
Se pochi autori sono riusciti a percepire il “sottosuolo”
animico dell’uomo nichilista contemporaneo come vi è
riuscito Dostoevskij, pochissimi sono riusciti, per di
piú, a fornire gli strumenti per un dominio spirituale e
una trasmutazione resurrettiva di questo spaventoso
sottosuolo che urge dietro le deboli barriere dell’attuale
coscienza razionalizzata.
- Dostoevskij vi è riuscito poiché la sua non è stata una
filosofia o una elegante via espositiva di natura
teologico-dialettica e/o teoretica; la sua via è stata
certamente una Scienza dello Spirito, una consapevole
pneumatologia.
- Di ciò dà ampia testimonianza la sua vita, la vita di un
Eroe del Cristo, morto da autentico asceta: «Da molto
tempo aveva l’abitudine di cercare un orientamento dal
Cielo, aprendo a caso una pagina del Vangelo. Qualche ora
prima di morire chiede a sua moglie di aprire il Vangelo e
lei gli legge i versetti 14 e 15 del capitolo 3 di San
Matteo: “Giovanni, però, voleva impedirglielo dicendo:
‘Io ho bisogno di essere battezzato da Te e Tu vieni da
me!’ Ma Gesú gli disse: ‘Lascia fare per ora, poiché
conviene che cosí adempiamo ogni giustizia’. Allora
Giovanni acconsentí”. “Che pace e che solenne
semplicità in queste parole! Intendi: ‘Lascia fare, ora’…Anna,
questo vuol dire che sto per morire”.»(1).
- L’illuminante e coraggiosa visione del nichilismo
nacque, nella coscienza del pensatore russo, in modo cosí
profondo come è stata poi conosciuta, dopo il suo primo
viaggio in Europa nel 1863. Tornando dall’Europa,
infatti, l’Autore era convinto che nel continente si
fosse già realizzata la profezia apocalittica: il “veleno
della civilizzazione” aveva sedotto occultamente le
masse in continua adorazione del dio Baal (si veda, a tal
riguardo, il saggio Note invernali su impressioni
estive).
L’eroica e solitaria grandezza dostoevskiana è
rappresentata dal fatto che, dalla tragica penetrazione
animica del vuoto spirituale, del nulla ontologico
contemporaneo, egli trae lo stimolo per un tentativo di
rinascita spirituale e, naturalmente, sociale.
- All’interno della corrente dottrinaria dei
pocvenniki(2)
si distingue senza dubbio la visione di Fëdor
Dostoevskij; per il Walicki(3) il pensiero socio-politico
di Dostoevskij è antropocentrico e antipsicologico,
essenzialmente metafisico e metarazionale, dunque, dato
che i suoi protagonisti – veri eroi letterari –
divengono portatori-realizzatori di ideali trascendentali
fluenti nel divenire storico. «La ricchezza della
creazione dostoevskiana è d’altra parte il prodotto di
un’eccezionale sensibilità per la crisi di tutti i
valori tradizionali, identificati ai suoi occhi con il
cristianesimo, e allo stesso tempo per la mancanza di
nuove “idee unificatrici”»(4).
- Il processo sociale che portò in Europa Occidentale all’affermazione
storica della visione del mondo borghese è visto dal
Nostro quale causa ideologica della disintegrazione del
vincolo spirituale che univa gli uomini(5).
- «Secondo Dostoevskij, l’Europa occidentale aveva
respinto la strada di Cristo, Dio-uomo, per scegliere in
compenso quella dell’ Uomo-dio, la strada della
deificazione dell’essere umano»(6).
