- Sembra
essersi acceso un rinnovato interesse per i cinque o sei
esercizi, quelli con cui generazioni di ricercatori hanno
iniziato il tentativo di un cammino spirituale. Questo
interesse è certamente di buon auspicio poiché indica un
impulso o almeno attenzione e sensibilità per quella parte
delle Scienze Spirituali che di solito viene indicata come
sfera dell’ascesi, della disciplina interiore, sempre
troppo negletta e tuttavia intima ed imprescindibile nel
tendere a corrette domande e a concrete risposte sui piú
importanti e tormentati enigmi che accompagnano la vita
terrena dell’uomo e che in natura non si spiegano mai.
- V’è
però un diverso punto d’osservazione, dal quale,
considerata l’ampia disponibilità della descrizione degli
esercizi in molti e raggiungibilissimi testi, viene
piuttosto avvertito il pericolo, da sempre incombente e
spesso vittorioso, della facile inclinazione di pensare il
pensabile attorno ai sei esercizi, in una sorta di
eterno cortocircuito. Uno degli inciampi piú insidiosi che
incontriamo subito sul sentiero della Conoscenza Spirituale
è la tendenza a tradurre e ridurre i contenuti dell’Antroposofia,
vera espressione dell’anima cosciente, al livello
del veicolo razionale. Come ampiamente dimostrato nei fatti,
è un errore dominante. Si potrebbe persino affermare che la
Scienza dello Spirito, nella maggioranza dei casi, è stata
e viene ancora portata per il mondo come un monopolio dagli
esseri dominati dall’anima razionale, avvalendosi di
innumerevoli nozioni, prive però di quella nobile vita che
solo l’attimo vivo del pensiero può ad esse restituire.
- È
una possente insidia di Arimane. Nel tentativo esoterico l’errore
arimanico domina quando una verità intuita, sperimentata,
viene fermata dalla memoria. Di solito, la luce che
illumina il mondo oltre il sensibile e la luce che si
accende nel momento della comprensione, è esperienza di un attimo.
L’errore è voler poi ricordare tale esperienza, vivendo
da allora, per cosí dire, della rendita di quell’attimo
di luce che non c’è piú. La retta via viene ritrovata
nello sforzo di revivificare l’esperienza interiore
riscoprendo e rinnovando gli atti pensanti che permetteranno
di aprire nuovamente la strada all’esperienza.
- I sei
esercizi con la descrizione di ciò che viene chiamato il II
tempo e III tempo, furono pubblicati per la prima volta da
Marie Steiner, in due volumetti nel 1947 e 1948 (un terzo
volume apparve postumo, nel 1951). Queste pubblicazioni,
conosciute come Quaderni Esoterici, raccoglievano importanti
esercizi con i quali il Dott. Steiner aveva preparato, all’inizio
dello scorso secolo, alcuni particolari discepoli, per un
decisivo lavoro occulto che purtroppo fallí (Massimo
Scaligero accenna a tale argomento a pagina 87 del suo libro
Dallo Yoga alla Rosacroce).
- La stesura originale dei sei esercizi con i tre tempi fu
trasmessa a Julius Evola che aveva promesso di pubblicarli
(ciò avvenne prima della loro uscita nei volumi della
signora Steiner) onde fossero a disposizione di qualsiasi
ricercatore esoterico. In seguito, alcuni dirigenti italiani
della Società Antroposofica diedero al fatto un giudizio
negativo, fondandosi su di una inappellabile pretesa di
assoluta autorità sull’Opera di Rudolf Steiner,
valutazione che per diversi motivi non appare
necessariamente condivisibile.
- Gli esercizi furono stampati nel III volume di
Introduzione
alla Magia quale Scienza dell’Io pubblicato dall’editore
Bocca nel 1955. Questa edizione, che riuniva i fascicoli del
gruppo di Ur venne però modificata in piú parti da Evola
che, nei riguardi degli esercizi del Dott. Steiner e del
breve commento a seguito, sommò una scorrettezza ad un
errore: nel far stampare il tutto con il proprio pseudonimo
e nell’alterare le indicazioni scritte ed il conseguente
disegno esplicativo del II e III tempo del primo esercizio.
