Gnosi

La critica storica moderna, riferendosi alle vicende dei primi anni del cristianesimo, si avvede che in quel periodo vanno delineandosi due “correnti”, che si distinguono sempre di piú tra loro.
L’una, che si suole indicare come cristianesimo “Pietrino” o di derivazione da San Pietro apostolo, fonda la sua autorità sulla tradizione, e che deriva dall’aver vissuto direttamente accanto al Cristo Gesú nel corso della sua vita terrena, nell’averne raccolto i detti, nell’aver cioè avuto l’esperienza concreta, fisica di colui che – provenendo da altezze incommensurabili – aveva per una volta calcato la scena terrestre.
L’altra corrente, che andò, come dicevamo, differenziandosi sempre di piú sino a configurare nel proprio seno scuole di pensiero e di culto che nel corso del tempo si contrapposero alla Chiesa ufficiale, veniva indicata come quella del cristianesimo “Paolino”, che prendeva le mosse dalla figura e dalle esperienze spirituali dell’apostolo Paolo, colui che non aveva conosciuto direttamente, fisicamente, il Cristo Gesú ma ne aveva ricevuto l’esperienza illuminante nell’evento di Damasco.
Dopo circa tre secoli di persecuzioni vediamo che la Chiesa di San Pietro prende definitivamente il sopravvento e viene riconosciuta dal potere temporale, rappresentato dall’imperatore romano Costantino, elevata al rango di religione di Stato, e da quel momento inizia ad influenzare, anche da un punto di vista strettamente storico, le vicende del mondo.
Essa ha mantenuto al suo interno la grandiosa figura di Paolo ma, mentre il suo impianto dottrinario è palesemente fondato sull’antica rivelazione (il “Vecchio Testamento”), oltre che sui Vangeli, il suo corpus esteriore, la sua organizzazione viene modellata su quella dell’Impero romano: il Papa come capo (Imperator) della Chiesa, i cardinali come i senatores, i vescovi come i proconsoli ad amministrare ogni remota provincia della straordinaria costruzione, interiore ed esteriore, che avrebbe dovuto consentire ai fedeli di riconoscersi e di riunirsi all’interno di essa, e contro la quale le porte dell’inferno non avrebbero prevalso.
L’altra corrente andava via via prendendo forme sempre piú distanti dalla Chiesa-Stato che andava configurandosi. I seguaci piú coerenti di San Paolo, pur con notevoli diversità fra loro, tendevano a rifiutare l’autorità papale fondata sulla tradizione ossia sulla traditio, la consegna del messaggio divino dalle mani del Cristo a quelle di San Pietro e, via via, alle mani dei suoi successori.
Pietro è colui che ha la conoscenza diretta di Gesú. Egli riconosce in Gesú il Cristo («Chi credete che io sia?»). Egli ne segue le vicende terrene da quando viene scelto da Gesú («Venite e vi farò pescatori di uomini»), lo rinnega nell’orto di Getsemani, assiste alla Sua crocefissione e lo rivede risorto, anche se, ora, non lo riconosce subito, trasfigurato (i discepoli di Emmaus). Paolo non ha conosciuto Gesú. Egli ha avuto la folgorante esperienza del Cristo sulla via di Damasco, lo ha conosciuto spiritualmente, la sua coscienza d’uomo ne ha avuto l’immediata percezione, senza la mediazione del corpo fisico.
Il Maestro dei Nuovi Tempi, in molte sue opere, sostiene che l’evento di Damasco verificatosi la prima volta per Saulo/Paolo, vale a dire la percezione del Cristo nell’eterico, dovrà in un futuro che per noi è già presente diventare possibile per un numero sempre piú grande di uomini. Egli infatti, nel libro Sulla via di Damasco, Il nuovo Avvento (1) afferma: «Entriamo nell’epoca abramitica, in cui veniamo nuovamente ricondotti nel mondo spirituale. Questo permetterà ad un certo numero di uomini, che andrà sempre piú aumentando nei prossimi 2500 anni, di sperimentare l’evento di Damasco, perché costoro avranno in sé facoltà che renderanno percepibile, nella sfera terrestre spirituale, il Cristo che in essa ormai vive e risplende. Diventando capaci di vedere il corpo eterico in genere, quegli uomini impareranno a vedere il corpo eterico del Cristo Gesú, come lo vide Paolo».
Non vi è dubbio che se all’interno della Chiesa fosse prevalso il cristianesimo autenticamente paolino la storia avrebbe avuto tutt’altro corso.
Per i tradizionalisti era straordinaria la grandezza del rito; la possibilità che il depositario dell’autorità tradizionale investisse del proprio potere di evocazione del divino coloro che egli avesse scelto e che costoro – esclusivamente per questa sorta di investitura spirituale – potessero a loro volta celebrare il rito pur non essendo personalmente “mondi”, ossia puri dal peccato, fu sostenuta con grande vigore da Agostino, il vescovo di Ippona, in polemica con altri gruppi – considerati ovviamente eretici – dell’epoca.
Quasi tutti gli gnostici invece ritenevano possibile – attraverso la conoscenza, scintilla divina che tuttavia apparteneva non a tutti ma solo agli “pneumatici” dotati di autentica conoscenza spirituale, e, dopo un periodo di intensa purificazione anche agli “psichici”, cioè agli uomini nei quali predominava l’anima – di replicare in qualche modo l’evento di Damasco, ossia la conoscenza diretta, personale ed immediata del divino, da ottenere a seguito di un periodo di purificazione e soltanto qualora a tanto si fosse stati giudicati degni da parte del mondo spirituale.
Dalla conoscenza sarebbero rimasti esclusi gli “ilici” cioè la maggior parte degli uomini, la cui coscienza rimaneva radicata alla Hylè bramosa ed oscura, cioè alla terra.