Il nichilismo sostanziale, despiritualizzante,
caratterizzante la prassi esistenziale borghese, è
denunciato dal Dostoevskij nei suoi tre romanzi, Delitto e
castigo(7),
I Dèmoni(8) e
I Fratelli Karamazov(9),
allorché emerge negli stessi “eroi dell’arbitrio”:
«La dialettica dell’arbitrio si legava strettamente
alla filosofia della storia dostoevskiana, e sotto questa
luce particolarmente evidente è il rapporto che unisce il
pensiero dello scrittore alla critica slavofila dell’Europa
occidentale. Come gli slavofili, anche Dostoevskij vedeva
infatti nell’eredità dell’antica Roma il fattore
negativo corruttore della fede cristiana in Occidente. La
Roma pagana aveva trasmesso al cattolicesimo l’ideale
del Dio-uomo (l’imperatore, l’Apollo del Belvedere),
nonché l’idea dell’unità basata sulla costrizione;
…la protesta individuale contro l’“idea unificatrice
cattolica” aveva quindi condotto all’atomizzazione
sociale, al dominio della borghesia, la cui filosofia era
l’egoismo (ognuno per sé e solo per sé) e il diritto
del piú forte; la successiva protesta – contro l’individualismo
e l’anarchia – aveva infine generato l’idea
socialista, che in sostanza costituiva la forma laicizzata
della cattolica “unità attraverso la costrizione”»(10).
Per Dostoevskij, non a caso le “idee unificatrici” che
possano veramente realizzare una fraterna comunità
spirituale non sono la proiezione socio-politica del
razionalismo ideologico di stampo neo-illuministico, ma,
di contro, poggiano su una dimensione eterna, originaria,
quale è la pocva (suolo), identificato dallo scrittore
con l’essenza del Reale, la “vita vivente”,
assolutamente antitetica alla civilizzazione forzata
vigente in Occidente.
- Scrive in proposito il prof. Valle: «Con l’affermarsi
della civilizacija ha avuto inizio, secondo Dostoevskij,
un’“epoca di transizione”(vremja perechodnoe), nell’ambito
della quale è comparso un fenomeno nuovo e inquietante: l’evoluzione
della coscienza personale, che rifiuta le norme dirette e
immediate alle quali 1’uomo era vincolato nelle
comunità arcaiche. In tal modo si è verificata una
frantumazione delle masse in singole personalità isolate:
l’“isolamento” (obosoblenie) è una “condizione
patologica”, in virtú della quale ognuno vuole
diventare qualcosa “di individuale, di nuovo e di
inaudito”. Questo atteggiamento isolazionista è una
conseguenza dell’individualismo borghese che da una
parte genera l’egoismo piú sfrenato, mentre dall’altra
induce a ricercare “ad ogni costo” dei valori che
tengano unita la società»(11).
- Gli autentici problemi morali e sociali dell’umanità
non sono stati, per il pensatore russo, minimamente
risolti dalle visioni ideologiche e politiche che,
scaturite dalla rivoluzione francese, impostesi con un
dogmatismo dottrinario che non ha niente da invidiare a
quello delle religioni rivelate, hanno prodotto un
unilaterale “pensiero rettilineo”, contraddistinto da
una dose non indifferente di fanatismo ed intolleranza(12); si doveva quindi considerare che una
Russia caratterizzata dai princípi del “suolo natale”
non era affatto conciliabile coi princípi dell’ ’89,
che avrebbero condotto anche la patria slava alla prassi
materialistico-borhese e alla disperazione nichilista:
infatti «…il mito dell’inizio assoluto sul quale si
basava l’utopismo rivoluzionario europeo, a partire dal
1789, era un “prodotto organico” della civilizacija.
…Animata dal desiderio di arrivare al nihil, alla
tabula rasa, la rivoluzione agisce in nome di una pianificazione
ispirata ad un omologante razionalismo antropoteista ed
eudemonista, che pretende di realizzare la felicità “ad
ogni costo”. La rivoluzione europea aveva inaugurato una
continuità senza “tradizione”, che coincideva con
quella fase dello sviluppo storico che Dostoevskij
definisce “industriale-borghese”, con la quale erano
comparsi “palazzi di cristallo”, “città terribili”,
esposizioni universali, il culto del “sacchetto d’oro”,
il mito del progresso illimitato. I “regni della
borghesia” avevano decomposto e disgregato la società
europea, incanagliendola per “alcuni secoli”»(13).
