FILOSOFIA

LA TEOSOFIA IN PROCLO

Questo articolo non vuole assolutamente essere una esposizione teoretica o filosofica del sistema di pensiero di Proclo, anche perché tale trattazione richiederebbe maggiore spazio; vuole soltanto essere un commento ad alcune esposizioni del pensatore che mettono in rilievo come l’autentica filosofia è una reale TEOSOFIA, non nel senso strettamente esoterico, ma nel senso classico, cioè una via che collega direttamente l’umano al divino.
«Vediamo, quindi, di dare bando dalla nostra anima alla varietà tutta quanta della vita, mettiamoci dunque nella solitudine, da tutto remota, e vicini perveniamo alla causa universale. E ci sia con noi non soltanto solitudine di fronte a opinione e immaginazione, non soltanto pace e tranquillità nel mare delle passioni che impediscono l’impatto ascensionale verso il Primo, ma pace e tranquillità regnino nell’aria e regnino su questo universo. Ogni cosa con immobile e tranquilla potenza ci renda protesi ed erti per la partecipazione dell’ineffabile. E poseremo lassú: avremo d’impeto trascorso il regno della mente (se pur qualche traccia di questa facoltà è in noi), in venerazione, quasi un sole che sorge eleveremo, e con pupille chiuse (ché non è lecito volgere diretto lo sguardo nemmeno agli altri enti) mireremo allora il sole della luce per gli Dei intelligibili, mentre (direbbero i poeti) dall’oceano appare quel sole».
Questo passo, ripreso dalla Teologia platonica, enuclea l’essenza della metafisica neoplatonica: la visione dell’Essere quale entità in cui traspare continuamente la volontà divina originaria, cosmo in cui l’uomo, lungi dall’essere passivo spettatore, risulta viceversa incarnazione profonda e cosciente della scintilla primordiale, ove attivi il suo organo intelligibile.
Tale organo risulta chiaramente essere di natura sopramentale e soprarazionale, “pensiero libero dai sensi”, per usare un’espressione moderna ma dall’indubbio valore classico.
Le immagini che lo scritto di Proclo suscita nel lettore non possono non rimandare a un clima che suscita nel pensiero meditante la potenza immaginativa di un mondo in cui la volontà di riunione all’Uno ineffabile è una condizione esistenziale prioritaria.
Non a caso la “dialettica” – di cui si parlava nelle scuole neoplatoniche – non era sforzo intellettuale, ma quotidiano esercizio di purificazione noetica, di catarsi animica che riunificasse l’anima individuale alla sorgente spirituale dell’universo, liberandosi cosí il soggetto pensante dal kaos del numero astratto, della molteplicità sensibile e dell’informe quantità.
Questa teologia mistica si fondava comunque sull’autentica contemplazione, quella del pensiero che pensa e medita realmente, poiché aveva il suo momento supremo in ciò che gli studiosi chiamano la “dialettica negativa”, la quale culmina nel silenzio e nella fede: non la fede del dogma, ma quella dell’esperienza spirituale concreta che tace piuttosto che fare intellettualismi sul “senso del mondo”, come è oggi di moda.
Proprio per questo era indicata ai discepoli la via operativa da seguire: tant’è che il discepolo neoplatonico veniva anche chiamato klétor, cioè operatore. Suo fine era l’evocazione rituale del divino, che in Giamblico e Proclo assume connotazioni piú teurgiche e meno contemplative rispetto a quelle d’un Plotino.

Alexander

 
Ascolta, o re del fuoco intellettuale, Titano dalle briglie d’oro,
ascolta, dispensatore di luce, Signore che possiedi la chiave
della fonte della vita, e che sui mondi materiali
dall’alto versi un copioso fiume d’armonia.
Ascolta, giacché Tu, che hai sede nel mezzo al di sopra dell’etere,
e tieni il cuore dell’universo, circolo luminosissimo,
tutto riempisti della Tua provvidenza, eccitatrice della mente.
I pianeti, cinti dalle Tue fiamme perennemente vivide,
sempre, con incessanti e infaticabili movimenti circolari,
mandano a favore di quanti vivono sulla terra stille vitali,
e ogni generazione, sotto i vostri ricorrenti corsi,
rigermina secondo la legge delle Ore.
Il fragore degli elementi fra loro cozzanti cessa,
quando Tu, che discendi da Padre ineffabile, appari.
A Te cede il coro inconcusso delle Moire,
che torcono all’indietro il filo del destino ineluttabile
quando Tu vuoi; giacché sommamente
sei potente e vastamente signoreggi.
Da Te fu emanato Febo, signore della sacra melodia;
divinamente cantando, al suono della cetra,
placa l’enorme flutto della generazione dal cupo muggito.
Dal diffondersi della Tua luce, che allontana i mali,
nacque, dono soave, Peone, e sua salute diffuse,
dopo aver riempito il vasto universo di balsamica armonia.
Te cantano il glorioso padre di Dioniso,
e Te Evio-Attis negli ultimi recessi della materia,
Te delicato Adone altri chiamarono nei loro canti.
E paventano la minaccia della Tua agile sferza
i demoni, agli uomini funesti, di cuor feroce,
che alle nostre infelici anime ordiscono danni,
affinché sempre nell’abisso della vita dal cupo fragore
soffrano sotto il peso del corpo, bramosi del giogo,
e dimentichino la dimora eccelsa e splendente del Padre.
Ma Tu, ottimo fra gli Dei, coronato di fuoco, nume beato,
immagine del Dio creatore di tutte le cose, Tu, che le anime elevi,
ascolta, e purificami da ogni peccato per sempre;
e la preghiera di molte lacrime accogli, e liberami
dal peccato che dà dolore, e tienimi lontano dalle espiazioni,
placando l’occhio vigile di Dike che tutto vede.
Ad opera del Tuo aiuto sempre salutare
concedi all’anima mia la luce purissima e beatissima,
una volta dispersa la caligine, funesta ai mortali, prodotta da veleno
e al corpo il magnifico dono d’una perfetta salute.
Fa’ che, secondo il costume dei miei predecessori,
io possa aver cura delle Muse dalle amabili trecce.
Non turbato benessere, che nasce da amorosa pietà,
se Tu vuoi, concedimi, o Signore, giacché facilmente puoi farlo.
Tu, infatti, possiedi saldo ed infinito vigore.
Ma se per i fusi delle Moire, rotanti sotto i fili
tratti dai movimenti degli astri, qualcosa di funesto
ci colpisce, distòrnalo con la forza dell’impeto Tuo.

di Proclo

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