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«Mi sono sempre battuto
contro qualunque farmaco, perché ho sempre visto la tossicodipenza
come un fatto sociale. Mi sono battuto contro il metadone e contro gli
psicofarmaci, quando questi venivano usati come terapia. Il tempo credo
che ci abbia dato ragione, in quanto metadone e psicofarmaci non hanno
mai tolto nessuno dalla tragica situazione che la tossicodipendenza offre
agli afflitti da questo tormento. San Patrignano non è né
un’oasi di pace né un’oasi avulsa dal mondo, né una clinica
per tossicodipendenti: è semplicemente un’isola, non felice, ma
in cui crediamo di ristrutturare quei valori che, vissuti nella nostra
piccola società, ci temprano in maniera tale da poter reggere l’impatto
futuro con la grande società. Rafforzati cosí in questi valori
che piú a fondo in noi hanno messo radici, saremo, speriamo, delle
querce che non crolleranno alle ventose burrasche della società,
ci tempriamo in maniera tale da poter reggere l’impatto futuro con la grande
società.
Questo è San Patrignano.
Questo è il concetto che noi abbiamo della tossicodipendenza. Queste
sono le terapie che non si chiamano farmaci, ma amore, comprensione e capacità
di capire in funzione della disponibilità che come uomini abbiamo
verso gli uomini, in un rispetto determinato ed alimentato dalla focalizzazione
dei limiti umani. [...] Curare la gestione di una comunità per tossicodipendenti
o per emarginati non è un lavoro, è un dare la vita, e, per
fare ciò, bisogna, prima di ogni altra cosa, imparare ad essere
uomini, conoscersi obiettivamente, onestamente, focalizzando i propri limiti
e conoscendo i propri egoismi. […] L’eroina, l’emarginazione e la lotta
per la sopravvivenza che comportano la mancanza di ideali, colpiscono gravemente
le persone maggiormente sensibili. È comunque chiaro che il tossicodipendente
coglie lo stato d’animo, il modo d’essere, la motivazione e lo spirito
di chi muove verso di lui e riesce, nel rapporto instaurato, ad abbattere
le sue difese. Si abbandonano solo di fronte alle certezze, senza le quali
non può esservi rapporto né, quindi, la possibilità
di iniziare un discorso di vita da recuperare alla luce, appunto, di quei
valori smarriti che si chiamano lealtà, umanità o meglio
ancora comprensione. Che sono fondamentali per sviluppare la solidarietà
umana. Senza far nulla per salvare la vita di questo tipo di emarginati
perdiamo il fior fiore della società, perché il tossicodipendente,
il piú delle volte, non è un vizioso, ma un disperato, che
a causa della sua estrema sensibilità non riesce a trovare quel
riscontro sociale di cui necessita, quel rapporto umano fatto di calore,
comprensione solidarietà cosí importante per vivere»(1).
Sarebbe già sufficiente
una lettura attenta di questi passi per rendersi conto del grado di evoluzione
interiore e ispirata sensibilità che hanno caratterizzato e illuminato
la vicenda terrestre di Vincenzo Muccioli. La sua vita, i suoi sacrifici
e chiaramente il travaglio di dolore che deve aver percorso la sua anima
in taluni determinati frangenti, hanno del miracoloso. Cosí come
con Madre Teresa di Calcutta, con Padre Pio e con altre poche personalità
che si sono trovate a operare nel tessuto sociale, ci si trova, anche in
questo caso, di fronte ad un uomo che ha improntato il suo esistere nella
direzione della creatività morale, nel piú totale e nobile
disinteresse egoico che si traduce nell’azione pura, la vera azione, il
porgere aiuto e luce a quelle anime disperate, devastate dalla logica annichilente
dell’uomo che vede nel profitto e nella finanza gli unici dèi cui
tutto rimettere.
Muccioli parla appunto del drogato
– i veri drogati sono coloro che «sono disperati perché incapaci
di ingannare se stessi»(2) come di
un essere che necèssita animicamente di un respiro e di una luce
cristica, resurrettiva, di una forza assoluta, trascendente, che restituisca
all’umanità la capacità di creare e lottare amando e redimendo
la sofferenza in amore.