- Anche Dostoevskij, al pari degli slavofili, propone la
concezione creatrice della sobornost’ (principio
metafisico che nella concezione slavofila assume il
significato di Concilio, Concordia rituale, Amore
spirituale graalico) quale autentica alternativa
spirituale all’arbitrio ed alla costrizione, frutto
della razionalizzazione borghese(14); altresí va messo in
luce come nella Weltanschaung di Dostoevskij il
liberalismo borghese ed il socialismo materialista e
progressista, usciti entrambi dallo spirito dell’ ’89,
mirassero ambedue alla scissione dell’unità spirituale,
alla dissoluzione dell’integrale totalità divino-umana:
«Questa Francia …ha sviluppato dalle idee del 1789 un
suo proprio socialismo, cioè l’acquetamento e l’organizzazione
della società umana senza Cristo e fuori di Cristo. …Quando
l’umanità cattolica si scostò da quella mostruosa
immagine sotto la quale avevano finito per presentarle
Cristo, …apparvero formalmente, dal principio dell’attuale
secolo, tentativi d’organizzarsi fuori di Dio e fuori di
Cristo. Senza avere l’istinto dell’ape o della
formica, che creano senza errore gli alveari e i formicai,
gli uomini vollero creare qualcosa di simile ad un
impeccabile formicaio umano. Essi respinsero l’unica
formula di salvezza, proveniente da Dio e comunicata all’uomo
con la Rivelazione: “Ama il prossimo tuo come te stesso”,
e la sostituirono con deduzioni pratiche sul tipo di “Chacun
pour soi et Dieu pour tous”, o con assiomi scientifici
sul tipo di “lotta per l’esistenza”»(15).
- Sarebbe quasi sicuramente errato vedere nelle proposizioni
dostoevskiane un utopistico reazionarismo o un
cristianesimo patriarcale estraneo alla realtà sociale e
popolare; la concezione del pocvennicestvo (ritorno al
suolo natale) è, invece, profondamente spirituale, in
quanto consacrata alle radici archetipali dell’Essere e,
dunque, decisamente rivoluzionaria nel dominio sociale:
«Il pocvennicestvo …ha una sua originale portata che
consiste nell’aver introdotto nel dibattito sulla
filosofia della storia che divideva gli occidentalisti
dagli slavofili una categoria come la pocva, che
rappresenta …qualcosa di intermedio tra l’impersonalità
delle istituzioni e la persona, dato che …essa è il
luogo dove tutto si riunisce, poiché tutto attira verso
di sé»(16).
- Il pocvennicestvo dostoevskiano era completamente
finalizzato all’ineludibile esigenza di riunire l’intelligencja,
che stava pericolosamente scivolando su posizioni
iper-nichiliste, con il popolo, reintegrando, radicando
nuovamente la classe intellettuale nello spirito della pocva, memoria spirituale ed animica intessuta nel destino
invisibile del popolo russo: «Ma, per Dostoevskij, la pocva, è anche movimento e creazione di nuovi valori,
spontanea e diretta espressione della “vita vivente”
in una forma ideale, in base alla quale è possibile quel
“salto” nel futuro che, altrimenti, sarebbe mortale.
…La riconciliazione tra l’intelligencija e il popolo
aveva, perciò, un significato “rivoluzionario” (nell’accezione
etimologica di ritorno), non angustamente sciovinista ma
pan-umanitario(17) , connaturato al suolo russo, e ne
costituiva il messaggio di validità universale».
- Da qui, dalla volontà di salvare la specifica
spiritualità russa, nasce l’ideale del “socialismo
russo” che, diversamente dal socialismo materialistico
ed ateistico (nichilista), valorizza e si incentra sulla
forza misteriosa del popolo come Chiesa, come Assemblea,
in cui le “idee unificatrici”, lungi dal dissolvere le
differenze, le salvaguardano e danno loro un valore
specifico e irrinunciabile all’interno della comunità
nazionale russa.