I fascicoli del gruppo di Ur, esprimendo in monografie una
pluralità di indirizzi sapienziali operativi, pur con
qualche sensazionalismo magico, furono e sono tuttora uno
dei piú qualificati documenti scritti dell’esoterismo
Occidentale.
- È un
vero peccato che la bella prima edizione in lingua inglese,
uscita da poco negli Stati Uniti, consista nella traduzione
di una edizione italiana degli anni ’70 ulteriormente
modificata da J. Evola, brillante dialettico ma chiuso alla
comprensione del Pensiero Vivente, limite ormai avvertito da
diversi giovani seguaci ma non dagli accademici curatori
che, oltre a cadere in evolistiche incoerenze circa il
valore obiettivo degli scritti e dei collaboratori di Ur,
hanno singolarmente tradito l’attitudine ed il vanto dei
veri tradizionalisti: quello di saper volgersi con rigore
alle fonti prime o almeno a quelle piú antiche.
- I sei
esercizi possono venir considerati la somma o sintesi di
tutti gli esercizi che riguardano la “preparazione” dell’anima;
divengono esercizi iniziatici se si attuano nel II e III
tempo.
- Cosa sono in essenza questi esercizi? Sono progressivi e
ripetuti atti interiori che accendono movimenti nella
complessiva struttura umana capaci di schiudere il limite di
questa allo Spirito; ciò in maniera tale che la dimensione
umana non venga spezzata o persino distrutta dallo Spirito
ma trasformata e riedificata. Deve essere concepibile per un
operatore, specie nel nostro tempo, che anche un evento
catastrofico per l’individuo che lo patisce, una grave
malattia o una patologia che porti alla dissociazione della
personalità, possono permettere una apertura allo Spirito,
ma con esiti incontrollabili e soprattutto non diretti dall’Io.
- Fondamentale agli esercizi è il I tempo, rintracciabile
come dicevamo in vari scritti (allo studente che voglia
percorrere ed assimilare con chiarezza una accurata
descrizione degli esercizi, raccomandiamo in particolare la
versione espressa da Rudolf Steiner nel V capitolo della
Scienza Occulta). La problematica riguarda essenzialmente il
I tempo e si concentra, non senza una inizialmente corretta
esecuzione, sulla intensità o forza interiore immessa: se
la Forza riesce a superare il limite personale, allora
circola.
- Il II e III tempo si riferiscono al primo moto eterico
conseguente all’esercizio del I tempo. Se qualcosa si
muove, se l’anima riesce a percepire davvero questo
qualcosa, il II e III tempo confermano e aiutano l’orientamento
che tende comunque a manifestare da sé il proprio circuito.
In alternativa non succede nulla, per quanto smaglianti
possano essere immagini e visualizzazioni con cui si tenta
di intervenire. Viste le difficoltà operative e persino la
pandemonica confusione formale suscitata da un approccio
superficiale ai sei esercizi, è possibile affermare che di
solito, nella maggioranza dei casi, il problema del II e III
tempo proprio non si pone.
- Ciò naturalmente non vuole essere un invito alla
desistenza, ma ad una realistica valutazione del proprio
lavoro interiore, scevra da autosuggestioni e da
indisciplinate autovalutazioni.
- La
disciplina fondamentale si attua con il primo e secondo
esercizio, non certo perché gli esercizi successivi siano
meno importanti, ma perché è anche sicuro che se i primi
due non vengono praticati con regolarità e crescente
intensità, il terzo esercizio e quelli successivi si
ridurranno semplicemente ad artificiosi atteggiamenti
animici personali. Inoltre con il controllo del pensiero e l’azione
pura si attua lo schema interiore piú essenziale: portare
la Volontà nel Pensiero (primo esercizio)
ed il Pensiero nel Volere (secondo esercizio), lasciando
svanire il sentire personale nella Quiete Profonda.
