ESERCIZI

Le forze necessarie per superare il crollo o lo stallo, non possono essere le forze invertite dell’astrale, dell’ego. Rispetto a queste sono piuttosto “non forze” che maturano soltanto nella progressiva perdita della personale ricchezza interiore; nella spoliazione dell’anima che, come albero d’autunno, lascia avvizzire e cadere ogni sua foglia: orpelli ed illusioni.
Franate le fiabesche rappresentazioni dell’ego, nell’anima dell’operatore che iniziò potente, albeggia la coscienza dei propri limiti, la consapevolezza che la forza personale confina con l’impotenza.
L’autoconoscenza, se non distoglie lo sguardo, incomincia a conoscere da vicino le sostanziali ombre della debolezza e della morte.
Ora l’asceta entra in un tempo di pericoli: vive, nella sottocoscienza umana, un’entità che vede tutto, ricorda tutto e desidera, con estrema intensità, tutte le forze vitali che attraverso il pensare ed il percepire alimentano la struttura umana. Questo essere viene afferrato da profonda paura quando l’operatore cosciente perde la sua vitalità e, avvertendo il rischio del venir meno della propria bramosa essenza, cerca verso il basso forze ed entità che possano risarcirlo.
Tale è l’immagine elementare della dinamica dei patti subliminali, che vanno poi allargando a dismisura il numero dei discepoli, chiamati ma non eletti, i quali con le migliori intenzioni del mondo lavorano alla distorsione, alla banalizzazione: in definitiva alla fatale alterazione dell’insegnamento Solare.
Va evidenziato che quella che è stata chiamata l’ombra della debolezza e della morte può diventare, in momenti apicali, viva sensazione.
Può verificarsi, ad esempio, che lo sperimentatore, dopo essersi coricato per il sonno, avverta il sopraggiungere di una straordinaria debolezza, che sembra portarlo allo zero delle stesse funzioni vitali. La coscienza allora pensa: “Ora sto per morire”, e si affida, in attimi cruciali, all’Imperituro. L’atto è cosí semplice e totale da permettere l’immediata risposta del Divino (oppure, a seconda dei casi, della “Catena dei Viventi” o “Comunione dei Santi”) che accoglie il discepolo, lo salva e lo risana.
Coerentemente alle accennate esperienze ed in opposizione all’entità bramosa, che lo trascinerebbe verso la caricatura galvanizzata della retta attività interiore, l’operatore impara a chiedere alle Altezze l’aiuto necessario, la forza che sembra mancare: impara la resa e l’interiore orientamento verso il Divino, comprende che la sua realtà non si cancella proprio poiché si consacra al Divino, a Chi può tutto, in silenzioso anelito e paziente attesa. «Io sono il piú piccolo di tutti e, se volete che Dio vi accordi ciò che gli domandate, non siate piú grandi di me»: ecco la traccia lasciata da Maître Philippe.
Il pensiero che, con la superficialità del razionalismo, giudichi questa direzione dell’anima come lampante indicazione di cedimenti interiori o di istintivi tatticismi dettati dalla paura, ignora, per difetto di profondità, che la conformazione fondamentale dell’anima è “religiosa”, cioè strutturalmente dedita al Divino, e che i momenti simili a quanto accennato nelle precedenti righe sono per l’appunto momenti di verità della sua natura.
Allato alle drammatiche situazioni riassunte, l’asceta continua, insistente e cocciuto, con “ripetizione e ritmo” gli esercizi di concentrazione interiore. Intensificando l’accordo della volontà con il pensiero della concentrazione, attraverso gli spazi liberati dalla momentanea assenza “dell’umano sentire”, lungo canali interiori giunge sino alla testa la forza che assorbe e nullifica ogni pulsione psichica: l’Impersonalità, con la quale il volere satura ordinariamente la dinamica degli arti. Si instaura, all’interno della coscienza uno stato di inalterabilità e spassionata indifferenza. Ciò può venire pensato e persino sperimentato come una ulteriore perdita di qualità umane, ma simile valutazione negativa, pur comprensibile, risulta nondimeno pregiudiziale ed affrettata. Come per quanto indicato su testi fondamentali circa gli effetti dell’esercizio dell’equanimità, anche in questo caso va sottolineato che l’esperienza del sentire può ancora presentarsi viva e forte nell’anima, ma come prodotto di una intensificazione dell’attività interiore.
Mentre, nella coscienza comune, i sentimenti vengono automaticamente attivati da un percepito (animico o sensibile), nell’operatore sono ora accesi in subordine ad una attività interiore avviata dallo stesso.
Ad esempio, dopo aver costruito una congrua sequenza di pensieri intorno al significato di un avvenimento, oppure dopo un attento e minuzioso sforzo d’attenzione rivolto ad un oggetto o fenomeno.
La necessità di esprimere attività interiore per riguadagnare la vita del sentimento, non deve turbare, poiché la forza c’è ed è presente nell’anima, in quanto maturata attraverso le discipline del controllo del pensiero, dell’atto puro e della concentrazione.
Ormai l’anima del discepolo, pur raggiungendo una positiva semplificazione, sembra altresí vivere in profonda contraddizione: mentre da un verso evolve, con gli esercizi di concentrazione, un carattere di dominio, di intensa affermazione individuale, in altra direzione coltiva la resa e l’abbandono al Divino.
Questi stati interiori sono realmente contraddittori per la coscienza ordinaria, per la psiche, mentre, al contrario, per l’operatore interiore divengono stati di natura superiore perfettamente coerenti, come ad un gradino inferiore troviamo, ad esempio, l’inspirare e l’espirare sensibili, come parti contrapposte di un processo indubbiamente unico e necessario.
Del resto, la potenza dell’impersonalità interiore, se da un lato permette la sospensione nel giudicare gli avvenimenti sensibili e l’indifferenza verso le istanze dialettiche dell’ego, dall’altro libera nell’anima la capacità di portare avanti richieste extrasensibili che, dal punto di vista di una ipotetica esteriorità, apparirebbero troppo complesse o impossibili: decisamente estranee alla coscienza dialettica eternamente pregna di dilemmi discorsivamente irrisolvibili.
L’asceta, che riesca ad integrare all’interiore capacità di distacco dal sensibile e di dominio del mentale un intimo orientamento verso il Divino, può anche accogliere, senza turbamento, il silenzio dello Spirito nel silenzio dell’anima affinché i due diventino uno. Attendendo in calma certezza che una Forza imprevedibile e tuttavia riconoscibile perché fraterna all’individuo umano, lo tragga, rinnovandolo, sugli ulteriori passi del cammino Solare.

Franco Giovi (2. Fine)

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