La terapia che Muccioli indica
non è, forse, molto lontana da quel principio di socialità
a cui fanno riferimento le vere Comunità spirituali: la sua è
infatti una terapia dell’Io, una medicina spirituale e non psicofisica,
per riuscire nella quale non servono particolare specializzazioni intellettuali,
ma semplici virtú morali: la capacità, soprattutto, di amare
chi di amore ha bisogno, e di fondare poi l’intera comunità sulle
leggi invisibili, ma assolutamente concrete, dell’Amore spirituale.
Muccioli, infatti, era solito
dire che il drogato «ha paura di vivere, non di morire». Questa
frase, apparentemente priva di un profondo significato, è invece
sorprendentemente rivelatrice della sete spirituale del drogato: la paura
della vita, nel contesto attuale, è la richiesta, tragica e disperata,
della donazione di una Luce divina capace di annientare e trasmutare il
peso della morte quotidiana, sofferto dalle anime piú esposte al
dolore e alla solitudine, in un uomo ostinatamente sordo ai richiami e
al martirio di chi per l’Essere Supremo ha affrontato la prova della Morte
e la vittoria su di essa. Muccioli, come i veri guaritori, riusciva a guarire
poiché operava con la forza del cuore: la corrente cardiaca è,
infatti, veramente portatrice di intuizione spirituale e di assoluta apertura
eterica all’altro. La corrente cardiaca, come ci insegna Madre Teresa e
su un piano operativo Massimo Scaligero, ci permette di sperimentare l’unicità
dell’Altro Essere, nel cui volto brilla la Luce del Logos Solare.
Proprio l’angoscia e la disperazione,
la depressione e l’ansia che sempre piú spesso, purtroppo, sfociano
in azioni suicide – malattie animiche che colpiscono soprattutto i piú
giovani sono i segni premonitori di una situazione che forse non riuscirà
a sbloccarsi che quando il vero orientamento sociale sarà basato
sulla Luce divina dell’Amore Cosmico: «La via della fraternità
è la via del superamento dell’angoscia e della paura»(3).
(1)V. Muccioli, Io, Vincenzo Muccioli,
Ed. San Patrignano, 1996, pp. 7-9
(2)M. Scaligero, Meditazione e Miracolo, Ed. Mediterranee,
Roma 1977, p. 15
(3)ib., p. 175

Il simbolo della comunità di san Patrignano
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Credo che ognuno
di noi nella vita faccia delle scelte. Decidiamo di fare delle cose tutti
i giorni, ma ce ne sono alcune che scegliamo di fare per tutta la vita,
impegnando la maggior parte di noi stessi. Di queste scelte noi rispondiamo
prima di tutto alla nostra coscienza. Tutto quello che so l'ho imparato
da mio padre, Vincenzo, la persona che ha posto le basi della nostra comunità
e quindi della nostra associazione. La cosa fondamentale che mi ha trasmesso
è che un uomo può essere definito tale nella misura in cui
sceglie dei principi e cerca di viverli con coerenza nella vita, senza
compromessi. In questo modo conserva la sua dignità. La scelta che
ognuno di noi ha fatto, quella di impegnarsi nel difendere la vita e la
dignità dei piú emarginati e piú soli, è difficile
e soprattutto scomoda. È possibile portarla avanti solo se si è
coerenti con un principio: quello di essere capaci di dimenticare il piú
possibile se stessi, i propri egoismi per aprirsi agli altri, amarli e
vivere per loro. È molto facile capire, al di là dei nostri
limiti ed errori, se stiamo facendo il meglio per le persone che accogliamo.
Se riusciamo ad aprire un rapporto, se riusciamo a guardare una persona
negli occhi, e in quel momento quella persona, con i suoi problemi, con
i suoi drammi, con le sue fatiche, con l'aiuto che ti chiede, diventa il
mondo per noi, allora siamo sulla strada giusta. Il mondo si concentra
in quell'essere umano, nei bisogni che ha, nelle paure che ha. Allora lo
ami, vuoi risolvere i problemi insieme a lui, diventi credibile per lui.
Poi sbagliare, ognuno di noi ha limiti e fa errori, ma nella misura in
cui riesci veramente a spogliarti di te stesso, allora sai che non stai
sprecando la tua vita. Di questo ho visto vivere mio padre ed è
questo, credo, il motivo che mi ha, che ci ha spinto a questa vita difficile
e dura. Questo è il modo di aiutare gli altri, di farsi interpreti
dei loro bisogni e difendere, nei momenti di debolezza che i tossicodipendenti
hanno, la loro vita e dignità.
Presidente
della «Rainbow», Associazione
internazionale di Comunità terapeutiche
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