- L’allineamento gerarchico dei veicoli sottili viene allora
positivamente recuperato: esso è il fondamento per
qualsiasi esperienza animica o spirituale che non sia
atavica o subcorporea.
- Il “controllo del pensiero”, che di fatto diviene
concentrazione, secondo il consiglio di Massimo Scaligero,
andrebbe ripetuto durante la giornata «per almeno due
volte». La nostra esperienza ci ha indicato una frequenza
ripetuta, martellante, di tre o quattro volte al giorno per
giungere a un risultato forte e concreto.
- Si inizia l’esercizio con l’immediatezza apsichica e
scabra del gesto sportivo dell’atleta. Durante l’esercizio
in cui vanno normalmente usate parole ed immagini si vigila
sulla continuità cosciente della descrizione che sarà
semplice e parca. Esauriti i pensieri e indirettamente
attivata la massima forza pensante di cui si è capaci, si
conclude l’esercizio quando l’immagine finale, o l’immagine
piú congrua o l’immagine simbolica fissa o mutevole,
permette di sostenere desto nella coscienza il concetto dell’oggetto,
il medesimo concetto che d’ordinario balena nella
coscienza quando ad esempio cerchiamo tra le nostre cose una
matita che ci serve: la differenza è che ora il concetto è
voluto indipendentemente dalla sua utilità e mantenuto per
il maggior tempo possibile nella concentrata consapevolezza.
- Riguardo al secondo esercizio chiamato “atto puro” è
importante che l’operatore lo consideri con una attenzione
ed energia assolutamente non minore di quella messa in moto
per il primo esercizio: l’atto puro non è un esercizio
piú facile o di mero sussidio alla concentrazione. Se ci
accorgiamo che nell’anima questa convinzione manca, è
forse meglio posporre di qualche settimana il suo inizio,
spendendo piuttosto una decina di minuti al giorno per
immaginare una esecuzione tipo dell’esercizio con l’attenzione
ed il tenore interiore che si guadagna quando si medita.
Questa indicazione vale come una sana disciplina
preparatoria a molti altri esercizi. Va anche detto che l’esecuzione
dell’atto puro passa obbligatoriamente per la mediazione
degli arti che compiranno semplici azioni controllate dall’Io,
ma assolutamente indipendenti da obiettivi personali.
- Il secondo esercizio va predeterminato possibilmente 24 ore
prima della sua attuazione. Risulta piú incisivo
determinare nuovamente l’azione anche alla sera, prima d’addormentarsi
e poi ancora alla mattina, appena svegli o subito dopo gli
eventuali esercizi esoterici che già si compiono al momento
del risveglio. Alla sera evocando con cura le immagini
riferite all’atto, al mattino evocando piuttosto la
decisione di compiere l’azione (sera = immaginazione,
mattina = volontà). Durante l’esecuzione accanto ad una
attenzione desta va mantenuto il silenzio interiore.
- Il primo e secondo esercizio, praticati regolarmente e con
energia, portano ad un vero mutamento del proprio mondo
interiore e persino possono mutare la nostra precedente
visione di cosa sia la Via Esoterica; comunque è certo che
un’esecuzione solo formale e poco impegnata porterà ad un
completo fallimento nel passaggio agli esercizi successivi.
- Ogni
esercizio dovrebbe essere tentato al limite della nostra
capacità produttiva, osando anche poco oltre quel limite.
Ricordiamoci sempre che non esistono speciali esercizi che
conducono oltre il limite sensibile o egoico, non esistono
esercizi che ci possono condurre piú lontano rispetto all’esercizio
che stiamo facendo.
- È l’esercizio che stiamo facendo che tende a sollecitare
il pensiero eterico, che può condurci alla coscienza
eterica corrispondente ai gradi di “preparazione” e “illuminazione”.
- Non è ancora la Soglia, ma è la via che conduce alla
Soglia e che mai sarà riflessione filosofica, cultura
esoterica o pensiero discorsivo, bensí l’attività pura
dell’ideare, dell’immaginare, il cui moto vivente,
sperimentato e coraggiosamente accolto nel nulla dell’anima,
diviene l’alto scopo dell’Impresa.