- «Proprio in virtú del suo essere nazionale, il “socialismo
russo” è universale, in quanto poggia su una concreta
realtà umana e storica – il popolo e la pocva – e non
sulle elucubrazioni ideologiche che si riferiscono ad un
omologante homme de la nature et de la vérité,
considerato astrattamente e che è un fantoccio che non
esiste. Nel “socialismo russo”, inoltre, il popolo e l’intelligencija
avrebbero trovato quella spinta all’“autoconservazione”,
quell’“impulso inverso” (obratnij tolcok), che li
avrebbe salvati dallo “scompiglio” (vichr) della
rivoluzione civilizzatrice»(18).
- Il pluralismo tragico dostoevskiano, ontologico e
morale(19), a cui l’Autore è pervenuto dalla serrata
analisi del sottosuolo nichilista, dissacratore, tipico
della Società moderna, conduce, come risposta, al suo
socialismo spirituale, un socialismo caratterizzato anche
in questo caso dal principio metafisico della sobornost’:
«Dostoevskij, come gli slavofili, opponeva all’arbitrio
che si esprime sotto forma di costrizione, o alla protesta
individuale che si esprime contro la costrizione, l’ideale
di un’autentica, fraterna comunità, convinto allo
stesso tempo che esso si fosse conservato nell’ortodossia
e nelle tradizioni del popolo russo. In una comunità del
genere l’individuo non si sarebbe posto contro la
collettività, ma vi si sarebbe consacrato totalmente,
senza esigere salvaguardie, senza porre condizioni e senza
lasciarsi guidare da alcun calcolo. …È lecito supporre
che Dostoevskij sia arrivato a queste conclusioni
indipendentemente dagli slavofili, non si può però fare
a meno di osservare che esse coincidono perfettamente con
la sobornost’ slavofila, con l’ideale, definito da
Chomjakov, di “libera unità”(20).
- Successive correnti storiografiche hanno visto nella
visione dostoevskjana del socialismo teocratico, fondato
sulla missione teofora e soteriologia del popolo russo,
preoccupanti ed aggressive tracce di sciovinismo ed
antisemitismo. Tra questi, lo studioso inglese della
storia russa Carr, che in un suo saggio dedicato al
pensatore russo sottolinea la discendenza di alcune
proposizioni dostoevskiane dai princípi in voga nei
circoli slavofili. In particolare, lo storico si riferisce
alla contrapposizione tra Russia ed Europa(21), essendo
considerata dagli stessi, la prima, l’autentica Patria
dello spirito cristiano e della fratellanza ortodossa, la
seconda, invece, essendo contraddistinta dalla
realizzazione pratica del fenomeno storico-religioso del
cattolicesimo, erede del paganesimo romano, strumento di
potenza politica e non di affermazione spirituale, che si
trasfonde poi, mediante l’intermezzo
umanistico-soggettivistico protestante, in ideologismo
razionalistico borghese, quindi dall’egoismo sociale e
dall’anticristianesimo; tutto ciò conduce, per il Carr,
ad un’ortodossia super-nazionalista e panslavista, che
lo storico inglese contesta radicalmente.
- Questa interpretazione dello studioso inglese è senza
dubbio da meditare e ha comunque un ponderato fondamento,
alla luce degli scritti del pensatore russo; nondimeno,
sarebbe lo stesso difficile negare che la visione sociale
dostoevskiana è illuminata da un Cristianesimo
metafisico-solare. Sarebbe altresí difficile negare che,
se esistono tracce di sciovinismo in Dostoevskij, il suo
reale pensiero in materia sembra essere ormai chiaro;
infatti, il Nostro fondava la missione universale degli
Slavi o, ancor meglio, della Russia, sul concetto di
Popolo, non su quello di un nazionalismo etno-razziale o
vagamente naturalistico-culturale. Il concetto di Popolo
rimanda ad una visione universale, sopranazionale, di
sostanza animico-spirituale; rimanda, per cosí dire, ad
un Polo Metafisico, laddove l’Idea di popolo è
incarnata da un’Entità Invisibile alla dimensione
fisico-ideologica. Non è inoltre da sottovalutare il
fatto che il socialismo cristificato di cui si faceva
portatore il Dostoevskij ha in realtà ben poco a che
vedere con il nazionalismo sciovinista o imperialista,
avendo, viceversa, una potenzialità universale,
a-politica, profondamente morale e liberatrice (rispetto
al modello di civilizzazione materialistica affermatosi in
Occidente ) e non conquistatrice quindi.
