Antroposofia

Il sentimento, come lo conosciamo ora e come si manifesta nella nostra interiorità, è illusione luciferica. Si può anzi dire che proprio il sentimento e il pensiero, nella veste illusoria in cui l’uomo li conosce, sono l’effetto principale dell’intromissione degli oppositori nel corso dell’evoluzione.
L’uomo che pensa e che sente è per questo semplice fatto un essere anormale. La Scienza dello Spirito ci offre però un mezzo potente ed efficace per ricondurre l’uomo alla normalità. E questo mezzo è la meditazione sulla croce con le rose.
Per comprendere l’importanza di questa meditazione, dobbiamo porci la domanda: che cosa è in realtà la rosa, o un fiore in genere?
La rosa è un sentimento cosmico. Il Dottore dice che i fiori sono i sentimenti dei morti. Osserviamo bene la singolarità della rosa come sentimento cosmico. La rosa discende sulla pianta da lontananze cosmiche, ma la pianta evolve poi questo suo fiore entro il suo corpo eterico. Ecco dunque che cosa è la rosa: un sentimento che si basa sull’eterico.
La croce con le rose non è un semplice simbolo; è una realtà cosmica. Perciò è atta a dispiegare nell’interiorità umana un’azione potente. Essa libera il sentimento dell’uomo dalla sua base astrale e lo riporta nell’etere originario. E che cosa avviene allora? Il sentimento si rivela per quello che veramente è, non fatto personale dell’uomo, ma ispirazione cosmica.
Mettiamo davanti agli occhi dell’anima questa contrapposizione. L’uomo in cui si fa valere l’anormalità portata da Lucifero e da Arimane, sviluppa il sentimento dal corpo astrale, lo considera un fatto personale, svolge il pensiero dal corpo eterico e lo ritiene un’astrazione della realtà. L’uomo, che con i mezzi che gli vengono offerti dalla Scienza dello Spirito riporta nel suo essere la normalità, pensa con il corpo astrale che gli dà il pensiero come immaginazione, e sente con il corpo eterico che gli dà il sentimento come ispirazione.
L’uomo dunque che non è passato attraverso l’iniziazione, non conosce la vera realtà del sentimento e quindi dell’anima. Appena nell’ispirazione il sentimento rivela la sua vera natura, fa sorgere la giusta esperienza dell’anima.
Noi dobbiamo ora, sulla base delle premesse che abbiamo poste, congiungere l’idea di anima con l’idea di vita. Solo ciò ci permetterà di vedere come l’anima pulsi dovunque nell’universo col ritmo del tempo. E che cosa è veramente il tempo? Anche il problema del tempo, come quello dello spazio che abbiamo già considerato, ha messo a dura prova l’intelletto degli uomini piú grandi e rappresentativi. Famoso è il libro di S. Agostino che tratta del problema del tempo. Questo libro ci dimostra quanto duro dev’essere lo sforzo della mente umana che vuole conquistarsi la comprensione di ciò che è il tempo.
Pensiamo a un orologio che con il suo inesorabile tic-tac segna il corso del tempo e chiediamoci: se quell’orologio arrestasse il battito del suo pendolo, il tempo procederebbe ancora nel suo corso?
Questa domanda sembra addirittura ingenua o puerile, perché tutti sanno – o almeno cosí credono di sapere – che non è un orologio che fa sorgere il tempo, ma semplicemente lo misura. Anche se non esistesse alcun orologio per misurarlo, il tempo passerebbe lo stesso. E l’uomo se ne accorgerebbe ugualmente, se non altro dalle modificazioni che vedrebbe avvenire in sé e intorno a sé, perché l’uomo invecchia e cosí è egli stesso una misura di tempo. Facciamoci dunque quest’altra domanda: se l’uomo non esistesse sulla faccia della terra, il tempo scorrerebbe ugualmente? Anche qui viene naturale rispondere: ma certo! L’uomo, come ogni altra cosa esistente, va semplicemente soggetto all’azione del tempo e non lo crea. La realtà del tempo è del tutto indipendente dall’esistenza dell’uomo. Anche se l’uomo non esistesse, il tempo procederebbe nel suo fatale andare e sarebbe misurato cosmicamente dai movimenti del sole e delle stelle.
Prendiamo tutto ciò come verità evidente ed indiscutibile e poniamo la terza domanda: se togliamo dall’universo il sole, le stelle e tutto ciò che vi esiste, in modo da avere uno spazio cosmico completamente vuoto, il tempo esisterebbe ancora? Vedete, questa domanda è del tutto simile alla prima, solo non sembra tanto ingenua, perché riguarda cose piú grandi. Prima si trattava di eliminare soltanto un orologio, ora invece bisogna svuotare il cosmo del suo contenuto.
Eppure, se vogliamo essere coerenti con il pensiero fin qui svolto e che sembra inoppugnabile, dobbiamo rispondere anche questa volta: se nulla esistesse, il tempo esisterebbe tuttavia, sebbene non ci sarebbe alcuna cosa atta a misurarne l’esistenza.
 
