Il recente confronto, indubbiamente inasprito dalla concomitante campagna elettorale, tra il Presidente della Regione Lombardia e quello del Consiglio dei ministri in merito alla data di svolgimento del referendum popolare sulla cosiddetta devolution, concernente l’attribuzione alla potestà regionale di materie istituzionalmente demandate al governo centrale, ha riacceso il dibattito in materia di federalismo. È diffuso il timore che la piena adozione di una struttura federale, verso la quale il Senato ha recentemente approvato rilevanti modifiche costituzionali, possa moltiplicare la già rilevante conflittualità tra amministrazioni locali e governo nazionale, ed accentuare il divario tra le aree floride e quelle meno prospere del Paese, con possibili ricadute potenzialmente destabilizzanti.
Indubbiamente nella formula federale si tende talvolta ad identificare, non senza leggerezza, una panacea per le sempre piú assillanti problematiche sociali, spesso sulla base di modelli che si crede erroneamente di conoscere, come quello tedesco, indubbiamente rivelatosi di una certa efficacia. Non di rado alla formula istituzionale in questione viene ricollegata la circostanza che “ognuno si tiene le sue tasse”, l’ordine pubblico diventa regionale, come pure la sanità e la scuola, ed altro ancora. In realtà nella patria di Goethe, federale da 52 anni, esistono tasse centrali, regionali, comunali, perequate da un vincolo costituzionale alla solidarietà, che, per esempio, impone ai Länder ricchi di versare parte della tassa sul fatturato in un fondo comune cui attingono anche i meno abbienti; le forze dell’ordine centrali intervengono contro la criminalità organizzata, il traffico di droga, lo spionaggio, il terrorismo, riservando a quelle locali gli altri crimini, non senza qualche contraddizione, oggi in via di risoluzione (le cronache segnalarono qualche anno fa la clamorosa uccisione di una studentessa da parte di rapitori che fuggivano inseguiti di volta in volta dalle polizie dei dipartimenti regionali attraversati, le quali per rispettare scrupolosamente la propria giurisdizione pregiudicarono tragicamente ogni possibilità di tempestiva liberazione dell’ostaggio); il Cancelliere può imporre limiti all’attività del mondo medico, validi a livello nazionale; la scuola è effettivamente regionale, non senza qualche incongruenza: è capitato che diplomati a Berlino per iscriversi all’Università di Monaco abbiano dovuto sostenere lo stesso esame integrativo riservato agli studenti stranieri(1).
Evidentemente nessun sistema risulta perfetto alla prova dei fatti, e si può solo tendere al meglio(2). Sussiste però reale pericolo che, qualora numerosi problemi di competenza ed autonomia dei vari settori in cui si articola oggi la vita sociale, ancora gravemente irrisolti nel nostro Paese, non vengano veramente affrontati alla luce delle esigenze sociali dell’epoca dell’anima cosciente, l’adozione di un sistema federale non potrà che replicarli all’interno di ogni singolo ordinamento regionale. Scopo dichiarato della riforma in questione è il miglioramento della vita del cittadino in conseguenza soprattutto del maggior controllo sui propri amministratori e della miglior efficienza dei medesimi, in quanto piú vicini ai problemi dei loro diretti elettori. Tutto ciò potrà però verificarsi solamente se già nel formulare la normativa federale si sarà finalmente affermata nei legislatori la convinzione dell’assoluta necessità storica di configurare autonomamente le tre sfere in cui si articola la vita sociale del presente: economica/spirituale-culturale/giuridico-statale. Abbiamo ampiamente sperimentato il disastro dell’economia “assistita” dalla politica, o a sua volta corrompente pubblici funzionari; come pure lo spettacolo penoso di un mondo accademico sostanzialmente improduttivo in quanto inquinato dai partiti; di una cultura soverchiamente commerciale; di un mondo dell’informazione solo apparentemente indipendente; di una scuola governata da un ministero elefantiaco (...oggi fortunatamente giudicato meno invadente) e da sindacati piú attenti ai propri interessi e a quelli degli iscritti che alla qualità dell’insegnamento; della ricerca pesantemente condizionata dalle multinazionali, e di tante altre simili fattispecie antisociali.