- Non è forse la stessa visione di Socialismo a cui sembra
ispirarsi Rudolf Steiner?: «Che cosa è in sostanza il
socialismo? Il vero impulso del socialismo consiste nel
fatto che gli uomini, come ho già accennato, arrivino a
realizzare la fraternità nel senso piú ampio della
parola. …Per il fatto che nella realtà le cose
penetrano l’una nell’altra, può avvenire che oggi per
esempio il socialismo, sotto molti aspetti, possa essere
il contrario di ciò che ho indicato come suo principio
essenziale e fondamentale. Oggi esso è tirannico, tende
alla potenza, possibilmente vorrebbe assorbire anche tutto
il resto. Nel suo intimo invece il socialismo rappresenta
in realtà la lotta contro il principe usurpatore di
questo mondo, che appare quando si vuole organizzare
esteriormente, secondo princípi di Stato, l’impulso del
Cristo o la spiritualità, quando non si affida la
organizzazione esteriore alla pura fraternità sociale»(22).
- Una simile prospettiva non è senza alcun dubbio
coincidente con l’egoismo individualistico-atomistico
applicato in campo sociale, cioè con lo sciovinismo
nazionalitario. Se dunque l’autentica missione
spirituale slavo-russa è di carattere universale, è
auspicabile che, in futuro, il messaggio fondamentale
dostoevskiano non serva da strumento di una politica di
potenza livellatrice e omologatrice, ma sia, viceversa, il
germe di una resurrezione spirituale dell’universalismo
euroasiatista, nel quale la spiritualità e la verace
devozione animica, caratterizzanti i popoli Slavi,
dovrebbero avere una funzione prioritaria. Ciò non
significherebbe, naturalmente, rifiuto dell’Occidente,
ma superamento dall’interno, dall’Alto, del processo
di unilaterale razionalizzazione materialista, in una
sintesi armonica, dunque, veramente sopranazionale (non
però anti-nazionale) ed universalmente sociale.
Luca Fantini
(1) P. Ekdokimov,
Dostoevskij e il problema del Male,
Ed. Città Nuova, Roma 1995, pagg. 34-35.
(2) A. Walicki, Un’utopia conservatrice, “Storia degli slavofili”,
Utet 1973, pag. 524. I pocvenniki (dalla parola pocva, suolo) furono gli
ideologhi del “ritorno al suolo”, raccoltisi intorno alla rivista
«Vremja», diffusa nel 1861.
(3) Ibidem, pag. 529.
(4) Ibidem, pag. 530.
(5) Dostoevskij ha analizzato l’atomismo sociale tipico della società
borghese occidentale in Memorie del sottosuolo e in Note invernali su
impressioni estive.
(6) A. Walicki, op. cit. pag. 530.
(7) F. Dostoevskij, Delitto e castigo. In questo saggio, l’idea dell’arbitrio
si manifesta tramite l’omicidio in forma pura, l’omicidio come
esperienza, compiuto dallo studente Raskol’nikov nei confronti di un’anziana
usuraia. La tragedia e la sconfitta dello studente dimostrano che l’uomo
non è Dio, che vi sono norme cosmiche, etico-spirituali,
incorruttibili.
