentamente
si evidenziano dal bagno cromatico primigenio. “Vita” dice il rosso, “Spirito”
risponde il giallo, e il blu li avvolge sussurrando “Anima”. Cosí
sul dipinto il pittore testimonia il dialogare al chiaro di luna con i
colori, gli ambasciatori dello Spirito, che appongono il loro sigillo nelle
forme e nei motivi che regalano all’artista. Dalla collaborazione fra i
due alleati, fra l’Artista e il Colore, nasce la possibilità di
creare un mondo che contenga in sé, nelle visibili azioni e passioni
della luce, cioè nella vita terrena dei colori non terreni, le forme
della natura nelle loro potenzialità.
Giunge cosí la fase
terrestre, un quarto tempo nel quale il vento dello Spirito solleva le
cose del mondo dal materialismo che le imprigiona, e le fa intravedere
in un sogno di verità che dà conforto e crea la vita. Solo
cosí si rinnova il Patto, poiché in ogni dipinto vediamo
l’immagine dell’Alleanza, e ci consola poter vedere, trovare un “motivo”
che rinsalda le fondamenta dell’Arcobaleno, il quale poggia sulla riconoscibilità
di un oggetto terrestre, di una forma “inspirata” da un lato nell’illusione
della linea, ed “espirata” dall’altro nel colore che ne è la patria.
L’artista dovrà ora fronteggiare le insidie peggiori, che lo tentano
per soffocare il vissuto dell’opera d’arte, fagocitandola con un naturalismo
meccanico immemore dello Spirito: sono le sirene della forma che invadono
la mente del navigante e la sospingono verso la malia della linea, verso
la fascinosa, astratta eleganza che si veste di vuoto. Questo è
l’istante del dramma in agguato, ove la coscienza del sé fondata
sulle proprie grandiose origini spirituali e sulle potenzialità
del “rampollo degli Dei” rischia di perdersi. Se tutto il colore viene
rinchiuso nella forma, se nell’oblio di ogni valore è perduto il
contatto con le dinamiche cromatiche dei mondi solari e lunari che hanno
generato il dipinto, si instaura una falsità fotografica, riproduttiva,
che irrigidisce l’opera. Si perde l’ascolto delle leggi del cosmo e dei
loro accordi cromatici, tutto inaridisce alla puntura dell’intelletto,
del fuso che addormenta Rosaspina, mentre la nuova creazione già
viveva e increspava quell’acqua colorata. Con tutte le sue forze ora l’artista
dovrebbe sviluppare l’ascolto, tendere il suo udito alle realtà
spirituali progenitrici di quella figura e che la circondano nel dipinto.
Esse osservano trepidanti cosa farà ora l’uomo del quadro della
sua esistenza, che si rispecchia nella sua opera. In accordo con la Terra,
in ossequio al Cielo, l’opera dovrà vivere, dovrà respirare
fra forme e colori, dovrà riflettere l’acuta veglia della linea,
il sogno impalpabile delle sfumature, il sonno della volontà di
un colore ancora in potenza, in movimento.
«Nella parola si rischia
continuamente di non coglierne altro che il senso, dimenticandosi la funzione
del suono; il senso divora il suono, benché all’origine il suono
contenga il senso» (da Rudolf Steiner di R. Coroze). Cosí
si può dire che all’origine il colore contiene la forma, e la forma
– il motivo – rischia di divorare il colore.
Saturno, Sole, Luna, Terra:
questo ritmo quadripartito della creazione artistica è in fondo
anche la chiave dei rapporti umani fecondati dall’arte sociale: dapprima
c’è un caldo contatto, poi appaiono luci e ombre dell’altro uomo,
viene poi una fase in cui si palesano i colori delle sue intenzioni, e
il quarto tempo vede lo stabilirsi di forme piú o meno artistiche
nel rapporto terrestre di due esseri spirituali: ma essi si riconosceranno
come tali solo se avranno cercato di sviluppare un “occhio” e un “orecchio
per il passato e il futuro dello spirito incarnato che viene loro incontro.
Se non saranno artisti nel loro cuore, cadranno nell’illusione, nella grigia
trappola della banalità quotidiana.
Cosí Michael Ende
in Momo caratterizza il mistero dell’ascolto: «Quello che
la piccola Momo sapeva fare come nessun altro era ascoltare. Non è
niente di straordinario, dirà piú di un lettore, chiunque
sa ascoltare. Ebbene, è un errore. Ben poche persone sanno davvero
ascoltare. E come sapeva ascoltare Momo era una maniera assolutamente unica.
Momo sapeva ascoltare in tal modo che ai tonti, di botto, si affacciavano
alla mente idee molto intelligenti. Non perché dicesse o domandasse
qualche cosa atta a portare gli altri verso queste idee, no; lei stava
soltanto lí, e ascoltava con grande attenzione e vivo interesse.
Mentre teneva fissi i suoi vividi grandi occhi scuri sull’altro, questi
sentiva con sorpresa emergere pensieri – riposti dove e quando? – che mai
aveva sospettato di possedere. Lei sapeva ascoltare cosí bene che
i disorientati e gli indecisi capivano all’improvviso quello che volevano.
Oppure i pavidi si sentivano a un tratto liberi e pieni di coraggio. Gli
infelici e i depressi diventavano fiduciosi e allegri. E se qualcuno pensava
che la sua vita fosse sbagliata e insignificante, se credeva di essere
soltanto una nullità fra milioni di persone, uno che non conta e
che può essere sostituito – come si fa con una brocca rotta – e
andava lí… e raccontava le proprie angustie alla piccola Momo, ecco
che, in modo inspiegabile, mentre parlava gli si chiariva l’errore; perché
lui, proprio lui cosí com’era, era unico al mondo, quindi per la
sua peculiare maniera di essere, individuo importantissimo per il mondo.
Cosí sapeva ascoltare Momo!»
Da queste parole emerge
la coscienza della necessità di cercare la vita, l’identità
nell’uomo, in tutte le sue manifestazioni terrene, in modo che ci appaia,
sia nell’opera artistica sia nell’operare umano, una zona indistinta dove
germina il futuro della volontà, uno spiraglio vivente che faccia
trasparire il divenire: questo è il significato delle parole con
cui Ende arricchisce di vita e di speranza la sua Storia Infinita
quando, dopo aver caratterizzato appena un nuovo filone narrativo, dice:
«Ma questa è un’altra storia e verrà narrata un’altra
volta».
Da quando Michelangelo,
grande precursore della nuova umanità, nei suoi “Prigioni” lasciò
all’anima dello spettatore il compito di terminare e fecondare in sé
la sua opera, da allora l’artista deve riscrivere la storia del suo Spirito
facendo posto, nella sua arte e nella sua anima, al fratello che osserva
e ascolta.
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