- Il tempo
scorre, fugge via, passa davanti a noi come un fiume
veloce, inarrestabile. L’acqua che ci sfiora è l’ultima
del flusso trascorso, la prima di quello in arrivo: l’immagine
è di Leonardo da Vinci, e può farla propria ogni uomo
che vede i giorni della vita incalzarlo mentre si
avvicendano impetuosi ed impietosi. Due opposte simbologie
connotano quel rapido e invisibile torrente: da una parte
la linearità della traccia che si perde nell’infinito
immensurabile e non concede ripensamenti e recuperi; dall’altra
la circolarità di un eterno divenire che ci consente, a
ogni nuovo transito, di migliorarci: parabola di ritorno
che nel punto tangente ci rivela a noi stessi, illumina la
nostra capacità di trasumanare e redimerci.
- Per la
seconda ipotesi optarono gli Etruschi, che idearono i
circhi dove cavalli, cavalieri e bighe, attraverso la
rappresentazione allegorica della circolarità del tempo,
tentavano di esorcizzarne l’inesorabile fuga. Per
questo, quando ebbero il dominio sulla prima Roma, i re
Lucumoni costruirono il Circo Massimo, l’arena ellittica
in cui la coreografia cosmogonica da metafora si tramutava
in concretezza rituale, diventava culto e pratica sociale.
Gli aurighi, in veste di ierofanti, gareggiando abili e
ardimentosi, per delega comune celebravano nella mimesi
agonistica un’occulta sacralità misterica. E la palma
della vittoria costituiva non piú e solo un trofeo,
quanto piuttosto l’effimera ipoteca sul governo della
grande giostra esistenziale mossa dall’alea del Fato.
- Dall’origine
del mondo, tutti i popoli, al pari di quello etrusco, sono
stati in vari modi e forme impegnati in questa gara pro e
contro il tempo. Si trattava in realtà di imbrigliare
quel flusso riottoso e sfuggente, dominarne la corrente
con sbarramenti e meandri. Non furono forse i Romani, che
molto presero dai loro enigmatici vicini, a coniare il
detto “Divide et impera!”, dividi e governa? Operando
partizioni sul trascorrere del tempo, era dunque possibile
stemperarne la forza, addomesticarla fino a renderla
compartecipe dell’opera umana di auto-realizzazione.
Ecco allora, dopo la divisione, il valore, ma non veniale,
del denaro – come doveva poi degenerando diventare –
bensí consapevolezza di quanto ogni minimo attimo fosse
prezioso per fare della vita fisica un trampolino di
lancio per quella trascendente, dopo aver trasformato in
civiltà la barbarie.
- Misurare il
tempo per esserne padroni. Fu questo il primo grande sogno
umano. Mèntori di tale istanza furono il sole, le stelle
e la luna: luce e ombra, allineamenti e congiunzioni,
attrazione e magnetismo. Diligente allievo, l’uomo
svolse il suo còmpito innalzando edifici con funzione di
osservatori: piramidi, torri e ziqqurat
mesopotamiche, jantar mantar in India, templi
solari gradienti nelle regioni mesoamericane. Accanto a
tali punti di osservazione astronomica, eresse i siti che
dovevano ricordare le coincidenze astrali con i fenomeni
naturali e terrestri, determinare le ricorrenze stagionali
che essi scandivano. Si trattava di monumenti e
costruzioni piú o meno complessi e articolati: menhir,
cromlech, stele, archi e dischi solari (pedras
do sol). Severi e carichi di mistero, questi possenti
calendari in pietra sono tuttora presenti dalle
mediterranee isole di Malta e Cipro fino alle Orkney nel
remoto Nord subpolare, passando per Sardegna e Corsica,
Bretagna e Inghilterra. E valicando poi gli spazi oceanici
ne troviamo in Messico, Guatemala, Perú e nelle vastità
del Pacifico, sulla sperduta isola di Pasqua, incarnati
dai severi Moai che rivolgono i loro occhi di pietra ai
fulgidi asterismi della Croce del Sud.
- Questi
calendari astronomici servirono per millenni a indicare i
punti di tangenza e di allineamento di astri e pianeti con
i vari luoghi della terra. Il tempo astrale o siderale che
intercorreva tra i diversi momenti di coincidenza veniva
calcolato considerando le orbite di rotazione apparente
della volta celeste intorno all’asse terrestre. Il
numero di tali circonvoluzioni veniva a sua volta
calcolato in base al numero di periodi solari o lunari che
un dato corpo celeste impiegava per tornare allo stesso
punto di allineamento col segnale fisso approntato dall’uomo
sul terreno. Spesso si trattava di un semplice foro
attraverso il quale passava il baluginare di una stella,
il biancore lunare, il raggio di sole, come l’oculus
del Pantheon a Roma, l’orifizio segreto nella piramide
di Cheope, la tangente solstiziale nel santuario celtico
di Exsternstein a Detmold in Germania, o la congiuntura
equinoziale con il cerchio di Stonehenge in Inghilterra.