(8) F. Dostoevskij, I Dèmoni. Kirillov, in questo caso, incarna la
volontà dell’“arbitrio”; non esistendo Dio, argomenta, l’atto
di massima libertà umana è nell’autoannientamento volontario, nel
suicidio. Invece che un’auto-liberazione, il suo suicidio sarà una
distruzione, poiché verrà sfruttato da una cerchia di individui per i
loro oscuri fini. Da un punto di vista sociale, l’arbitrio si
trasforma in dispotismo: «Lo “sigaliovismo” [Sigalev è un
protagonista de I Dèmoni, n.d.c.], è in effetti la cupa visione di una
società fondata su di un’assoluta obbedienza, un’assoluta
spersonalizzazione, sulla trasformazione degli uomini in gregge. Essa
presuppone la divisione degli esseri umani in due parti ineguali, di cui
l’una, il dieci per cento, possiede un potere illimitato sul restante
novanta per cento»; il passo è ripreso dal Walicki, op. cit., pag.
531.
(9) F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov. In questo fondamentale saggio,
Dostoevskij narra, nella “Leggenda del Grande Inquisitore”, l’incontro
dell’Inquisitore (che aveva dato agli uomini una eudemonistica
felicità, privandoli però della loro essenza autenticamente
individuale e morale) con il Cristo, di nuovo presente tra gli uomini. L’Inquisitore,
che aveva inizialmente condannato il Cristo ordinando di bruciarlo quale
eretico, fa marcia indietro di fronte al perdono del Dio-uomo, il quale,
nonostante la condanna, lo bacia sulle labbra. La seguente liberazione
del Cristo elargita dall’Inquisitore (con la raccomandazione da parte
di quest’ultimo che non si faccia piú vedere) conclude il confronto
tra le due figure, che sta ad indicare, nella visione del pensatore
russo, la vittoria spirituale del Dio-uomo sull’Uomo-dio.
(10) A. Walicki, op. cit. pag. 532.
(11) R. Valle, Dostoevskij politico e i suoi interpreti, “L’esodo
dall’Occidente”, Archivio Guido Izzi, Roma 1990, pag. 10.
(12) Ibidem, pag. 10.
(13) Ibidem, pag. 12.
(14) A. Walicki, op. cit. pagg. 534-535.
(15) F. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, Ed. Sansoni, Firenze 1963,
pagg. 723, 1181.
(16) R. Valle, op. cit., pagg. 15-16.
(17) Per quanto concerne questo carattere pan-umanitario, che potrebbe
essere anche definito pan-cristiano: «D’altra parte, dopo la comparsa
di Cristo come ideale dell’uomo nella carne, è diventato chiaro come
il sole …che il supremo e ultimo sviluppo della persona deve appunto
giungere a far sí che …l’uomo trovi, capisca e con tutta la forza
della sua natura si convinca che il supremo uso che l’uomo può fare
della propria persona, della pienezza dello sviluppo del proprio io è,
in un certo senso, distruggere questo io, darlo interamente a tutti e a
ciascuno, anima e corpo, senza riserve. È questa la massima felicità.
Quindi la legge dell’io si fonde con la legge dell’umanismo e nella
fusione entrambi, sia l’io che tutti, sono reciprocamente distrutti l’uno
per l’altro, e nello stesso tempo raggiungono anche il fine superiore
del loro sviluppo spirituale-individuale in modo ognuno differenziato.
Questo è il paradiso del Cristo. Tutta la storia …sia dell’umanità
sia di ogni singolo uomo, è soltanto sviluppo, lotta, tensione e
raggiungimento di questo fine». Ripreso da «Literaturnoe Nasedstvo»
“Neirdannyj Dostoevskij”, Mosca 1971, pagg. 173-176.
(18) Ibidem, pag. 17.
(19) Ibidem, pag. 17-18.
(20) A. Walicki, op. cit. pagg. 534-535.
(21) È chiaro il riferimento allo slavofilo Danileskij, autore di
Russia ed Europa.
(22) R. Steiner, Lo studio dei sintomi storici, Ed. Antroposofica,
Milano 1991, pagg. 215, 219-220. |
Immagine: Vasilij Grigorevic Perov
«Fëdor Dostoevskij» Galleria Tretjakov, Mosca, Russia
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