ANTROPOSOFIA

Per lo svolgimento della vita spirituale dell’umanità, c’è un periodo di tempo circoscritto e chiuso in se stesso fra l’ingiunzione «Conosci te stesso», sorta dalla ricerca greca della conoscenza, e la professione, o dichiarazione di fede dell’«Ignorabimus», enunciata nell’ultimo terzo del secolo scorso sotto l’influsso dello studio del mondo fatto col metodo delle scienze naturali.
Il filosofo cosmologo greco trovava che la costituzione psichica dell’uomo era in armonia con la vita stessa unicamente quando la conoscenza del cosmo culminava in quella dell’essere umano, manifestata dall’autocoscienza. Il pensatore moderno, il quale erroneamente opina di essere forzato alla sua dichiarazione dalla scienza naturale, nega appunto all’uomo questo culmine della sua costituzione psichica. Allorché il Du Bois Reymond enunciò il suo Ignorabimus, esisteva in lui questa credenza: «Tutto il sapere dell’uomo può muoversi soltanto fra i due poli della materia e della coscienza, ma questi due poli si sottraggono alla conoscenza umana. Si potranno conoscere le manifestazioni della materia, in quanto esse sono determinabili in misura, numero e peso, ma non si potrà mai sperimentare che cosa propriamente appare dietro tali manifestazioni come materia nello spazio. Allo stesso modo non sarà possibile conoscere come sorga nell’anima nostra il fatto di vedere il rosso, di sentire l’odore di rosa ecc., insomma i fatti di cui consta la vita cosciente. Giacché, come si potrebbe capire che per un certo numero di atomi di carbonio, di azoto, di ossigeno e di idrogeno in moto nel cervello, non sia perfettamente indifferente il come essi si mossero, si sono mossi e si muoveranno?»
Si può capire come la materia si muova nel cervello, e questo movimento lo si può determinare secondo i concetti matematici, ma non ci si può fare alcuna idea del come, da tale movimento, sorga la sensazione cosciente, al pari che dalla fiamma sorge il fumo. Se l’uomo dovesse oltrepassare questi "limiti del suo conoscere", dovrebbe procedere elevandosi dalla cognizione ottenuta coi mezzi naturali usuali, a quella ottenuta coi mezzi dello Spirito; e dove si comincia a parlare di Spirito cessa il sapere, e questo deve cedere posto al credere. Questa è la professione di fede dell’Ignorabimus (noi ignoreremo, non sapremo). Non si può dire che la moderna costituzione psichica sia andata piú avanti di questa professione di fede dell’Ignorabimus nei suoi riconosciuti sforzi verso la conoscenza. Certo, si sono fatti in tal senso svariatissimi tentativi; ma questi, ad ogni modo, si limitano ad accennare a questa o a quella via conoscitiva, senza però suscitare l’energia per calcare, anche praticamente, queste vie con conoscimento effettivo.
Alcuni riconoscono che l’uomo, nella formazione delle sue idee, sperimenta qualche cosa che porta in sé un’essenza immateriale, autonoma, ma non suscita la forza concreta per internarsi in questa maniera spirituale di vivere le idee tanto energicamente da farsi spingere fino alla cognizione che le idee sono “Spirito”, fino ad afferrare, ad accogliere, il mondo spirituale vero e proprio, del quale nelle idee si palesa soltanto la superficie. Si arriva solo a sperimentare che quando i fenomeni naturali si presentano all’uomo, questi risponde loro dal proprio interno con le idee, ma non si coglie, non si afferra la vita in queste stesse idee. Si tiene lo sguardo rivolto a come dalla natura veniamo stimolati a elevarci alle idee, ma non ci si trasferisce in quell’atto di vita interiore, in quella interna attività che si concreta in idee.
Questo passo avanti lo fa solamente l’Antroposofia, e in essa si conosce chi lo compie realmente per il fatto che in quel suo vivere le idee, queste non restano, bensí divengono una forma spirituale di percezione.
Chi perscruta soltanto l’essenza mentale delle idee, deve arrestarsi e non vedere in essa piú che immagini mentali (spirituali) del mondo naturale, delle quali egli deve appagarsi come dell’unico incomprensibile contenuto mentale (spirituale). Solo chi eleva a esperienza cosciente interiore l’attività psichica operante incoscientemente nel formare le idee, viene a trovarsi, grazie a tale interna esperienza, dinanzi a una realtà spirituale. E questa esperienza può venire guidata, disciplinata con piena riflessione, con la stessa precisione con cui il matematico appura i suoi problemi.