Il tempo difatti non nasce dalle cose, ma è un fatto obiettivo che sussiste di per sé e che fa valere la sua azione su tutto il resto dell’universo.
 
Questa riconosciuta realtà obiettiva del tempo che lo fa esistere di per sé al di fuori e al di sopra di ogni sua determinazione sensibile data dalle cose che ne subiscono l’azione, fa sorgere il grave problema del dove vada a ricercarsi la sfera dell’esistenza temporale. La realtà del tempo non coincide difatti con la realtà delle cose che ne subiscono l’azione. È inutile chiederci dove sia andata la Roma dei Cesari, ma non è altrettanto inutile chiedere dove si trovi ora – in questo fugacissimo momento – la realtà del passato e la realtà del futuro. È questa l’angosciosa domanda, la domanda senza possibile risposta di S. Agostino: «Oh tempo, dove tu vai e donde tu vieni?» S. Agostino crede che soltanto Dio potrebbe rispondere a questa domanda.
La mente va a cozzare contro questi scogli insormontabili del sapere, quando qualche sottile errore di pensiero s’insinua nel processo ragionativo. Come già per il caso dello spazio, anche qui l’uomo viene tratto in inganno, in questa inestricabile matassa aggrovigliata di concetti, dal fatto ch’egli attribuisce al tempo un’esistenza materiale del tutto simile a quella delle cose.
 
Il tempo viene considerato un oggetto, mentre è in realtà un concetto.
 
Per vedere come sorga nell’uomo il concetto di tempo, consideriamo per un momento lo sviluppo ciclico di una rosa. La rosa è dapprima seme. Questo seme germoglia nella terra, da cui esce il gambo, che si ramifica. I rami a loro volta mettono le foglie. Alla fine sboccia il fiore. Questo poi appassisce e dal suo seno esce il seme. Il ciclo cosí è chiuso e può dar vita a un nuovo ciclo. Che cosa ci dice questo processo? Ci dice che noi non possiamo percepire la totalità dell’essere della rosa tutto in una volta. La percezione ci dà soltanto una parte minima dell’essere della rosa. Nel mondo dei sensi la rosa non esiste mai interamente, ma manifesta soltanto volta per volta una particolarità del suo essere con tante forme successive. La caratteristica di queste forme è che esse non stanno mai una accanto all’altra nello spazio. Ogni forma trapassa nella successiva senza lasciare traccia di sé. Questa successione di percezioni di cui la prima non permane quando si presenta la seconda, fa sorgere l’illusione del tempo come realtà fisica. Perciò si dice: il tempo scorre, il tempo passa ecc., ma ciò è un’illusione.
 
In realtà non è il tempo che fluisce, ma solo le cose, i fatti, gli avvenimenti. Il tempo è un puro concetto e non dobbiamo attribuirgli alcun carattere proprio alle percezioni.
 
