Poesia


Già sentono l’inverno i grandi platani,
un presagio tra i rami, un lungo brivido
sceso a turbare il viso delle fonti,
a riaccendere arcane suggestioni
sull’icona sbiadita dei ricordi.
Dissipate le brume, vive il sogno:
dai folti boschi uscito alle brughiere
un dio silvano modula richiami
col suo flauto di canna, la fanciulla
Persefone rivede il melograno
rosseggiare tra i rovi e sente prossimo
il tempo che la spinge a ritornare
al suo fosco reame. Con le nebbie
precoci tesse madide gramaglie
Demetra, e inutilmente fa il suo nome:
ovunque passa, la natura spoglia.
Sa di partenze nel suo fiato il vento,
una salinità di vasti oceani:
scioglie cordami, gonfia velature,
sollecita distacchi. Già rimpiange
la terra la polena tra le spume,
la foglia il cielo mentre lo saluta
e lentamente volteggiando scivola
a unirsi al fango delle prime piogge.
Noi qui frementi lungo le grondaie
sui fili tesi in bilico, migranti
divisi tra le antiche nostalgie
di reami perduti e il desiderio
di ritrovarli nei futuri approdi,
siamo protesi a temerari voli
per spazi e mari senza nidi e isole,
su rotte ostili, spesso fuorviati
da miraggi e lusinghe, gibigiane
di vaghi specchi e seducenti panie
cui le ali si invischiano, e ingannati
da false luci gli occhi si smarriscono.
Ma sempre il cuore la sua via ritrova
se fida nei messaggi che invisibile
a lui trasmette la sublime Voce,
ascoltando la quale superare
può le tempeste e il vuoto immensurabile.
Pace l’accoglie allora di sereni
lidi celesti, e luoghi familiari
rivede infine, dolci nel ritorno.
Oltrepassate luminose porte,
vive i suoi giorni in alti paesaggi:
nell’aura che dimentica ogni gelo
la perenne stagione senza morte.

Fulvio Di Lieto

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