

Convinti di trovarsi nelle terre
del favoloso Cipango, limitrofo all’ancor piú decantato Catai e
alla misteriosa India, i conquistadores che, dopo Colombo, in una
ininterrotta sequela di spedizioni dall’Europa sbarcarono nel Nuovo Mondo,
si preoccupavano unicamente di trovare sui monti le miniere d’oro e d’argento,
nel mare le smisurate e splendide perle di cui avevano già favoleggiato
Marco Polo nel suo Milione e altri esploratori e mercanti che avevano
raggiunto l’Oriente percorrendo la Via della Seta. E intanto che procedevano
per quella terra paradisiaca, cercando mitiche ricchezze, annotavano con
infaticabile zelo utilitaristico la presenza nelle foreste di legni pregiati,
uccelli dalle piume variopinte, animali straordinari, nei boschi e nei
campi spezie, frutti e ortaggi dai gusti fortemente aromati. In particolare
una pianta, il tabacco, le cui foglie arrotolate gli indigeni accendevano
aspirandone avidamente il fumo. Impegnati a scoprire e sfruttare le nuove
risorse, poco si preoccupavano di annotare le cose somiglianti alla loro
civiltà, come le grandi piramidi a gradini dello Yucatàn,
i templi aztechi del Messico che ricordavano le torri astronomiche di Babilonia,
le bit tamarti, e le grandi piramidi egizie. Dovettero però
forzatamente registrare, oltre alle tante meraviglie ed eccezionali scoperte,
l’ancor piú strabiliante mancanza della ruota nell’uso pratico:
essa era in tal senso totalmente sconosciuta presso le civiltà mesoamericane.
Ma non era ignoto ai popoli scoperti il principio del movimento dinamico
circolare ottenuto da una croce contenuta in un cerchio e ruotante per
forza centrifuga da un centro motore di energia. La croce non veniva utilizzata
per formare la ruota semplicemente perché essa era un elemento sacro,
un tabú contenente un alto valore simbolico. Oggetti sacri, figure
di argilla e pietra rinvenuti nell’area del Guatemala e del Messico meridionale
spesso risultano foggiati in modo da girare su ruote. La croce inserita
in un cerchio era dunque presente ovunque nella sua funzione di energia
cosmica ruotante, di raggiante solarità emanante forza creatrice
di vita.
Ma non tutti i conquistatori
erano animati da venale rapacità. Fra essi si distinse uno dei partecipanti
alla spedizione De Soto, in Perú: Garcilaso de la Vega (1540-1616).
Interessato ai valori morali, artistici e spirituali degli indigeni piuttosto
che alle mirabolanti miniere del Potosí e alle inesauribili vene
aurifere dell’Eldorado, scrisse La Florida del Ynca (1605), un interessante
diario dell’impresa, in cui, tra le molte stupefacenti notizie riportate,
riferiva: «I sovrani Inca possedevano una croce di marmo bianco e
rosso a Cuzco chiamata “diaspro cristallino”; non si può dire da
quando essi la possedessero […] la croce era quadrata, ogni braccio era
largo tre dita e altrettanto spesso. Veniva ricavato da un unico blocco
di marmo, gli angoli levigati, la superficie finemente molata e splendente.
Era conservata in una delle dimore reali chiamate huaca, che significa
“luogo consacrato”. Non poteva essere calpestata ed era venerata per la
sua forma e forse per altri motivi rimasti segreti».
La croce all’interno del cerchio
o ad esso sovrapposta era la base dei cosmogrammi delle antiche popolazioni
del Messico. In essa veniva rappresentata la raggiera dei corpi cosmici
convergenti al centro, da cui il dio solare Apu emanava le sue energie
creatrici in un continuo scambio di forze. Questo simbolo è presente
anche nelle volute decorative e nelle figure scultoree, nei ganci intrecciati
dell’arte civile e religiosa rinvenuti a El Tajin, in particolare nella
Piramide delle Nicchie a Vera Cruz, che emula in altezza e perfezione le
ziqqurat mesopotamiche. Quanto alla Pietra del Sole azteca, un enorme disco
scolpito per le letture astrali, la croce vi appare nella cosmogonia mitologica
dei quattro soli che chiudono al loro centro il quinto, e rappresentano
le cinque epoche o età dell’evoluzione del mondo. L’ultima vedrà
splendere l’astro sul mondo umano divinizzato.
Uno dei cinque soli della mitologia
azteca, il quarto, veniva definito “sole sonoro” o “turbine luminoso”.
Esso precede la quinta epoca e il suo soffio potente spazzerà via
il male dalla Terra. Il mito del quarto sole sonoro è anche contenuto
nella cosmogonia delle tribú Navaho: parla di uno Spirito universale,
di un soffio che fa ruotare il cosmo.
La croce nelle sue varie forme,
ansata, gammata, uncinata, costituisce uno dei simboli archetipici e misterici
piú antichi usati dall’uomo per rappresentare il divino che incontra
l’umano, lo Zenit che tange il Nadir, la luce che tocca le tenebre e le
trasforma. È Shiva che nel distruggere ricrea, attraverso la sua
vorticosa danza cosmica. È il fiore sul cuore del Buddha, il chakra
divino che apre la materia al Verbo solare e la sublima. Infine è
la svastica ruotante dei Veda, nel suo moto sinistrogiro o destrogiro,
a seconda che rappresenti il principio solare o quello lunare, maschile
o femminile. Per i Manichei la svastica è la croce, di cui assume
tutta la valenza.