Gli gnostici erano cristiani che ritenevano viva ed operante la tripartizione degli esseri umani in Spirito, Anima e Corpo, ed erano convinti della reincarnazione. Tuttavia la loro era una concezione “mitica”. Spiegavano cioè il mondo con una concezione che, ai nostri occhi, appare favolistica.
In realtà, quando Rudolf Steiner, fondatore dell’Antroposofia, sosteneva che per le anime di quell’epoca la realtà spirituale era ancora una cosa troppo viva per poter essere concepita secondo i nostri canoni, si riferiva appunto a questa incapacità, per noi moderni, di afferrare attraverso concetti morti tutta la vivezza di quei racconti considerati, appunto, mitici o fantastici.
Fra coloro che ritenevano le lettere e l’esperienza di Paolo come fondamentali per comprendere sino in fondo il messaggio cristiano, al punto di basarsi solo su di esse e su alcuni punti del vangelo di Luca per formare un suo canone, come diremo piú oltre, vi fu Marcione (Sciziano?), nato a Sinope, sul Mar Nero, l’antico Ponto Eusino, nel II secolo, zona di confine con l’antica Scithya.
Marcione riprendeva in parte la dottrina dello gnostico Cerinto, il quale sosteneva che il Cristo non fosse nato con Gesú, ma fosse disceso dal cielo in forma di colomba nel momento del battesimo del Giordano, prendendo possesso semplicemente del corpo di Gesú di Nazareth, allontanandosene prima della morte sulla croce.
Una concezione che – in parte – coincide con quella che l’antroposofia ha sulla reale essenza del Cristo Gesú. La coscienza fisica degli gnostici di quel tempo, tuttavia, non era ancora cosí sviluppata da consentire loro di comprendere appieno che l’entità del Cristo era ormai unita alla Terra. Essi intuirono, videro quasi, che un’entità altissima, la piú elevata di tutte, aveva unito se stessa con un corpo umano. Non riuscivano tuttavia ad accettare pienamente con la loro coscienza ancora vivente il mondo al quale il Cristo era ormai indissolubilmente legato.
Tornando a Marcione, egli sosteneva che la realtà fisica, quale noi la conosciamo, era la creazione di un dio fondamentalmente giusto, ma non amorevole, che aveva posto il mondo e le sue inflessibili regole, grazie al quale la dura realtà materiale si affermava come certezza, come la terra sulla quale posare con sicurezza il piede, ma che esisteva proprio in virtú di regole che escludevano la pietà.
Un dio percepito come dio di giustizia, che puniva in modo severissimo le trasgressioni della sua Legge, ed identificato con il Jahvè dell’Antico testamento, il “dio geloso”.
Non un demone (Marcione ritiene che questa sia un’altra entità); ma un dio, aggiungiamo noi, molto simile a quel “principe di questo mondo” presente nei Vangeli nel massimo momento di forza delle tenebre, quel dio che l’antroposofia identifica come l’entità arhimanica per il quale «il mondo è stato dato a me, ed io ne faccio quello che voglio», l’entità che sottopone il Cristo e tutti gli uomini alla piú terribile delle tentazioni, quella di “trasformare le pietre in pane”, il dio della coscienza materiale, del pensiero riflesso, in definitiva il dio della morte.
Il dio che, tuttavia, dà proprio per questo agli uomini la possibilità di incontrare la realtà materiale e su questa costruire la proprio coscienza di veglia, quella coscienza che “dà certezza di esistere” a costo tuttavia di correre il rischio di rimanere invischiati in essa. La realtà materiale, che serve da specchio per il pensiero, può diventare allora l‘unica realtà, ed in questa direzione allora tutto il mondo appare davvero senza senso, sottoposto alle spietate leggi della sopravvivenza e del pensiero morto, che edifica le sue ferree leggi come catene per gli uomini.
Per Marcione il Cristo Gesú veniva quindi avvertito come figlio di un altro Dio “sconosciuto” che portava incontro al mondo l’amore, la dedizione assoluta di sé, senza nessun motivo, solo per la libera scelta piú alta ed assoluta, per Amore, e diventava compagno degli uomini, sino ad identificarsi con ciascuno di essi.
Come detto, Marcione riteneva autentiche solo alcune lettere di Paolo ed una parte del Vangelo di Luca. Proprio per contrastare le sue dottrine la Chiesa cattolica stabilí il “canone”, ossia l’autenticità indiscussa dei solo 4 Vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Marcione e gli altri gnostici, infatti, conoscevano decine di altri testi, tutti derivati, presumibilmente, da un’unica fonte, cioè l’insieme dei “detti” di Gesú, esistenti già nei primissimi anni dopo l’evento del Golgota.
Marcione è il piú affascinante fra gli gnostici. Il suo richiamo alla bontà ed all’amore, il rifiuto del male terreno in nome della piú assoluta delle libertà, sono il fondamento della sua dottrina. Il suo messaggio rimane il piú coerente fino al momento in cui sulla scena della storia entra la grandiosa ed ancora oggi in gran parte incompresa figura di Mani, l’apostolo di Babilonia, cui Marcione assai assomiglia nella sua dottrina, quasi fosse un ideale precursore, molto piú degli altri gnostici.

Griphus

(1)R. Steiner, Sulla via di Damasco, Tilopa, Roma 1990, p. 105

Immagini:
Caduta di San Paolo Scuola della Bassa Sassonia, secolo XV
I quattro Evangelisti dal Vangelo Neri Pozza, Venezia, 1958

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