Il tempo è eterna manifestazione di esseri. Guardiamo in noi stessi. Siamo stati fanciulli e diventeremo vecchi, ma siamo sempre noi. Il nostro Io non afferra soltanto la nostra personalità del momento, ma abbraccia tutto il corso della vita. Perciò non si può neanche dire che ci sia un prima o un poi nella vita dell’uomo o che l’uomo invecchi. L’uomo nella sua vita è sempre e costantemente un uomo in tantissime forme d’esistenza. Solo che l’uomo, come non ha mai la percezione della totalità di un essere, cosí non può nemmeno avere la percezione della totalità del suo proprio essere. L’uomo trova il suo vero essere poco alla volta. Egli si manifesta a se stesso grado per grado. Ciò fa sí ch’egli sia un essere interiore, e che le esperienze del mondo esterno, affluendo in lui, possano pulsare di vita propria.
Consideriamo per un momento la nostra vita passata. Possiamo abbracciarla tutta con il ricordo in una grande visione retrospettiva. Vi scorgiamo anche avvenimenti e vicende della nostra vita che ci hanno profondamente addolorato o rallegrato, che hanno agito con grande potenza sulla nostra anima. Ora invece, nella visione del ricordo, li consideriamo con freddezza, quasi fossero dei fatti estranei. E perché ciò? Perché ormai sono inquadrati in una totalità e non hanno piú virtú di commuovere l’anima. Pensiamo anche a questo fatto. La rosa che a primavera risplende in giardino, con la sua bellezza suscita nella nostra anima sentimenti ineffabili. La rosa che sta nel nostro pensiero come concetto, non riesce a discendere fino al nostro cuore. Essa può elevarci, è vero, nelle alte sfere della conoscenza, ma per se stessa non giunge fino a noi, non anima la nostra interiorità. Invece con la rosa che risplende oggi in giardino – che ieri non fu, che domani sarà appassita – noi possiamo congiungere intimamente il nostro essere. Per mezzo dell’anima tutto il mondo può diventare il contenuto della nostra interiorità, può diventare una vicenda nostra propria alla quale compartecipiamo con tutto il calore dei nostri sentimenti. Rendiamoci però ben conto che senza il tempo, l’anima non potrebbe esistere. È il tempo che dà contenuto e vita all’anima con il manifestare la complessiva realtà del mondo soltanto in una serie successiva di forme, di cui ciascuna, al momento in cui sorge e si presenta, pare avere il massimo valore. Se non ci fosse il tempo, l’uomo non potrebbe sentirsi congiunto con il mondo, non potrebbe anzi avere una vita interiore. Sarebbe tutt’al piú uno specchio che riflette l’ambiente circostante senza congiungerlo con la sua natura. Cosí difatti era durante il remoto periodo dell’evoluzione saturnea. Ora invece l’uomo è anima. Esperimenta la realtà del mondo nel grande corso del tempo, e perciò ogni essere, ogni fatto, ogni vicenda può penetrare in lui e animare la sua interiorità.
E ora leggiamo l’inizio della seconda strofa (se possiamo chiamarla cosí) della Pietra fondamentale. Questa strofa di poema cosmico è stata “dettata” dalla Seconda Gerarchia. Essa è un invito rivolto all’uomo di riconoscersi quale anima.

Anima dell’uomo,
tu vivi nel battito del cuore e nel respiro del petto,
che col ritmo del tempo
ti guidano
a sentire la tua esistenza interiore.

Ora che abbiamo compreso il valore e il significato del tempo per l’entità umana, chiediamoci: che cosa è il tempo? Che cosa fa sí che l’uomo possa sentire se stesso come anima vivente? Abbiamo già visto che il tempo non sta nella sfera della percezione, ch’esso non è un oggetto accanto ad altri oggetti, ma che è invece un concetto puro, un’idea della mente umana. È anzi un concetto cosí forte, cosí obiettivo, cosí saldamente fondato, cosí reale, che la maggior parte degli uomini lo scambia per una percezione. Dobbiamo riconoscere la piena obiettività del tempo, senza peraltro cadere nell’errore di ricercarla nella sfera delle percezioni fisiche.
Nel concetto, nell’idea del tempo, si riflette il secondo Logos, il Figlio, la Vita e la Luce delle anime.
Ora possiamo continuare lo schema che abbiamo iniziato la volta precedente:

Dio Padre

-

Spazio

-

I Gerarchia

-

Corpo

Dio Figlio

-

Tempo

-

II Gerarchia

-

Anima

Come il corpo, ponendo l’uomo nello spazio, cioè nel grembo della Divinità originaria, lo connette con l’universalità dell’esistenza, cosí l’anima, inserendo l’uomo nella corrente del tempo, cioè nella vita cosmica che tutto pervade, gli dà il senso ineffabile che il cosmo viva in lui. Non soltanto l’uomo, ma tutto l’universo conduce cosí una doppia esistenza, quella esterna e quella interna. Quella esterna che si fonda sul corpo e si estende nello spazio, è l’immagine del Padre. Quella interna, che ha per sede l’anima e si svolge nel tempo, è l’immagine del Figlio. In tal modo l’uomo – e il cosmo stesso – riposa in grembo alla Divinità creatrice.
L’uomo si sente annichilito di fronte alla poderosa realtà dello spazio e del tempo. È bene che sia cosí. Soltanto mediante il senso dell’umiltà interiore l’uomo può elevarsi alle conoscenze superiori e alla vera grandezza spirituale del suo essere. Chi non ha mai tremato davanti all’idea dello spazio che non ha limiti e del tempo che non ha fine, non ha ancora deste in sé le forze atte ad elevare l’uomo alla comprensione dello Spirito. Il tempo e lo spazio testimoniano difatti della grandezza senza limiti e senza fine dello Spirito.

Fortunato Pavisi (4.)

dalla conferenza “La Pietra Fondamentale – L’uomo quale anima” tenuta a Trieste il 12 febbraio 1948