Poesia

 
Verde smeraldo, pallido turchese
per illustrare liturgie di sangue,
quasi a volerne stemperare e ottundere
il cruore e l’asprezza, la vermiglia
essenza che si espande lungo i muri
della tomba scoperta a Bonampak.
Sopravvissute ai morsi del salnitro,
drammatiche sequenze si avvicendano:
divinità mai sazie di olocausti
umani, e sacrifici inesorabili
divorano le vittime immolate
su terribili mense, nudi altari
nei templi a gradinata, feste alterne
con agonie frenetiche, guerrieri
e sacerdoti in processione, ornati
di piumaggi e trofei, collane e teschi.
Suoni di grandi tube per coprire
le urla dei morenti, la ferocia
immortalata sotto volte ed archi,
su pareti corrose. Vari esperti
controllano lo stato degli affreschi,
ne restaurano i toni, li riportano
all’antico splendore, risvegliandoli
dal sonno secolare in cui languirono
sotto coltri di giungla ed acquitrini.
Ma poco o nulla abbiamo da imparare
da quella decantata civiltà
che rivive nei fasti di cromíe,
nelle affollate epifanie di stragi,
offertori agli dèi senza sorriso.
Altrettanto spietati, siamo appena
piú scaltri di quei popoli cruenti.
Dovremmo seppellire, e non scavare;
occultare per sempre nell’oblio
la crudeltà vestita di potere;
ogni arte, strumento e strategia
da lei usati per legittimarsi,
aurandosi di gloria e di bellezza:
ori, gemme, broccati, trombe e spade,
e il culto di feticci sanguinari.
Dare i suoi riti alla dimenticanza,
sotto l’edera, il muschio e le radici
della foresta, e alla pietà del tempo.
Altra mèta è la nostra, altro il destino:
dèi luminosi attendono pazienti
in serene dimore, per amarci
e vivere con noi l’eternità.

Fulvio Di Lieto