Testimonianze

“Saggezza d’amore”, potrebbe essere il titolo di questo quadro iniziatico. Il giovanissimo ed il grande Maestro passeggiano insieme per le vie di una Roma “fatata”, traversando il Gianicolo radioso ed i vicoli magici di Trastevere, mentre il giovane riversa le proprie pene d’amore nel cuore del grande amico che “ogni tanto, sui discorsi, prende lo spunto per spiegare la vita”.
Un amore grande, quello dell’adolescente, un calore che accoglie senza riserve, quello del Maestro. Cosí il giovane capisce l’amore: un dolce, intenso colloquio con la sua meravigliosa Grazia, purtroppo rapita.
Ancora una volta, Massimo Scaligero insegna ad amare con quel tanto di padre, di zio, di amico, ma soprattutto di fratello maggiore della Rosacroce, che anche oggi, nel vivido ricordo, sa consolare e spronare il devoto seguace.

Ettore Reale

 
Ero innamoratissimo. L’amore enorme di un adolescente. Un tale amore da spingermi, a diciannove anni, a chiederla ufficialmente in sposa ai genitori.
Era un’epoca diversa. Il padre mi invitò a ripassare dopo qualche anno, al termine degli studi, se ne sarebbe riparlato. Lei invece fu inviata in Spagna, in un collegio di suore.
Ero disperato. Il mondo m’appariva terribile ed ingiusto. Mi ricordo ancora che il dolore mi provocava un vuoto interno. Soffrivo.
Mi recai da Massimo e gli raccontai di Grazia. Tutti i giorni, per un lunghissimo periodo, mi recavo da Massimo ed insieme passeggiavamo per Roma. Raccontavo a lui il mio amore, rievocavo tutti gli episodi, teneri e bellissimi, dell’anno passato con Grazia. Massimo ascoltava. Ogni tanto, sui miei discorsi, prendeva lo spunto per spiegarmi la vita.
Man mano la sofferenza, i pensieri di morte, la disperazione passarono. Mi rimaneva un ricordo dolce del tempo meraviglioso passato con lei. Ricordo che porto con me ancora.
In quelle lunghe passeggiate con Massimo, in quegli sfoghi miei, in quei suoi brevi commenti, ho capito l’amore.
Fin da bambino, nell’esilio svizzero della mia famiglia (erano gli anni della guerra), Massimo Scaligero è stato una presenza reale nella mia vita. Anche se ci separavano oltre mille chilometri (lui viveva a Roma), era presente nella nostra casa.
Perché mio padre, Edoardo Anton e lui erano un trio di amici che avevano vissuto insieme la loro gioventù romana. Presente perché intratteneva una corrispondenza intensa con mio padre. Mi ricordo ancora le lettere che trattavano di Aurobindo.
Subito dopo la guerra, al ritorno in Italia e a Roma, lo incontrai. Ero fanciullo, eppure mi parlava come ad un pari. Era un amico. Ho sempre pensato a Massimo come ad uno di famiglia. Un tanto di padre, un tanto di zio e un tanto di amico.
…Massimo per me non è solo il pensatore, ma quel tanto di padre, quel tanto di zio, quel tanto di amico che ne faceva, nei rapporti umani, un uomo come tutti. Massimo sapeva vivere la sua condizione di uomo.

A.S. Champ

Tratto dal mensile: «Anonimo – Riflettere oggi la vita di domani», anno 1, N. 2, marzo 1980