Il simbolismo della croce è
stato cosí spiegato da Rudolf Steiner in una delle conferenze su
Segni e simboli occulti tenute a Colonia nel dicembre 1907: «Il
vero significato esoterico del segno della croce è una somma di
forze. Una direzione di forza va verso il basso: l’essere della pianta
viene diretto da questa forza. Nell’uomo essa è indirizzata nella
direzione opposta. L’animale ha la spina dorsale disposta orizzontalmente:
in lui la forza si mostra come orbitante orizzontalmente intorno alla Terra.
Il principio animico si eleva dunque dall’esistenza vegetale a quella animale,
a quella umana. Platone, che cosí frequentemente espresse cose provenienti
dall’iniziazione, formulò la bella massima: l’anima cosmica è
crocifissa sul corpo cosmico. Ciò significa: l’anima del mondo percorre
l’essere della pianta, dell’animale e dell’uomo. È crocifissa nelle
forze dei tre regni: vegetale, animale, umano. E quando noi inscriviamo
in questo modo la croce nei tre regni della natura, la croce diviene per
noi il segno della direzione evolutiva»(1).
Nello stesso ciclo di conferenze,
riferendosi alla svastica il Dottore ne chiarí il significato simbolico
nei seguenti termini: «Oggi vorrei solo dare l’indicazione che tutto
il nostro aprirci verso idee e immagini della teosofia elementare conduce,
a poco a poco, alle reali esperienze, e ogni immagine nell’occultismo è
presa dall’esperienza. Se si prende l’immagine ben conosciuta della “svastica”,
si troverà nei diversi scritti la spiegazione molto sagace di quest’immagine.
Com’è entrata originalmente nell’occultismo? Questa immagine non
è altro che la “copia” di ciò che noi chiamiamo “gli organi
astrali dei sensi”. Per mezzo di certi esercizi, nella scuola occulta,
l’uomo può formarsi gli organi astrali dei sensi. Questi organi
astrali sono percepiti dal chiaroveggente come “ruote”, ovvero fiori di
loto. Di queste “ruote” o fiori di loto, una, quella a “due petali, sta
fra i due occhi, l’altra, quella a “sedici petali”, sta nella laringe.
Di questi organi dei sensi astrali, che si presentano come fenomeni di
luce nel mondo astrale, il segno, l’immagine, è la svastica. Questa
è l’immagine, originariamente»(2).
Una particolare menzione merita
la Croce di Malta. Essa deve il proprio nome agli Ospitalieri di San Giovanni
d’Acri, divenuti poi Ordine di Malta. Il simbolo è mutuato dall’antica
iconografia mistica mediorientale, in particolare araba e mesopotamica.
Esprime in forma criptica quattro svastiche contrapposte unite a formare
una croce a otto punte, e rappresenta la sintesi delle varie fedi religiose
presenti nell’area del Medio Oriente ai tempi delle Crociate. Sviluppata
geometricamente, la Croce di Malta combina la stella davidica, la svastica
solare e quella lunare, infine la croce del Cristo con le Otto Beatitudini
della Montagna. L’Ordine ospitaliero di San Giovanni, infatti, venne fondato
ad Acri da fra’ Gerardo Sasso proprio con l’intento di assistere i feriti
e i malati, e di seppellire i caduti delle varie parti contendenti a qualunque
fede e nazione appartenessero.
Alla fine dell’Antico Regno,
in Egitto (2130 a.C.), il popolo penetrò nei Sancta Sanctorum
dei templi, impadronendosi delle sacre formule fino ad allora di esclusiva
pertinenza dei sacerdoti ammessi al naos e dello stesso faraone.
Cosí un papiro commenta quella intrusione: «Gli incantesimi
magici vengono divulgati e non hanno piú potere, perché il
popolo li ha in mente». La simbologia sacerdotale, portata in mezzo
alle classi poco evolute, provocò il processo di adattamento all’origine
della decadenza del simbolo. Spesso gli uomini sbagliano nel modo di cercare
Dio. Lo fanno con le rudimentali pulsioni della loro materialità
imperfetta, forzano i tabernacoli dei misteri con simboli divenuti grimaldelli
della loro superbia, bussano con brutale violenza alle porte del Cielo.
Ma è lí che vogliono andare, perché avvertono inconsciamente
che al di là di quelle porte brilla la grande Luce infinita, che
consentirà la suprema visione dello Spirito universale.
L’uomo alla fine riuscirà
ad aprire quelle porte: il Cristo l’ha promesso. Nella tradizione iconografica
cristiana la svastica, riprodotta ad esempio nelle catacombe, appare come
simbolo del Redentore: rappresenta il Cristo al centro dei quattro evangelisti.
Egli, come il quinto sole dei Maya, splenderà dopo che il “sole
sonoro”, il “turbine luminoso” del Logos, avrà cancellato ogni male
dal mondo.
(1)R. Steiner, Simboli
e segni occulti, dal ciclo Miti e Saghe, n. 8, conferenza del
29. 12. 1907, Edizioni Arcobaleno, Oriago di Mira (Venezia)
(2)op.cit., conferenza
del 26. 12. 1907, dattiloscritto inedito
Immagini:
– Il sigillo del guardiano di Rudolf Steiner
– Ruota del Vento disegno Navaho su sabbia. Il Grande Spirito anima
col suo soffio l’alternarsi delle stagioni. La sabbia sta ad indicare la
caducità della materia
– Svastica sumerica del V millennio a.C. simbolo della forza generativa
femminile
– Croce di Malta
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