- La
coincidenza della fonte luminosa con il punto designato
quotava l’esattezza della cadenza temporale. Per gli
antichi, infatti, determinare la data esatta degli
equinozi era importante per stabilire le scadenze dei
lavori agricoli – semina, potatura, raccolto – e per
correggere le variazioni del calendario astronomico dovute
alla cosiddetta precessione lunisolare e planetaria. A
Roma i banditori consolari gridavano il mezzogiorno quando
la luce solare veniva a cadere tra i Rostri del Foro e la
via cosiddetta dei Greci, verso il Campidoglio. Vale
ricordare come i Romani distinguessero soltanto l’alba,
il mezzogiorno e il tramonto a tutto il III secolo a.C.
- Fino a non
molti anni fa, la voce umana ricordava agli uomini, se
ispirata dall’etica epicurea, che il tempo fugge e che
bisogna goderne ogni istante. Se invece risentiva degli
umori stoici, doveva rammentare che la vita è breve e che
occorre spenderla bene in attesa della fine inevitabile,
pur se oltre li attende luminosa quella eterna. Quest’ultimo
còmpito toccava, nei cenobi e conventi di stretta
clausura, al significator horarum, che passava di
cella in cella pronunciando il severo memento, e ne
scandiva l’intercalare tra un boccone e l’altro nei
refettori. Piú rassicuranti erano invece i richiami dei
gridatori di ore che passavano per le strade dei borghi,
aggiornando i paesani sul trascorrere del loro tempo senza
scosse. Si sa di villaggi spagnoli e portoghesi dove
tuttora girano di notte i serenos, banditori a voce, che
ragguagliano gli abitanti sulle ore e le condizioni
meteorologiche.
- Se oggi, con
l’avvento degli orologi meccanici, pubblici e privati,
paesi e borghi hanno rinunciato alle prestazioni di
gridatori e banditori, fino a non molti anni fa hanno
potuto contare sull’aiuto di Beroso, l’astronomo
babilonese al quale va riconosciuta l’invenzione della
meridiana, l’orologio piú semplice e affidabile che ci
sia, tanto che in Francia lo hanno usato fino a tutto l’Ottocento
per regolare gli orologi meccanici delle stazioni
ferroviarie.
- Eppure, si
tratta di una semplice asticella infissa in un piano, muro
o tavola che sia, o su un qualsiasi supporto. Nei secoli,
le meridiane si sono evolute e dotate di accorgimenti
tecnici per cui era possibile leggervi, oltre alle ore
solari di un determinato luogo, anche la data, le
posizioni zodiacali, le fasi lunari e le effemeridi.
Inoltre la fantasia le ha arricchite di elementi artistici
e mitologici, sí da farne veri e propri oggetti d’arte,
rispecchianti piú di ogni altro reperto il talento
creativo delle popolazioni che le hanno ideate e
costruite.
- Insieme alle
meridiane, su torri e campanili trionfano tuttora le
banderuole: indicano la direzione dei venti e raffigurano
quasi sempre galli di bandone che affrontano arditi
libeccio e borèa, petto in fuori e cresta irsuta.
Sopravvivono ai galli in penne e ossa che annunciavano lo
spuntare del giorno, veri orologi solari, ormai scomparsi
dalle aie e stipati negli allevamenti di polli in
batteria.
- Noi abbiamo
nel tempo forzato e scomposto l’armonia antica,
accelerandola oltre ogni misura: conta la velocità con
cui facciamo le cose, quante piú azioni riusciamo a
compiere in un dato lasso di tempo. Piú ne portiamo a
termine, meno spendiamo e piú guadagniamo. A tal fine i
nostri orologi, precisissimi, spostano di un secondo ogni
mille anni, le nostre auto possono raggiungere da ferme i
cento all’ora in quattro secondi, gli aerei atterrano
alle dodici e ventitré. La parcellizzazione dell’unità
temporale ha raggiunto livelli parossistici e paradossali:
gli atleti gareggiano e tagliano il traguardo sul filo dei
millesimi di secondo. Abbiamo atomizzato l’essenza del
creato, e basta una scintilla per farla deflagrare.
- Per
possedere il tempo siamo partiti dalla goccia d’acqua
che cadeva, dalla candela che si consumava bruciando,
dalla sabbia che scorreva nel vetro della clessidra. Ed
era l’assonanza della nostra vita con il battito del
cuore, il pulsare del sangue, il rumore della risacca, l’alitare
della fiamma all’unisono con i cicli misteriosi delle
cose create. Ci siamo impadroniti del tempo ma non lo
possediamo: è lui a possedere noi. Secondo Dante, la
dannazione infera è fatta di due condizioni: l’inerzia
impietrita e la velocità forsennata sotto il pungolo
demoniaco. Per la nostra civiltà il pungolo è
rappresentato dalle passioni che ci sospingono in una
corsa che tende a travolgerci. Se vogliamo salvarci,
dobbiamo uscire dal vortice di tali passioni, dominandole
attraverso la pratica spirituale. Sarà cosí possibile
ritrovare la connessione intima con le reali forze del
tempo cosmico. Riconsacrando ogni attimo della nostra
quotidianità, acquisiremo la giusta condizione intermedia
tra la stasi improduttiva e l’eccessiva velocizzazione
dettata dall’esasperato dinamismo utilitaristico. Saremo
allora noi stessi il tempo, assimilati alla sua essenza,
immersi nel suo possente fluire.