Poesia

La vita spesso ignora perché vive,
a volte vive solo perché ignora.
Ci fu tempesta, e caddero dei nidi.
La rampa Mignanelli. Qui un rondone
ha concluso il suo volo sul basalto
di un gradino. Lo trovi rinsecchito
a saponificarsi, stampo vuoto.
A un certo punto, deve aver capito
di non essere rondine né topo,
ma un ibrido imprevisto della specie.
E si è lasciato andare, scivolare,
languire in una morte necessaria.
Ma non la piuma, è il cuore che riscatta
ogni concesso volo. E lui volteggia
adesso in altro cielo. Adesso ascende
la rampa tra cancelli irti di picche,
snoda la sua spirale, il suo percorso
tra umane intimità chiuse a testuggine
contro l’eco di passi sconosciuti.
Ed ecco in cima esplodere l’azzurro
con l’obelisco teso a scandagliare
i segreti del tempo, a misurarne
le sonore cadenze. L’uragano
non ha saputo flettere il candore
dell’oleandro, non ha spento i voli.
Piú allegro il merlo plagia l’usignolo
imitandone il canto. C’è un nuziale
trionfo di rameggi, un modulato
concerto di gorgheggi, tutto è vivo,
un mondo ricreato dagli umori
primigeni racchiusi in ogni goccia.
Siate accorti e pietosi, non svelate
l’arcano che consente al calabrone
di librarsi nell’aria e volteggiare
malgrado il peso del suo corpo sia
superiore di molto alla portanza
delle ridotte ali cui si affida.
Lasciatelo nel sogno che non sa
e sfida le terrestri realtà.
La vita spesso ignora perché vive,
a volte vive forse perché ignora.
Ora il sereno porta nuovi nidi.

Fulvio Di Lieto