CORRISPONDENZE

Mentre sempre piú chiaro si delinea ai miei occhi quanto in questo viaggio ho appreso intorno al mondo minerale e vegetale, mentre ormai le meraviglie di bellezza che finalmente ho potuto ammirare sono parte di me e da me rifluiscono come forze vive che daran frutti al mio ritorno, trovo il tempo ancora di sviluppare le mie osservazioni sulla natura per sciogliere gli ultimi veli di cui essa pudicamente s’avvolge. Ho raccolto, malgrado il mio proposito di non gravarmi di pesi di tal genere, svariati campioni di minerale ed osservato che la conoscenza di essi non può che limitarsi al mero constatarne la presenza, la pluralità e le intrinseche qualità che pongono ciascun aspetto di essi in relazione agli altri, sicché il fenomeno della loro esistenza si esaurisce in rapporti spaziali e nulla di piú è dato sapere di essi se non ch’essi esistono e interagiscono tra di loro. Non cosí mi si presenta quanto a ciò che riguarda l’essere delle piante, della vegetazione. Già vi scrissi come s’andò formando in me il pensiero che vi sia alla base d’ogni aspetto e d’ogni fenomeno riguardante il mondo vegetale una tal “pianta primigenia”, la quale va trasformandosi in infinite metamorfosi, dando origine e alle singole parti d’una specie e alla loro diversità in relazione all’ambiente in cui viene ad agire. Sicché, come già vi dissi, con questa pianta primordiale posso ben comprendere ogni essere vegetale e inventarne di nuovi che, ove certe condizioni d’ambiente lo permettessero, potrebbero bene configurarsi e svilupparsi ed essere del tutto reali.
In una lettera ricordo d’avervi detto che questa mia teoria non solo giustifica l’aspetto e la diversificazione delle piante, ma è applicabile agli altri organismi come gli animali e infine anche all’uomo. È l’“animalità” nell’animale che produce le varie specie, che io intendo essere appunto specializzazione di certi caratteri sugli altri in maniera piú o meno perfetta, e da cui mi par cogliere il motivo per il quale vi sono esseri complessi e semplici, tutti dotati di precise caratteristiche, cosí che ad esempio ci par il cavallo nato per la corsa, il pesce per il nuoto, gli uccelli per il volo e il cane per fiutare. Né mi sfugge che l’uomo stesso deve essere connesso a questo “tipo” o entelechia animale e che in quanto essere organico porti a sviluppo ed armonia quelle caratteristiche che la totalità delle specie animali esprime, cosí che la sola capacità di ragione è nell’uomo privilegiata e le altre concorrono tutte a dar spazio e giustificazione a questa.
M’è altrettanto chiaro che la ragione, che dagli altri esseri organici distingue l’umano nell’uomo, è fondata sulla capacità di formare giudizi, e che questi son risultato della capacità di pensare. Ma questo pensare mi pare assomigliare a quel diversificarsi della pianta primigenia ove unico è il fondamento e complesse e diverse le sue determinazioni: noi passiamo da un concetto al successivo dimenticando i precedenti e tuttavia in ogni seguente determinazione accogliendo tutto lo svolgimento del processo, sicché il pensare è come un essere di continuo germogliante secondo un’entelechia interna al pensare stesso. Ma questo svolgersi dei concetti l’un dopo l’altro e il contenuto degli stessi dipende strettamente e dall’oggetto cui si volge il pensare e dal soggetto che pensa, cosí che, nel suo apparire, diverso sembra il pensiero da un uomo all’altro, pur uguale permanendo la sua scaturigine. Che quest’osservazione sia vicina al vero mi par evidente dalle matematiche, ove essendo presupposto uguale l’oggetto ed il soggetto facendosi uno con esso non v’è ragione che non concordi con esso e in esso non riconosca un identico processo. Se noi constatassimo come la foglia sia nell’essere vegetale il principio di tutte le metamorfosi, e come ogni aspetto di esso non sia che modificazione di quella, avremmo trovato la matematica relativa al mondo vegetale.
Ma l’entelechia nei vegetali non è già la foglia bensí ciò che la determina ed il principio interno che la fa esser tale e ne produce i mutamenti. Cosí è nel pensare. Io credo che qui l’uomo possa afferrare la sua umanità ove scopra dove il “pensare primo” agisce nel passare da un concetto al successivo esprimendo se stesso secondo necessità del suo stesso essere: dove l’uomo è un essere per cosí dire divino.

Renzo Arcon

Torna al sommario