Al termine del secolo XVIII, da condizioni fondamentali
diverse da quelle in cui oggi viviamo sorse da sostrati profondi della
natura umana l’aspirazione verso una nuova costituzione dell’organismo
sociale. Si proclamarono allora, come segnacolo di questa nuova costituzione,
le tre parole: Fratellanza, Uguaglianza, Libertà.
Ognuno di noi che abbia meditato o meglio sofferto il problema sociale,
non può non aver sentito, davanti a questo motto, il piú
vivo anelito, misto però a strani sensi di ripugnanza. Come non
sentire, per esempio, la piú forte attrazione per tutto ciò
che è fraternità fra gli uomini? Eppure, se siamo sinceri,
dobbiamo riconoscere che nella vita vissuta, nella vita sociale attuale,
vi sono, al raggiungimento di questa fraternità, barriere che i
diritti della nostra individualità non ci consentono di abbattere.
Cosí pure le esigenze della giustizia gridano ad alta voce nella
nostra coscienza i diritti all’uguaglianza tra gli uomini; eppure quale
problema piú insolubile, che quello di armonizzare, in molti casi,
l’uguaglianza con la libertà individuale? Vi è in ciascuno
di noi qualche cosa che sentiamo non essere uguale a qualche
cosa che è negli altri, e che nella sua eterogeneità
domanda libertà di manifestazione al di là di qualsiasi giogo
livellatore. Sono contraddizioni cosí profonde e stridenti, che
possono veramente portare alla disperazione un’anima che sia viva e abbia
palpiti non solo per ciò che la colpisce individualmente, ma per
tutto ciò che riguarda l’umanità intera. Eppure sarebbe falso
disperare di noi e crederci inumani o perversi appunto quando ci sentiamo
soffrire di tali contraddizioni. È precisamente allora che la nostra
profonda e completa umanità fa meglio valere i suoi diritti.
Tali contraddizioni esistono veramente nella vita vissuta e sono pienamente
giustificate.
L’uomo è un’unità; ma è un’unità
assai complessa. Se noi guardiamo alla sua individualità interiore
dobbiamo riconoscere ch’essa consta, per cosí dire, di tre grandi
sfere fondamentali, che non si possono confondere l’una con l’altra: quella
del pensare, del sentire e del volere. E se ogni individuo,
dapprima per educazione altrui, poi per auto-educazione, non sa prendere
in mano le redini di se stesso e assegnare a ciascuna di queste tre sfere
il suo campo d’azione e i suoi limiti, ne deriva la piú grande disarmonia
nella vita interiore dell’uomo, disarmonia che porta con sé tutte
le debolezze, gli scetticismi e le nevrastenie, per non nominare il peggio,
che sono oggi all’ordine del giorno. Cosí il non riconoscere che
queste tre sfere dell’individualità umana corrispondono a tre sfere
dell’organismo sociale, altrettanto diverse tra loro, e il non assegnare
a ciascuna il suo campo d’azione e i suoi limiti, porta alle disarmonie
sociali, alle crisi, alle scosse rivoluzionarie in cui il mondo attuale
si dibatte. Il nostro organismo fisico, che è soggetto alla sapienza
primordiale di madre Natura, mostra ben altra sapiente spartizione di funzioni
da quella che noi abbiamo finora saputo coscientemente introdurre,
sia nel nostro organismo morale individuale, sia nel nostro organismo sociale.
Nel nostro organismo fisico noi vediamo tre sistemi, operanti simultaneamente,
l’uno accanto all’altro, ma ciascuno con una certa indipendenza, e precisamente:
l’organismo della testa che comprende la vita dei sensi e dei nervi;
l’organismo del petto, che comprende la respirazione, la circolazione
del sangue, e tutto ciò che si manifesta con atti ritmici; e finalmente,
tutto quel complesso di organi e di attività connessi con il ricambio
della materia. E noi vediamo come questi tre sistemi della testa, della
circolazione e del ricambio, riescono a mantenere il funzionamento generale
dell’umano organismo, appunto perché operano con una certa autonomia,
perché non esiste un assoluto accentramento nell’organismo umano,
e ciascuno di questi tre sistemi ha un rapporto speciale, per sé
stante, con il mondo esterno: il sistema della testa per mezzo degli organi
di senso, il sistema del petto per mezzo della respirazione, e il sistema
del ricambio per mezzo degli organi della nutrizione. Che cosa avverrebbe
nel nostro organismo fisico se il cervello volesse digerire, lo stomaco
respirare, il polmone pensare ecc., o se queste funzioni venissero compiute
confusamente da tutti e tre i sistemi fusi insieme? Eppure quest’idea cosí
grottesca noi la mettiamo in atto nella nostra unità statale, dove
le funzioni sociali che corrispondono analogicamente alle funzioni fisiche
suddette, vengono compiute nella piú caotica confusione, con i bei
risultati che tutti possiamo constatare. Perché non imparare da
madre Natura come un organismo debba funzionare per avere possibilità
di vita sana, e come da una savia scissione di funzioni possa derivare
da sé, come risultato, una superiore armonica unità?