Dobbiamo a R. Steiner la lucida identificazione delle tre sfere e relative funzioni nell’ambito della propria concezione denominata “Triarticolazione (o piú brevemente “Tripartizione”) della vita sociale”(3), sulla quale abbiamo avuto già occasione di soffermarci in questa sede: la prima è deputata alla produzione e circolazione delle merci; la seconda comprende l’istruzione, la ricerca, la cultura, l’arte, l’ordinamento giudiziario civile e penale, con esclusione di quello amministrativo; la terza include quest’ultimo e regola le prime due, amministrando gli interessi precipuamente nazionali, difesa, pubblica sicurezza, rappresentanza internazionale e cosí via. Il perdurare dell’attuale confusione elaborativa traspare anche dalla sostanziale assenza di indicazioni programmatiche “tripartite” nel futuro assetto regionale cui si ricollega il menzionato referendum, mentre parallelamente nel testo di modifiche al titolo V della costituzione, approvato l’8 marzo scorso dal Senato, la cosiddetta “Legge sul federalismo” – indubbiamente intenzionata a limitare in qualche misura l’attuale invadenza del potere centrale – rileviamo che tra le funzioni attribuite all’esclusiva potestà legislativa statale, cioè alla terza delle tre sfere menzionate, sono accorpate alla lettera L: “ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa”. Non viene cioè previsto «l’affrancamento dell’attività giudiziaria dalle istituzioni statali. A queste spetterà di fissare i diritti che devono esistere fra uomini o gruppi di uomini. Emettere giudizi dipenderà però da istituzioni emanate dall’organizzazione spirituale»(4); argomento evidentemente delicatissimo.
Ove pertanto nelle costituende regioni federate venga a mancare, per esempio, una reale libertà di ricerca, non incontrollata ma neanche pilotata dal mondo economico o suggestionata ideologicamente; non si realizzi un’efficace autonomia della vita culturale/artistica, dei mezzi d’informazione, dell’attività giudiziaria civile e penale; non si concretizzi effettivamente una scuola libera, gestita dagli insegnanti medesimi e finanziariamente autosufficiente; si continui ad appesantire la vita economica con pretestuosi lacci e lacciuoli, inibendo lo slancio imprenditoriale; si condizioni la nomina di pubblici amministratori attraverso finanziamenti occulti alle loro compagini politiche da parte di “lobby” piú o meno riconoscibili; qualora insomma perduri la odierna antistorica situazione e le tre sfere continuino ad essere legiferate unitariamente dal parlamento regionale (come tuttora avviene in quello nazionale), anziché in «proprie istituzioni autonome coordinate in un momento superiore di raccordo»(5), non è difficile prevedere che l’adozione di una formula federale non potrà che replicare in ogni regione federata le problematiche evidenziate, contemporaneamente incrementando la conflittualità con il governo centrale, con le altre regioni e le amministrazioni provinciali e comunali. Viceversa, qualora lo spirito della “Tripartizione”, cioè il menzionato libero coordinarsi da parte di tre settori autonomi – che comincia comunque sporadicamente ad affiorare – venisse pienamente accolto, un ordinamento federale “ad hoc”, sottraendo comunque funzioni all’onnipotenza del potere centrale, potrebbe accelerare la realizzazione dell’auspicato rinnovamento istituzionale.

Arcady

(1) «Il Messaggero», Roma 13. 4. 2001, p. 2
(2) R. Steiner, I punti essenziali della questione sociale, Ed. Antroposofica, Milano 1980, p. 10
(3) R. Steiner, Esigenze sociali dei tempi nuovi, Ed. Antroposofica, Milano 1971, p. 233
(4) op. cit. alla nota 2, p. 105
(5) op. cit. alla nota 2, p. 129; vedi anche «L’Archetipo» di gennaio 2001, p. 14
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