Per quelle consuetudini di pensiero delle quali ci siamo appropriati sulla base dell’osservazione fatta con i sensi secondo il metodo sperimentale, si ha paura oggi di cadere subito nel nebuloso, nel fantastico, quando, nel caso della formazione delle idee, non si ha l’appoggio di ciò che dicono i sensi, di ciò che risulta dai metodi di misurazione e dalle bilance. Per tale via non si riesce a porre coscientemente in azione quella forza psichica interiore che si esplica nel formare idee, e per il cui assurgere a nostra funzione conscia noi incontriamo lo spirituale, come con gli organi del tatto tocchiamo ciò che ha estensione spaziale.
Ciò che l’Antroposofia descrive come esercizio del pensiero, porta a questa esperienza cosciente interiore. E poiché ogni passo, ogni gradino di questa cosciente esperienza viene compiuto in quella stessa pienezza di riflessione in cui viene compiuta ogni misurazione e ogni determinazione di peso nel campo dell’indagine naturale, all’Antroposofia è lecito designarsi come genuina indagine spirituale. Soltanto chi non studia dappresso questo suo carattere di esattezza del suo metodo di ricerca, potrà farne tutt’un fascio con le forme nebulose del misticismo, dalle quali tanti uomini oggi sono disorientati. Ora, piú di uno asserisce, proprio perché l’Antroposofia prende le mosse da un’esperienza interna, che ad essa non sia lecito attribuirsi carattere di conoscenza, perché la conoscenza c’è unicamente allorquando dal fatto si passa, per mezzo della coscienza, a dedurre una cosa dall’altra, all’elaborazione logica ecc. Chi dice cosí non ha notato come tutte le attività dell’anima sulle quali l’uomo moderno ha fondato il sistema della sua scienza, divengano esperienza interna cosciente appunto mediante l’Antroposofia. In questo interiore sperimentare cosciente non si lascia la scientificità per passare a un fantastica attività dell’anima, ma anzi ci si porta dietro nell’esperienza cosciente interna la piena scientificità.
In ogni passo dei vari tipi di conoscenza spirituale, tanto spesso descritti in questo periodico [il «Goetheanum»] dai piú diversi punti di osservazione ossia nell’immaginazione, nell’ispirazione e nella vera intuizione la genuina scientificità continua a sussistere col suo pieno carattere fondamentale; solo che ora è nel campo dello Spirito invece che in quello della Natura. Allorché il Du Bois Reymond fece la sua professione di fede dell’Ignorabimus, egli aveva dinanzi alla mente il fatto che l’uomo prova internamente questa o quella sensazione, che di là da questa interna sensazione la materia appare nello spazio senza che l’uomo vi si avvicini. E per tale via, infatti, non la si può avvicinare. Ma allorché l’uomo porta la formazione dell’idea a divenire un fatto di esperienza cosciente, nella coscienza immaginativa, allora egli schiude il potere percettivo spirituale allo Spirito, e questo allora si palesa nell’Ispirazione, e l’uomo si unisce come Spirito allo Spirito dell’Intuizione.
Cosí per questa via l’uomo trova lo Spirito, ma non appena egli sperimenta se stesso, vive se medesimo nello Spirito, egli giunge non piú alla sola superficie della rosa per il fatto della sola sensazione visiva e olfattiva che ne ha, bensí arriva a vivere coscientemente ciò che dalla rosa gli riluce come colore rosso, o emana verso di lui come profumo; constatando di essere andato dall’altro lato del processo visivo e di quello olfattivo, la materia cessa di apparire misteriosamente nello spazio, essa rivela il proprio Spirito, e si riconosce allora che la credenza nella materia non è che uno stadio preliminare alla cognizione che nello spazio non si manifesta la materia, ma impera lo Spirito. E il concetto di materia è soltanto provvisorio e ha la sua giustificazione solamente finché non si arriva a percepire il suo carattere spirituale.
Tuttavia bisogna pur parlare di questa sua "giustificazione", giacché l’ammettere l’esistenza della materia ha fondamento fintanto che si sta di fronte al mondo percependolo con i sensi del corpo. Chi in siffatte condizioni fa il tentativo di ammettere dietro la percezione sensoria una qualche entità spirituale al posto della materia, costui fantastica di un mondo dello Spirito! Chi si spinge fino allo Spirito partendo dalla propria coscienza interna, per costui ciò che dietro le impressioni sensorie a prima vista si manifesta come materia si trasmuta, e non già confusamente, oniricamente, ma con esatta obiettività, in una forma del mondo spirituale cui appartiene egli stesso con la parte eterna dell’essere suo.

Rudolf Steiner

R. Steiner, L’antroposofia è fantasticaggine?, in «Goetheaum» del 3 Aprile 1923

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