Nell’epoca attuale, in un organismo sociale sano
la grande sfera della vita economica, che comprende tutto ciò
che è produzione, scambio e consumo di merce (e non deve comprendere
altro che questo) dovrebbe essere interamente separata dall’altra, radicalmente
diversa, che è quella dei diritti, dei rapporti di giustizia che
devono intercedere tra uomo e uomo, indipendentemente da tutto ciò
che è produzione, scambio e consumo di merce; e, distinta da queste
due, dovrebbe agire in piena autonomia una terza sfera che comprende invece
tutto ciò che ha origine dalle facoltà individuali dei singoli
uomini. In tre grandi organi fondamentali collaboranti, sí, ma in
piena autonomia l’uno dall’altro, dovrebbe essere suddiviso oggidí
l’organismo statale per avere possibilità di vita sana e inconturbata:
la vita economica, la vita politica e giuridica, e la vita spirituale.
In quest’ultima deve dominare la libertà. Qui lo spirito
umano, sia esso quello di un umile lavoratore che escogita il modo di far
funzionare un congegno, oppure quello di Galilei dinanzi alla lampada oscillante,
deve esser solo di fronte al suo dèmone (per dirla con Socrate),
al suo Genio; e una vera ispirazione non potrà mai aver luogo se
non nella piú assoluta libertà. Ma appunto per ciò
tutto quello che scaturisce dalle sorgenti dello spirito umano deve anche
fluire dentro l’organismo sociale nella piú piena libertà,
senza restrizioni di sorta né da parte della vita economica, né
da parte dello Stato. Quando invece scendiamo alla zona intermedia, là
dove devono venir stabiliti e amministrati i diritti degli uomini come
uomini, cessa il regno della libertà e comincia quello dell’uguaglianza.
Sí, vi è una zona nella quale chiunque porta effigie umana
è veramente uguale al suo simile. Questa è la sfera della
giustizia, dove uomini e donne, vecchi e giovani, (non si parla naturalmente
di bambini), ricchi e poveri, lavoratori di testa e di braccia, hanno l’identico
diritto di voto; poiché qui non si trattano questioni per le quali
occorre una speciale competenza, bensí questioni d’interesse generale
umano; e qui l’uguaglianza è al suo posto. Ma nella terza
zona, dove si provvede alla produzione, allo scambio e al consumo di merci,
la libertà porterebbe al caos, l’uguaglianza all’assurdo. Qui invece
è al suo posto la fraternità; e cioè la fraternità
dell’associazione, sulla quale soltanto può fondarsi un lavoro
proficuo per la collettività; l’associazione tra i lavoratori di
una stessa azienda, delle varie aziende tra loro, dei produttori con i
consumatori e cosí via.
Considerati sotto questo punto di vista, i tre ideali
di libertà, uguaglianza, fraternità manifestano il
loro valore effettivo. Se in una forma sociale astrattamente centralizzata
portano a inestricabili contraddizioni, in un organismo sociale sano, suddiviso
nelle sue tre grandi sfere fondamentali, ognuno di quei tre ideali darà
ad ognuna delle tre sfere la forza e l’ispirazione ch’essa particolarmente
richiede, e soltanto cosí potranno cooperare insieme in maniera
feconda.
Della necessità di questa tripartizione dell’organismo
sociale e del modo come introdurla a poco a poco nei singoli organismi
statali ora esistenti, a seconda dei bisogni particolari di ciascuno, cosí
che nulla vada perduto di ciò che è preziosa conquista del
passato, tratta il libro di Rudolf Steiner I punti essenziali della
questione sociale nelle necessità vitali del presente e dell’avvenire,
la cui lettura raccomandiamo vivamente ai nostri lettori, essendo questo
cenno assolutamente inadeguato a darne un’idea. Diceva il Giusti: «Il
fare un libro è meno che niente / se il libro fatto non rifà
la gente». E aveva ragione. Ma, conveniamone: perché un libro
possa rifare la gente, occorre pure che questa sia disposta a fare lo sforzo
necessario per mutare le proprie idee abituali, comode come le vecchie
scarpe; che sia disposta ad accogliere le idee nuove, a studiarle e meditarle
con la propria testa, a cimentarle al contatto con la vita vissuta; ad
offrir loro, insomma, quella materna elaborazione che la terra dà
al seme, e senza la quale nemmeno il granello piú turgido di vita
può germogliare.
L. Schwarz, La tripartizione dell’organismo
sociale secondo lo Steiner, in «Bilychnis», Rivista di
studi religiosi edita dalla Facoltà della Scuola di Teologia Battista
di Roma, agosto 1920, anno IX, f. VII, vol. XVI.2
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